Un’ape operaia stregata dal laboratorio

Ultimo aggiornamento: 18 ottobre 2021

Un’ape operaia stregata dal laboratorio

Grazie a uno Start-Up Grant, Ernestina De Francesco è tornata da Manchester a Catania per studiare gli effetti del metabolismo sul tumore al seno.

Era a Manchester da quasi quattro anni quando ha deciso di candidarsi per uno Start-Up Reintegration Grant di AIRC per provare a tornare in Italia: “Sapevo che la selezione è durissima e le probabilità di successo sono attorno all’8 per cento, e, anche se mi trovavo molto bene e avevo da poco comperato casa nella città spesso frequentata da Karl Marx e Friedrich Engels, culla della Rivoluzione industriale, decisi di tentare” racconta Ernestina De Francesco. Della città nel nord-ovest dell’Inghilterra le era piaciuto subito il clima industrioso, testimoniato dall’immagine dell’ape operaia simbolo cittadino, in cui si era addirittura identificata: “In un certo senso vedermi come un’ape operaia mi ha aiutato anche a fare pace con il nome che mi hanno dato in onore di mio nonno Ernesto, carpentiere infaticabile con una spiccata etica del lavoro”.

Il banchetto delle azalee

La familiarità con AIRC certo non le mancava: era ancora una giovane studentessa quando aveva cominciato a gestire il tavolo per distribuire le Azalee della Ricerca a Marano Marchesato, dove è nata, a una decina di chilometri da Cosenza, in Calabria. Ed era stata una borsa biennale congiunta messa a disposizione proprio da AIRC e Unione europea a permetterle di spiccare il volo verso l’estero, dopo avere completato la formazione universitaria e la specializzazione in patologia clinica all’Università della Calabria, nella vicina Rende.
Dei suoi anni di studi superiori ha un ricordo vivo: “La sezione del liceo scientifico Pitagora di Rende che ho frequentato era sperimentale e prevedeva più ore di matematica e fisica rispetto ai corsi tradizionali. Ancora oggi capita che la professoressa di fisica, la severissima Diana Perri, torni a mettermi ansia nei miei sogni” ricorda con una risata.
Durante il quarto anno di liceo era stata invitata a visitare la Normale di Pisa, ma l’ipotesi era subito tramontata perché con la gran parte dei compagni di classe era stata molto attiva – troppo, secondo il consiglio di classe – sul fronte dell’occupazione della scuola e delle attività extrascolastiche, al punto da meritarsi il 7 in condotta a causa del numero di assenze. Alla fine del liceo, le idee erano ancora poco chiare, anche se era certa di non voler fare medicina, per la troppa paura di non essere capace di dare brutte notizie.

Confusa e felice

Tra biologia e farmacia, la scelta cade su quest’ultima (“una decisione non troppo ragionata che si è rivelata l’ideale per me”, dice), e quando si trova per la prima volta a passare una giornata in laboratorio, Ernestina ha la folgorazione: alla fine di quel primo giorno al bancone torna a casa “con stampato in faccia un sorriso ebete”. Era scoccato l’amore a prima vista, che l’ha poi spinta a scartare l’idea di una tesi di laurea compilativa e di optare invece per una tesi sperimentale, più impegnativa. Il tirocinio obbligatorio di sei mesi in farmacia, a contatto con le persone, le conferma che non è quella la sua strada.
“Il laboratorio in cui mi sono formata all’Università della Calabria ha ottenuto risultati importanti, e ha una lunga storia di finanziamenti AIRC. È lì che ho appreso l’importanza di coordinamento, ottimizzazione dei tempi, gioco di squadra. Adesso, anche quando in famiglia ci ritroviamo in cucina a preparare i pasti, non posso fare a meno di pianificare il lavoro di tutti nei dettagli” scherza con autoironia.
Oggi la sua Start-Up Unit, affiliata all’Università di Catania – la più antica della Sicilia, fondata nel 1434 –, è ospitata all’Ospedale Garibaldi Nesima, che ha oltre 600 posti letto e figura fra le cosiddette aziende ospedaliere di rilievo nazionale di alta specializzazione (in sigla ARNAS).
Forse al laboratorio di Rende – con cui anche dopo il ritorno da Manchester ha continuato a collaborare – invidia un po’ alcune delle sofisticate apparecchiature di ricerca, e magari la vista dalle finestre, visto che lei lavora al secondo piano seminterrato “con vista sull’obitorio”, ma su ogni altra cosa prevale l’orgoglio: “L’Italia del Sud soffre del depauperamento di risorse economiche e umane, e il fatto di aver portato la mia Start-Up Unit a Catania mi rende molto orgogliosa e ottimista per il futuro, anche come donna” spiega. È una scelta non comune per chi torna dall’estero e può scegliere di avviare il proprio progetto nell’istituto che preferisce.
Non è stato un percorso facile, perché una volta superata la selezione delle commissioni di valutazione di AIRC è stato necessario affrontare parecchi ostacoli di carattere extrascientifico: “Il bando AIRC è pensato per favorire il rientro in Italia, ma, essendo costruito con una mentalità europea, privilegia chi decide di stabilirsi in un’istituzione diversa da quella in cui si è formato” racconta Ernestina. “Io, dopo la laurea in farmacia a pieni voti, prima di Manchester avevo trascorso tutto il mio percorso formativo a Rende, compreso il dottorato di ricerca in biologia animale e la specializzazione in patologia clinica, tra il 2008 e il 2015.”

ernestina-de-francesco,-ricercatrice-airc,-con-il-suo-gruppo-di-ricerca

Piccole donne contro il cancro

In quegli anni viveva per conto proprio, in un appartamento indipendente, al terzo piano della casa di famiglia costruita dal papà Salvatore grazie al lavoro nel negozio di ferramenta, coccolata dalla mamma Anita che, con l’arrivo di Ernestina e poi della sorellina Roberta, aveva lasciato il lavoro di insegnante di scuola materna per occuparsi a tempo pieno di loro. Ancora oggi, dopo i molti “pacchi da giù” spediti a Manchester prima di ogni Natale e di ogni Pasqua, è lei a rifornire il frigorifero di provviste e piatti pronti: “In Italia siamo troppo mammoni” confessa la ricercatrice, che oggi riesce con una certa frequenza a tornare in Calabria, a un paio d’ore d’auto, e ogni volta rientra a casa carica di provviste. “Anche a me piace cucinare, ma mia mamma scherza sempre chiedendomi se mi sono ricordata di infornare le mie cellule.”
Una volta completata la formazione specialistica, Ernestina decide che è giunto il momento di mettersi alla prova all’estero, forse anche ispirata dalle vicende delle quattro sorelle March – Meg, Jo, Beth e Amy – protagoniste del libro Piccole Donne, che ricorda come il più bel regalo di compleanno ricevuto durante l’infanzia.
Nel Regno Unito prende servizio al Manchester Cancer Research Centre del Christie Hospital, il centro oncologico tra i più grandi d’Europa in cui negli anni Settanta furono effettuati i primi trial clinici sul tamoxifene nel tumore mammario, sotto la supervisione di Robert Clarke, con cui pubblica alcuni articoli scientifici e continua tuttora a collaborare. Ma il richiamo del bando AIRC è forte, e con l’aiuto di Marcello Maggiolini, nel cui laboratorio di patologia generale e oncologia molecolare si è formata all’Università della Calabria, individua come possibile destinazione il Reparto universitario di endocrinologia dell’ARNAS Garibaldi, diretto a Catania da Antonino Belfiore, che studia il tumore mammario in correlazione alle malattie metaboliche da molti anni anche grazie a finanziamenti AIRC.

Proteggere da obesità e diabete

Nel frattempo la sua maturità scientifica è stata sancita dal ruolo di revisore di diverse riviste scientifiche, tra cui Cancer Letters, e dalla nomina ad associate editor di Frontiers in Endocrinology.
Oggi Ernestina ha davanti una sfida da portare avanti in autonomia, a capo di un laboratorio che in cinque anni avrà a disposizione quasi un milione di euro totali: la sua ricerca punta a bloccare uno specifico recettore, chiamato RAGE (vedi box), coinvolto nell’infiammazione cronica di basso grado, comune nelle persone più o meno marcatamente sovrappeso e in quelle con squilibri del metabolismo, come iperglicemia e diabete. Sono quasi il 20 per cento di tutte le pazienti affette da tumore al seno, e corrono più rischi della media di un’evoluzione infausta del tumore.
La pandemia da Covid-19 ha rallentato un po’ l’attività clinica, e con essa la disponibilità di campioni biologici – ottenuti dalle biopsie mammarie effettuate a scopo diagnostico o terapeutico – su cui il gruppo di De Francesco sta testando in vitro un farmaco già testato per il morbo di Alzheimer che agisce sullo stesso recettore. La ricercatrice ha avviato l’iter per ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione sugli animali, in collaborazione con l’Università della Calabria. Se poi tutto andrà per il verso giusto, l’obiettivo è quello di far partire un trial clinico entro la fine del progetto.
Noi ricercatori di AIRC abbiamo nelle mani la fiducia di tante persone e abbiamo il compito di trasformarla in una speranza per i pazienti. Sono fortunatissima perché la ricerca è la mia passione, e io non riesco neanche a immaginarmi impegnata in un altro lavoro” conclude con trasporto De Francesco.

La "rabbia" che rende più aggressivo il tumore

Le ricerche di Ernestina De Francesco sono da tempo focalizzate sul tumore al seno in pazienti che sono esposte a maggior rischio di metastasi perché sovrappeso o affette da disfunzioni del metabolismo, e in particolare sul ruolo di un recettore di nome RAGE (acronimo che sta per Receptor for Advanced Glycation End Products, ovvero recettore per i prodotti finali della glicazione avanzata), che in inglese suona proprio come la parola “rabbia”. È una molecola di superficie che fa parte della famiglia delle immunoglobuline, e si distingue da altri recettori perché interagisce con numerose diverse molecole, coinvolte nell’omeostasi metabolica (ovvero nell’equilibrio tra tutte le componenti), nello sviluppo e nell’infiammazione.
L’obiettivo della ricerca in corso nella Start-Up Unit diretta da Ernestina De Francesco, presso il laboratorio di endocrinologia del Dipartimento di medicina clinica sperimentale dell’Università di Catania, è l’individuazione delle alterazioni del microambiente tumorale infiammatorio favorite da RAGE e dai suoi ligandi nelle pazienti che – a causa di sovrappeso, obesità o diabete – presentano una prognosi sfavorevole, con maggiore rischio di metastasi e quindi di un’evoluzione nefasta: “Vorremmo identificare i fattori microambientali responsabili della maggiore tendenza metastatica osservata in queste pazienti, con l’obiettivo di mettere a punto una strategia terapeutica basata sull’inibizione di RAGE” spiega De Francesco.

  • Fabio Turone (Agenzia ZOE)