Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
EPIC, il grande studio europeo nato per comprendere il legame tra alimentazione e cancro, ha appena compiuto 25 anni e promette di regalare ancora tante informazioni utili per la salute.
Oltre mezzo milione di persone coinvolte, dieci Paesi europei e più di due decenni di ricerche che hanno già portato risultati importanti e ancora ne porteranno nei prossimi anni: sono questi i numeri di EPIC, acronimo di European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (http://epic.iarc.fr), uno studio prospettico che si pone l'obiettivo ambizioso di svelare il legame tra alimentazione e tumori.
"Il sospetto che ci fosse un legame forte tra alimentazione e rischio di ammalarsi di tumore era presente tra gli esperti già negli anni ottanta del secolo scorso: uno dei lavori più importanti sull'argomento fu pubblicato nel 1981 dagli epidemiologi Doll e Peto e stimava che un terzo circa dei tumori potesse essere legato a ciò che mangiamo" spiega Paolo Vineis, epidemiologo che lavora all'Imperial College di Londra e all'Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM) di Torino. "Quando si parla di scienza e di salute, però, il sospetto non basta, servono dati ragionevolmente certi" aggiunge. "Fino al 1990, i dati relativi al legame tra cibo e cancro arrivavano soprattutto da piccoli studi detti caso-controllo, nei quali si raccolgono i dati in modo retrospettivo: significa che le informazioni sulla dieta si raccolgono dopo che l'evento (il tumore) si è già verificato. In uno studio prospettico, invece, tutti i dati sono raccolti all'inizio dello studio e poi le persone coinvolte vengono seguite nel tempo (con uno studio detto longitudinale) in attesa che si verifichi l'evento (che potrebbe anche non verificarsi mai). Così possiamo valutare se e come abitudini alimentari o marcatori biologici che possono influenzare il rischio sono presenti già prima che la malattia dia segno di sé."
Era l'inizio degli anni novanta quando Spagna, Italia, Francia e Regno Unito cominciarono ad "arruolare" i primi partecipanti allo studio EPIC e a raccogliere informazioni sulle loro abitudini alimentari e sul loro stile di vita attraverso specifici questionari. Inoltre ai partecipanti fu prelevato un campione di sangue, poi conservato in speciali biobanche.
Tra il 1994 e il 1998 la famiglia EPIC si allargò includendo altri sei Paesi (Grecia, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia), per un gruppo finale di 10 nazioni, sostenute in parte anche dalla Commissione Europea nell'ambito del progetto Europe against Cancer.
"Questo enorme sforzo in termini di ricerca fu fortemente voluto dagli epidemiologi, in particolare dagli italiani Rodolfo Saracci ed Elio Riboli (coordinatore di EPIC), e trovò la sua sede nell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione, in Francia" ricorda Vineis, precisando che nel corso degli anni le linee di ricerca all'interno dello studio si sono modificate adattandosi alle esigenze della scienza, alle nuove tecnologie e anche alle "tendenze" scientifiche del momento. "Le prime fasi di EPIC hanno valutato il legame tra alimentazione e cancro attraverso le stime dell'assunzione dei diversi alimenti. Quindi si è passati a una seconda fase, non ancora terminata, nella quale si è puntato su singole molecole e sul loro ruolo come biomarcatori.
Infine, oggi siamo giunti a una fase nella quale si applicano all'epidemiologia tecniche di laboratorio ad ampio spettro, come la genetica o le cosiddette 'omiche', in particolare la metabolomica, che studia l'insieme dei prodotti del metabolismo (metaboliti) presenti nell'organismo" spiega.
"Parlare di EPIC significa raccontare centinaia di studi che vengono svolti a diversi livelli, da quello più locale a quello internazionale", precisa Domenico Palli, dell'Istituto di prevenzione e ricerca oncologica di Firenze e coordinatore per EPIC del centro toscano.
I 23 centri che partecipano al progetto hanno infatti anche la possibilità di svolgere studi a livello locale su specifiche tematiche e popolazioni. "Dipende ovviamente dal numero di persone che ciascun centro è riuscito ad arruolare. In Italia, dove non si erano mai svolti studi della portata di EPIC, ciò è più difficile, ma in centri del Nord Europa questa è una realtà" spiega il ricercatore, ricordando che, a livello nazionale, l'Italia è piuttosto attiva e ha prodotto diverse pubblicazioni. "Infine c'è il livello internazionale, dato dalla collaborazione fruttuosa dei Paesi che partecipano a EPIC, ma che spesso si estende anche oltre, grazie a collaborazioni con studi prospettici simili in corso in altri continenti" aggiunge. E la complessità di EPIC non finisce qui. Sono molte le tecniche per studiare la relazione tra alimentazione e tumori: si può valutare l'impatto a livello molecolare (antiossidanti, vitamine, grassi saturi), del singolo alimento o di un gruppo di alimenti (carne rossa, pomodoro, verdura), ma anche della dieta in generale (mediterranea, vegetariana, occidentale). E se a questi fattori se ne aggiungono altri legati allo stile di vita, come attività fisica o fumo, lo scenario si complica ulteriormente.
Come è possibile essere certi che il risultato che emerge da uno studio basato sull'osservazione come EPIC sia davvero attendibile? Chi ci assicura che sia davvero quell'alimento ad aumentare (o diminuire) il rischio di quel tumore (quindi che tra un cibo specifico e un cancro specifico esista un reale rapporto causa-effetto)?
Sono alcune delle domande che i critici dell'epidemiologia pongono, sottolineando come il risultato finale di questi studi possa essere "confuso" (come dicono i ricercatori) da molti fattori. Inoltre, mettere insieme dati che provengono da contesti così diversi come quelli inclusi nello studio EPIC, significa avere a che fare con differenze in termini di abitudini alimentari, stile di vita e anche geni.
"Non è semplice analizzare questo tipo di dati e arrivare a conclusioni certe, ma la statistica e le tecniche di genetica ci danno una mano" dice Vineis. Innanzitutto, avere a disposizione dati che derivano da contesti diversi è un valore aggiunto, non uno svantaggio: se un'associazione si ripete nonostante le differenze di contesto, la probabilità che il nesso di causa-effetto esista aumenta notevolmente. Inoltre oggi le associazioni vengono analizzate anche osservando le varianti geniche, non influenzate da fattori esterni.
"Quando si valutano gli stili di vita che possono influenzare l'insorgenza del tumore, si ragiona spesso in termini di profilo generale di rischio e non di singolo fattore di rischio" precisa Carlotta Sacerdote del CPO-Piemonte e dell'IIGM di Torino, coordinatrice del ramo torinese di EPIC. Chi segue un'alimentazione scorretta, in genere ha anche altre abitudini "rischiose" per la salute come la sedentarietà o il fumo, e di tutto questo si tiene conto per elaborare il profilo di rischio. Resta il problema della memoria individuale nella ricostruzione delle abitudini passate: come evitare gli errori, anche involontari, che si possono commettere quando si compilano questionari su quello che si è mangiato anche molto tempo fa? "Ci sono accorgimenti che vengono presi quando si somministrano i questionari, ma ancora una volta si può ricorrere alla tecnologia, che permette di risalire a ciò che si è mangiato analizzando le molecole presenti nel sangue o nelle urine" aggiunge Vineis.
Non è possibile riassumere il lavoro di oltre 20 anni in poche righe, ma vale la pena di accendere i riflettori su alcuni dei traguardi raggiunti grazie alle collaborazioni tra i diversi Paesi partecipanti a EPIC. Questi studi hanno dimostrato, per esempio, che la dieta mediterranea è alleata della salute: seguendola si riduce il rischio di mortalità generale ma anche di malattie cardiovascolari e tumori. Anche la vitamina D sembra avere un ruolo protettivo nei confronti di alcuni tumori e in particolare per quello del colon-retto.
L'obesità addominale aumenta il rischio di mortalità, ma anche l'alcol ha un ruolo di primo piano: secondo i dati di EPIC, è responsabile in generale del 10 per cento dei tumori negli uomini e del 3 per cento nelle donne. Entrando nel dettaglio, le percentuali aumentano: 44 per cento per gli uomini e 25 per cento per le donne nel caso di tumori del tratto aerodigestivo superiore, 33 per cento e 18 per cento per il fegato, 17 per cento e 4 per cento per il colon-retto e 5 per cento per la mammella. Il risultato ottenuto sul tumore dell'orofaringe legato alla presenza del papilloma virus (HPV) è diverso ma ugualmente importante: grazie all'analisi dei campioni di sangue prelevati prima della diagnosi di tumore, si è visto che gli anticorpi contro la proteina E6 di HPV sono presenti già prima dello sviluppo della malattia e possono predirne l'insorgenza con una grande precisione.
"Con le sue peculiarità e la sua grande tradizione alimentare, l'Italia ha già dato un grande contributo alla ricerca nello studio EPIC" afferma Sacerdote.
"Grazie all'impegno di tutti, EPIC Italia è riuscita a coinvolgere oltre 47.000 persone - 32.000 donne e 15.000 uomini - nei cinque centri coinvolti e che coprono l'intero territorio nazionale: Varese, Torino, Firenze, Napoli e Ragusa" le fa eco Palli, ricordando l'importanza del sostegno di AIRC, che ha finanziato parte delle ricerche. Tra i tumori maggiormente studiati nel contesto italiano spiccano quelli della mammella (1.400 casi) e del colon-retto (circa 600 casi), come riportato in una sintesi dei risultati pubblicata sulla rivista Epidemiologia e Prevenzione. Per quanto riguarda il tumore mammario si è scoperto per esempio che la verdura ha un ruolo protettivo, mentre la frutta non influenza il rischio (malgrado alcuni ipotizzassero un effetto negativo degli zuccheri).
Il rischio di tumore del colon-retto si riduce in modo significativo (del 40% circa) grazie al consumo di yogurt. "Un risultato osservato per la prima volta in uno studio prospettico, proprio per la peculiarità dello yogurt italiano che contiene, a differenza di quelli prodotti, per esempio, in Nord America, alte concentrazioni di batteri lattici" spiega Sacerdote.
"L'altro elemento che emerge con forza dal lavoro italiano è il ruolo dell'indice glicemico in questi due tumori" aggiunge Palli, ricordando che i carboidrati ad alto indice glicemico, cioè che innalzano più velocemente il livello di zucchero nel sangue, sono legati a un aumento del rischio di tumore al seno e al colon, seppur con diverse sfumature connesse alla dieta generale e al tipo di tumore. Un dato che in Italia, dove la pasta e i carboidrati sono signori della tavola, è molto significativo come è significativa la relazione tra modello "olio di oliva e insalata" - dieta ricca in olio di oliva, verdura cruda, zuppe e carne bianca - e una riduzione della mortalità negli anziani.
Poca carne rossa e tante fibre per proteggere il colon, stop all'alcol per ridurre il rischio di tumore del fegato e del seno, peso nella norma e attività fisica: queste e molte altre forme di prevenzione oncologica legate allo stile di vita devono la propria credibilità scientifica a studi come EPIC. Le agenzie internazionali come la IARC forniscono spesso indicazioni di prevenzione primaria e proprio questo in effetti è lo scopo dei grandi studi epidemiologici: aggiungere alla diagnosi precoce indicazioni utili per evitare che la malattia possa nascere e svilupparsi. I risultati di uno studio italiano pubblicato sulla rivista Breast Cancer Research and Treatment nel 2017 da Giovanna Masala e colleghi dimostrano, per esempio, che con peso nella norma, attività fisica e ridotto consumo di alcol si potrebbero evitare circa un terzo dei casi di tumore al seno nelle donne in menopausa.
L'enorme mole di dati ottenuti non è un traguardo, ma l'inizio di un percorso ancora lungo e senza dubbio ricco di scoperte. Di seguito tre esempi di possibili direzioni future dello studio.
Redazione