Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Anche dopo molti anni dal termine delle terapie per un tumore diagnosticato in tenera età, i segni dei trattamenti ai quali ci si è sottoposti possono complicare la vita quotidiana. Conoscerli è il modo migliore per tenerli sotto controllo.
Lungo-sopravviventi da tumore pediatrico: dietro questo nome tecnico piuttosto brutto si nasconde però una bella realtà, cioè la possibilità per molti bambini che ricevono una diagnosi di cancro di vivere una vita lunga e piena di soddisfazioni nonostante la malattia che ha interrotto - solo momentaneamente - la loro infanzia o adolescenza. Grazie ai continui progressi nelle terapie e alle sempre più raffinate armi a disposizione dei medici, oggi tre bambini su quattro escono vincitori della sfida contro il cancro e questo dato si traduce in un numero sempre crescente di persone guarite, ovvero libere dalla malattia e dai trattamenti a cinque anni dalla diagnosi. Sono circa 1.100 ogni anno solo in Italia, dove si stima che siano presenti circa 25.000 persone trattate per un tumore in età pediatrica, la metà dei quali è ormai entrata di diritto tra i giovani adulti avendo raggiunto o superato i 25 anni di età. Il tumore e i suoi trattamenti, però, possono lasciare segni che si manifestano anche a distanza di anni dal termine delle terapie, costringendo medici ed ex pazienti a tenere sempre gli occhi bene aperti.
Se il rischio che il tumore originario si ripresenti diminuisce nel tempo, con il passare degli anni aumenta la probabilità che compaiano quelli che gli esperti chiamano "effetti collaterali tardivi", una serie di disturbi che possono colpire dal punto di vista sia fisico sia psicologico chi ha superato un tumore pediatrico.
Elencarli tutti nel dettaglio o prevederli con precisione è molto difficile dal momento che il tipo di effetto collaterale dipende da diversi fattori e in particolare dal tipo di tumore diagnosticato, dal tipo di trattamento e dalle caratteristiche del piccolo paziente. "Per esempio, numerosi studi clinici hanno dimostrato che i sopravvissuti a un tumore pediatrico hanno un maggior rischio di svilupparne un altro (diverso dal primo), con chemioterapia e radioterapia utilizzate per curare il primo cancro nel ruolo di principali indagate per lo sviluppo di questi tumori secondari" spiega Carmelo Rizzari, responsabile del Reparto di emato-oncologia pediatrica dell'Ospedale San Gerardo di Monza, uno dei più noti nel campo dell'oncologia pediatrica. "Ma ci sono anche complicazioni che riguardano altri organi, in particolare cuore, polmoni e reni che possono essere danneggiati dai trattamenti oncologici, o gli organi riproduttivi colpiti magari da radiazioni o asportati per eliminare il tessuto tumorale".
La radioterapia nella regione testa-collo può creare danni alle cellule cerebrali che possono tradursi in problemi cognitivi e di apprendimento, soprattutto se effettuata nelle fasi più precoci della vita, e gli effetti negativi si possono sentire anche sull'ipofisi, con il conseguente squilibrio nella produzione di ormoni, inclusi quelli sessuali e l'ormone della crescita. Uno sviluppo fisico armonico può anche essere influenzato in negativo dai trattamenti radioterapici a ossa e muscoli che possono causare disturbi come la scoliosi o da alcuni farmaci steroidei con un effetto diretto sulla formazione dell'osso, che potrebbe risultare più debole e soggetto a osteoporosi dopo il trattamento.
Quello finora descritto è un quadro decisamente complesso che si complica ancora di più se ai problemi fisici si aggiungono quelli che colpiscono la vita sociale e lo sviluppo psicologico di una persona colpita da tumore in età pediatrica. In alcuni casi in realtà chi ha superato un tumore si sente più forte, mostra un grande senso di attaccamento alla vita e una grande fiducia nella scienza e ha meno paura di ammalarsi rispetto a chi è sempre stato bene.
A volte però adolescenti e giovani adulti sopravvissuti al cancro sviluppano disturbi psicologici ed emotivi che includono ansia, depressione, paura del ritorno della malattia e addirittura possono portare a effetti simili a quelli sperimentati dai veterani che tornano dalla guerra e sono vittime del cosiddetto disturbo da stress post-traumatico. Tutte queste condizioni si ripercuotono sulla qualità della vita sotto diversi aspetti: in alcuni casi tengono lontani gli ex pazienti da dottori e ospedali, diminuendo la possibilità di identificare per tempo gli effetti collaterali tardivi, mentre in altri casi sono alla base di un isolamento sociale e psicologico che non permette di godere della vita dopo la malattia.
Che fare di fronte a questo scenario? "La prima cosa è senza dubbio tenere a mente che non è detto che gli effetti collaterali tardivi si manifestino nel corso della vita: molti pazienti oncologici pediatrici sono diventati adulti sani, hanno un lavoro e una famiglia" afferma Rizzari. "Ma è comunque considerato necessario seguire un programma articolato di controlli che devono essere pianificati su misura per ciascun caso". Da qui l'importanza di rivolgersi a un centro di eccellenza con grande esperienza in oncologia pediatrica e che disponga di tutte le strutture e le conoscenze necessarie per seguire il piccolo malato in un percorso che, se necessario, può durare tutta la vita.
Esistono anche in Italia centri che dispongono di ambulatori specializzati per seguire questa popolazione particolare, e sempre più numerosa, di ex pazienti per la quale non basta un oncologo. Serve anche un gruppo di specialisti che sappia leggere e riconoscere con prontezza gli eventuali segni di una terapia effettuata anni prima e sappia gestire anche le problematiche meno "fisiche" ma non meno importanti per la qualità della vita.
Qual è la strategia vincente per tenere alla larga o ritardare gli effetti collaterali tardivi? La stessa che tutti dovrebbero far propria: adottare uno stile di vita sano, ovvero mangiare sano, evitare il fumo, l'abuso di alcol, l'esposizione eccessiva al sole e la sedentarietà, spesso anticamera del sovrappeso e di problemi metabolici.
Il Childhood Cancer Survivor Study (CCSS) rappresenta ormai da oltre 20 anni una fonte insostituibile di dati che aiuta gli esperti a comprendere meglio gli effetti avversi tardivi dei trattamenti di un tumore pediatrico, a migliorare la sopravvivenza dei piccoli pazienti e a minimizzare gli effetti negativi delle cure oncologiche sulla salute. Greg Armstrong, del St. Jude Children's Research Hospital di Menphis (Stati Uniti) guida la cordata dei centri che partecipano al progetto, elencati assieme ai dettagli dello studio nel sito web dedicato a questa indagine (ccss.stjude.org). Lo studio è partito nel 1994 arruolando oltre 14.000 sopravvissuti a tumore pediatrico diagnosticato tra il 1970 e il 1986 e, come controlli, circa 4.000 loro fratelli e sorelle, ma si è evoluto per restare al passo con gli enormi cambiamenti terapeutici degli ultimi decenni: al gruppo iniziale sono stati aggiunti circa 10.000 pazienti ai quali è stato diagnosticato un tumore tra il 1987 e il 1999 e circa 1.000 controlli. Arrivano da questo studio molte informazioni che hanno guidato e guidano le scelte dei medici in termini di follow up e di raccomandazioni ai pazienti, nonché gli spunti per nuovi studi.
Si chiama survivorship passport e nasce dall'idea di creare un documento standard in tutta Europa che accompagni le persone che hanno avuto un tumore in età pediatrica nel viaggio della vita. "È un documento nel quale vengono raccolte informazioni dettagliate - tipo di tumore, caratteristiche cliniche e biologiche, trattamenti ricevuti eccetera - sulla storia di malattia di ciascun bambino che ha terminato il percorso terapeutico per lui previsto" spiegano dall'Ospedale Gaslini di Genova, dove opera Riccardo Haupt, uno dei responsabili del progetto. E oltre alle informazioni su quanto è stato fatto in termini di terapia e indagini clinichi o genetiche, il passaporto contiene anche raccomandazioni su quali esami effettuare negli anni per diagnosticare i possibili effetti collaterali tardivi dei trattamenti e su quali comportamenti adottare per cercare di prevenirli o comunque tenerli sotto controllo. Con questo passaporto sempre a portata di mano, per tutti i pazienti che hanno superato un tumore in età pediatrica sarà possibile muoversi con maggiore sicurezza negli anni della vita adulta.
Una delle preoccupazioni dei giovani adulti che hanno già dovuto fare i conti con un tumore riguarda la fertilità e la possibilità di avere figli. Molte delle terapie utilizzate per curare i tumore hanno un impatto negativo diretto o indiretto sul sistema riproduttivo, ma le buone notizie in questo delicato ambito non mancano. Innanzitutto, numerosi studi hanno chiarito i dettagli del legame tra terapie oncologiche e fertilità: sono ben noti i farmaci e i trattamenti che più influenzano la possibilità di concepire e dare alla luce un figlio e di conseguenza si cerca di evitare o comunque ridurre il loro impiego nei casi pediatrici. Un esempio su tutti sono i cosiddetti "agenti alchilanti" noti per la loro capacità di danneggiare la fertilità. E quando alcuni trattamenti che mettono a rischio la possibilità di avere un figlio sono inevitabili, si può ricorrere, prima della terapia, a una serie di strategie quali il prelievo e il congelamento di sperma e cellule uovo. Sono procedure complesse anche dal punto di vista emotivo e psicologico, che dovrebbero sempre essere discusse con il piccolo paziente, o con i genitori, e con l'équipe medica.
Cristina Ferrario