Un campione più calato nella realtà

Ultimo aggiornamento: 3 agosto 2022

Un campione più calato nella realtà

I partecipanti alle sperimentazioni cliniche di terapie farmacologiche dovrebbero essere un campione maggiormente rappresentativo dei pazienti a cui tali trattamenti saranno successivamente somministrati.

La Food and Drug Administration (FDA) è l’agenzia statunitense responsabile, tra le altre cose, di garantire la sicurezza e l’efficacia dei farmaci, dei prodotti biologici e dei dispositivi medici per uso umano e veterinario. In un documento pubblicato da poco, la FDA ha raccomandato sia alle industrie farmaceutiche, sia alle commissioni responsabili di approvare studi clinici, che in tali studi siano inclusi pazienti anche anziani, se si tratta di antitumorali. Obiettivo della raccomandazione è fare in modo che nel campione di persone coinvolte negli studi vi sia una quota di pazienti anziani sufficientemente numerosa da consentire una adeguata valutazione del rapporto tra rischi e benefici dei farmaci per questa popolazione più fragile.

I pazienti anziani

“Gli anziani sono sottorappresentati negli studi clinici oncologici, nonostante costituiscano il segmento principale, e tuttora in crescita, della popolazione dei pazienti con tumore” scrivono gli esperti dell’FDA. "Per orientare le decisioni sui trattamenti da somministrare, servono maggiori informazioni sugli effetti di tali terapie sugli individui di età avanzata.” Un farmaco può infatti essere più o meno efficace o tossico a seconda che venga somministrato a pazienti nel fiore degli anni o ad altri il cui stato di salute generale è in declino. Il documento dell’FDA raccomanda perciò che gli anziani vengano inclusi già negli studi di fase iniziale, quando appropriato, in modo da ricavare informazioni da utilizzare poi anche negli studi di fase avanzata. L’FDA specifica che con “anziani” intende coloro che hanno 65 anni o più, ma enfatizza che è particolarmente importante includere negli studi clinici anche persone che abbiano superato i 75 anni.

Perché il numero di anziani reclutati negli studi clinici resta basso anche se l’incidenza di molti tipi di tumori aumenta all’aumentare dell’età? Nell’età avanzata sono in genere presenti altre malattie oltre al cancro (comorbidità). Inoltre vi è uno stato di fragilità intrinseca e una prospettiva di vita più breve. Per questi motivi, dal punto di vista dello sponsor, ossia in genere dell’industria farmaceutica che sostiene le ingenti spese della sperimentazione clinica, può essere poco vantaggioso arruolare pazienti con situazioni più critiche, e nei quali il trattamento potrebbe essere meno efficace. Inoltre le medicine assunte per curare le comorbidità potrebbero in qualche modo influenzare il trattamento oggetto dello studio, confondendo e rendere più complicato distinguere gli effetti di tale trattamento sul tumore. Una persona anziana potrebbe peraltro avere maggiori problemi a ricordarsi di prendere una pillola nel modo e nei tempi stabiliti, determinando una parziale aderenza alla terapia che è un aspetto invece essenziale in tutti gli studi clinici. Le persone in età avanzata hanno poi spesso difficoltà a recarsi o farsi accompagnare in ospedale per le numerose visite di controllo e gli esami previsti dai protocolli clinici.

Le donne, pazienti invisibili

I pazienti anziani non sono gli unici a essere sottorappresentati negli studi clinici, non solo in campo oncologico. Si discute da anni della necessità di ridurre la disparità di genere in medicina. “Anche se il numero di partecipanti di sesso femminile negli studi clinici è aumentato negli ultimi decenni" scrivono Eudocia Lee e Patrick Wen, due oncologi del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, in un articolo pubblicato qualche tempo fa sul British Medical Journal, "sono ancora sottorappresentate negli studi preclinici, nelle sperimentazioni cliniche di fase iniziale e in alcuni studi clinici oncologici di fase successiva. Quando le caratteristiche della popolazione studiata non corrispondono a quelle delle persone che effettivamente saranno trattate per la malattia, i risultati ottenuti saranno poco riproducibili e generalizzabili. I dati clinici generati in pazienti di sesso maschile non possono però necessariamente essere estrapolati a quelli di sesso femminile.” È stato osservato, per esempio, che le donne hanno un rischio più elevato di sviluppare reazioni avverse ai farmaci. Inoltre il sesso contribuisce a generare differenze sia nel rischio di sviluppare un tumore sia nelle risposte ai trattamenti. “I meccanismi alla base di queste differenze non sono completamente chiari anche se sappiamo che il sesso influenza una serie di fattori, tra cui l’anatomia e la fisiologia, le risposte immunitarie, la farmacocinetica e la farmacodinamica” scrivono Lee e Wen. Una delle ragioni per cui le donne sono state spesso escluse dagli studi clinici è il rischio che il farmaco in esame possa provocare malformazioni nel feto, nel caso in cui la donna resti incinta durante la sperimentazione. Tra le barriere da superare vi sono però anche pregiudizi da parte degli sponsor e dei medici, tra cui il fatto che le donne sarebbero più difficili da reclutare o che la loro inclusione aumenterebbe la complessità degli studi.

Secondo dati americani, le donne hanno minori probabilità di essere arruolate nelle ricerche sul tumore del colon-retto, sul tumore del polmone, sul melanoma e sul tumore del pancreas. Questo, nonostante i dati epidemiologici dimostrino che i tumori del colon-retto e del polmone e il melanoma siano molto frequenti nel sesso femminile. Quando invece si analizzano gli arruolamenti negli studi clinici che riguardano i tumori quasi esclusivamente femminili (quelli del seno e ginecologici), a essere sottorappresentate sono in particolare le donne anziane e le donne che appartengono a minoranze etniche.

“Anche se molta della letteratura sulle disparità negli studi clinici proviene dagli Stati Uniti, è importante prendere atto che questi non sono problemi esclusivi di questo Paese" sottolineano gli autori dell’articolo. "Molti degli studi e dei risultati sottoposti all’approvazione da parte dell’FDA sono gli stessi portati all’esame di altre agenzie regolatorie come l’EMA e Health Canada.” Le linee guida pubblicate negli ultimi anni stanno cercando di cambiare le cose. Il Regolamento europeo sugli studi clinici, del 2014, stabilisce chiaramente che “i soggetti che partecipano a uno studio clinico devono essere rappresentativi dei gruppi di popolazione, per esempio i gruppi di genere e di età, che probabilmente utilizzeranno il prodotto medicinale valutato nello studio”. Resta tuttavia ancora molto lavoro da fare per rimuovere gli ostacoli all’arruolamento di pazienti più rappresentativi della realtà negli studi clinici e per aumentare la diversità nelle ricerche precliniche e cliniche in campo oncologico.

  • Agenzia Zoe

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