Ultimo aggiornamento: 28 aprile 2022
Valutando un gruppo di 27 geni, oltre alle classiche caratteristiche del tumore, è possibile ottenere indicazioni sulla terapia più promettente per donne con tumore del seno positivo per HER2
C’è un contributo italiano nella messa a punto del nuovo test genomico chiamato HER2DX, che può aiutare i medici a scegliere la terapia più adatta a ciascuna paziente con tumore del seno, in base ai livelli di espressione di un gruppo specifico di geni.
In particolare, come si legge in un articolo pubblicato sulla rivista EBiomedicine, il test sembra fornire informazioni utili per un gruppo ben definito di donne con cancro mammario: quelle con malattia in fase iniziale che presentano un aumento dell’espressione della proteina HER2.
Il tipo di tumore da cui queste pazienti sono colpite è detto per questo HER2 positivo o HER2+. Si tratta del 15 per cento circa dei casi di tumore al seno, che corrisponde a circa 8.250 casi all’anno in Italia, dove le diagnosi totali di cancro del seno raggiungono i 55.000 casi annui.
“Il tumore HER2+ dal punto di vista biologico è uno dei più aggressivi. Fino a poco tempo fa non avevamo a disposizione trattamenti efficaci e la prognosi per queste pazienti non era affatto buona” spiega Pierfranco Conte, presidente di Fondazione Periplo e professore di oncologia medica all’Università di Padova, tra i coordinatori dello studio. “Oggi però disponiamo di diversi tipi di terapia mirata che possono aiutare le pazienti e servono quindi criteri chiari per indirizzare i medici verso la scelta della terapia più adatta a ciascun caso” aggiunge.
Qui entra in gioco il test genomico, valutato su oltre 1.000 donne, i cui risultati potrebbero contribuire a stabilire la prognosi, ovvero la previsione del tipo di decorso clinico. Inoltre l’esito del test potrebbe aiutare a calcolare la probabilità che le donne sottoposte a una terapia prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) arrivino a ottenere quella che i medici chiamano risposta patologica completa, ovvero la scomparsa totale delle cellule tumorali.
In genere i medici si basano su parametri come le dimensioni del tumore, lo stato dei linfonodi ascellari e dei recettori ormonali per scegliere la terapia. “Si tratta di criteri molto utili, che però non sempre permettono di individuare con sufficiente precisione alcune pazienti che rischiano di ricevere più o meno trattamenti del necessario” spiega Conte. Per questo Conte sottolinea i vantaggi che potrebbero derivare dall’aggiungere a questi parametri anche i dati ottenuti con il test genomico.
“L’esito del test può suggerire ai clinici, per esempio, di estendere la terapia adiuvante, utilizzando più farmaci anti-HER2 dopo l’intervento chirurgico. Oppure di diminuire l’intensità delle cure, evitando determinati effetti collaterali per le pazienti e portando vantaggi anche all’intero sistema sanitario” afferma. I risultati ottenuti in questo studio sul test genomico dovranno ora essere validati in gruppi assai più ampi di pazienti, in più centri nel mondo, prima di poter entrare nella routine clinica.
Agenzia ZOE