Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Si parla spesso dei grandi risultati ottenuti nella diagnosi precoce e nella cura del tumore al seno in fase iniziale, ma migliaia di donne convivono oggi con la malattia metastatica.
Circa 12.000 nuove diagnosi ogni anno e oltre 35.000 donne che in Italia convivono con la malattia: con questi numeri, il tumore al seno metastatico, ovvero diffuso in organi diversi da quello da cui ha avuto origine - in particolare ossa, cervello, fegato e polmoni - non può certo essere considerato una "malattia rara" nel senso più comune del termine.
"La malattia metastatica rappresenta in realtà meno del 10 per cento di tutti i tumori mammari, che però colpiscono circa 50.000 persone ogni anno nel nostro Paese" spiega Lucia Del Mastro, responsabile dello sviluppo di terapie innovative all'Ospedale San Martino di Genova. Fatte le debite proporzioni, questa "piccola percentuale" si trasforma in effetti in numeri che superano di gran lunga quelli di altri tumori femminili, come per esempio il carcinoma ovarico (che conta circa 5.200 casi l'anno) o quello del collo dell'utero (con circa 2.300 casi). Un'indagine promossa qualche anno fa dall'associazione di pazienti Europa Donna ha sottolineato come convivere con la diagnosi di tumore metastatico abbia un impatto importante sulla vita privata e professionale di chi si ammala, anche a causa di un senso di abbandono che spesso le pazienti sperimentano, sentendosi trascurate dai medici, dai media e dalle istituzioni a fronte dei successi sempre più frequenti ottenuti nella maggioranza dei casi di tumore al seno non metastatico. Ma le cose stanno cambiando anche in Italia, come dimostra l'incontro in Senato del 5 dicembre 2017 durante il quale sono stati presentati i dati stimati dall'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) sul cancro al seno metastatico e come confermano le associazioni di pazienti, sempre più attive, che chiedono l'istituzione di una giornata nazionale dedicata alla malattia.
Secondo stime recenti, solo il 7 per cento di tutte le pubblicazioni dedicate al tumore mammario si focalizza sulla malattia metastatica, a dimostrazione di come l'attenzione per questo problema sia ancora piuttosto bassa. Ciò non significa però che la ricerca sia ferma. "Negli anni abbiamo assistito a un progressivo miglioramento della prognosi per le donne con questa patologia, soprattutto grazie alle scoperte sulla biologia del tumore che ci permettono oggi di classificare il cancro al seno metastatico in base alle sue caratteristiche molecolari" afferma Del Mastro, ricordando che proprio grazie a queste scoperte è stato possibile disegnare terapie ad hoc, che puntano a un bersaglio molecolare preciso.
Per ciascun tumore viene quindi scelto un trattamento specifico sulla base della presenza o assenza di tali bersagli. Esempio classico è il recettore di HER2 contro il quale sono stati creati trattamenti mirati molto efficaci: trastuzumab, pertuzumab e altri farmaci in fase di sperimentazione.
Il recettore degli estrogeni rappresenta un altro bersaglio importante nella lotta al cancro al seno metastatico: quando sulle cellule del tumore sono presenti i recettori degli estrogeni, le terapie a base del vecchio farmaco tamoxifene e dei più recenti inibitori delle aromatasi o di fulvestrant si dimostrano efficaci.
E non è tutto. Negli ultimi anni sono stati introdotti nella pratica clinica anche farmaci inibitori delle cicline, che vanno ad agire direttamente sul ciclo cellulare, e farmaci inibitori di PARP - molecola coinvolta in numerosi processi, come la riparazione del DNA o la morte programmata delle cellule - nella malattia con mutazioni del gene BRCA.
Nel 7 per cento circa dei casi il tumore mammario è metastatico sin dalla diagnosi, mentre gli altri sono il risultato della progressione di una malattia già diagnosticata e trattata in precedenza. Esistono strategie efficaci che le donne con un tumore al seno possono mettere in campo ogni giorno per prevenire la formazione di metastasi? "I meccanismi alla base della diffusione del tumore mammario non sono ancora stati definiti nel dettaglio" precisa Del Mastro, che poi aggiunge: "Oggi sappiamo, però, che alcune modificazioni dello stile di vita possono aiutare le donne già operate di tumore al seno a ridurre il rischio che la malattia progredisca". Tra queste, l'attenzione a evitare sovrappeso e obesità: è recente la scoperta che una perdita di peso in una donna obesa riduce il rischio di sviluppare metastasi.
"Disponiamo di dati scientifici certi anche sull'effetto protettivo dell'attività fisica, mentre per altri fattori, come l'alimentazione, ci sono tante ipotesi e tanti studi in corso, ma non abbiamo ancora certezze" conclude l'esperta.
Le opzioni terapeutiche oggi disponibili per chi invece scopre che le metastasi si sono già diffuse hanno in comune un ambizioso obiettivo finale: trasformare il tumore metastatico in una malattia cronica con la quale convivere. "In pratica significa che dopo una diagnosi di cancro mammario metastatico le donne dovranno continuare a curarsi e a volte dovranno anche modificare il trattamento per riuscire a tenere sotto controllo la malattia" dice Del Mastro, ricordando che grazie alle terapie mirate convivere con il tumore oggi è più semplice che in passato. L'aspettativa di vita è senza dubbio migliorata, passando dai 15 mesi degli anni settanta del secolo scorso ai 58 mesi degli inizi del 2000, ma è anche migliorata la qualità di vita di queste donne che, secondo i dati dell'indagine commissionata da Europa Donna, sono giovani (54 anni in media, ma con età inferiore a 45 anni in un caso su tre), hanno un lavoro, una famiglia e nella metà dei casi figli minorenni. "Oggi possiamo evitare a molte donne la chemioterapia classica riducendo notevolmente anche gli effetti collaterali e lasciando più spazio a una buona qualità di vita" continua l'esperta.
In una piccola percentuale di casi (3-5 per cento), il tumore al seno metastatico scompare e non si ripresenta più dopo il trattamento. "Queste donne possono essere considerate guarite a tutti gli effetti. Sono casi rari e l'obiettivo resta la cronicizzazione, ma i ricercatori sono un po' sognatori e nessuno vieta di sperare anche in un risultato che vada oltre la trasformazione del cancro in malattia cronica" conclude Del Mastro.
Seguire le indicazioni del medico non è sempre facile, soprattutto se il trattamento prescritto dura anni e si porta dietro effetti collaterali piuttosto pesanti, ma è necessario se si vuole trarre il massimo beneficio dalla terapia. Molte donne dopo l'intervento chirurgico per rimuovere il tumore al seno si devono sottoporre alle cosiddette "terapie adiuvanti", ovvero a trattamenti che in alcuni casi si protraggono per anni con lo scopo principale di allontanare il rischio che la malattia si ripresenti.
La letteratura scientifica dimostra che i vantaggi di queste terapie durano anche per vent'anni dopo l'intervento, a patto che vengano seguite scrupolosamente le indicazioni del medico. Per quanto riguarda alcune terapie ormonali come per esempio il tamoxifene, però, molte donne abbandonano il trattamento prima di quanto prescritto, per diverse ragioni. "Gli schemi terapeutici che i medici prescrivono sono il frutto di anni di ricerche e seguirli scrupolosamente è l'unico modo per avere successo nella lotta contro i tumori" commenta Del Mastro.
La ABC Global Alliance, promossa dalla European School of Oncology, è un gruppo di ricerca clinica che riunisce gli oncologi esperti di tumore al seno. Nel mese di novembre 2017, durante il congresso annuale dedicato proprio al cancro del seno metastatico, ha lanciato un'azione in dieci punti per riuscire a migliorare, se non a vincere, la malattia entro il 2025.
Tra gli obiettivi, la messa a punto di terapie in grado di raddoppiare la sopravvivenza media delle pazienti, portandola a quattro anni entro il 2025, il miglioramento della qualità di vita e la promozione di una ricerca epidemiologica che stabilisca esattamente quante sono in Europa le donne malate. Infine, un appello a migliorare la comunicazione sul cancro al seno, spesso caratterizzata da toni trionfali che, pur riflettendo i grandi successi ottenuti nella cura della malattia, possono urtare i sentimenti delle donne meno fortunate.
Cristina Ferrario