Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Le analisi del DNA basate sulle nuove tecnologie forniscono moltissime informazioni sulle caratteristiche genetiche del tumore, ma non sempre i medici sono in grado di interpretarle con precisione.
Grazie allo sviluppo tecnologico è oggi possibile valutare il rischio oncologico guardando direttamente il DNA oltre che la storia familiare di un paziente, ma questi continui e rapidissimi progressi hanno generato anche molti dubbi tra medici e ricercatori. Gli esperti della Società americana di oncologia clinica (ASCO) hanno da poco pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology un documento nel quale forniscono raccomandazioni su come utilizzare i nuovi test genetici.
È ormai noto che il cancro è una malattia genetica, che dipende cioè dalle mutazioni e dalle caratteristiche del DNA. Alcune di queste mutazioni possono essere ereditate dai genitori perché presenti nelle cellule della cosiddetta linea germinale, quelle che permettono il passaggio di materiale genetico tra le generazioni, rendendo chi le eredita più a rischio di sviluppare la malattia nel corso della vita. Un esempio su tutti, i ben noti geni BRCA1 e BRCA2 legati al rischio di tumore di seno e ovaio. Altre mutazioni, invece, si presentano nel corso della vita, non hanno nulla a che vedere con l'ereditarietà e vengono definite mutazioni somatiche.
L'identificazione delle persone che hanno una predisposizione ereditaria al cancro è un elemento centrale in oncologia. È a questo punto di partenza del documento ASCO, nato soprattutto dall'esigenza di fare chiarezza su come le nuove tecnologie di sequenziamento del DNA stanno modificando i risultati ottenuti nei test genetici utilizzati in oncologia e la loro interpretazione. Si parla in particolare di tecniche come il Next Generation Sequencing (NGS), una particolare analisi genetica che permette di studiare i dettagli dell'intero DNA in tempi davvero ridotti e a costi accessibili. Come spiegano gli esperti statunitensi, però, a volte da un test genetico eseguito con questa tecnologia si ottengono molte più informazioni di quante ne siano state oggettivamente richieste e, problema da non trascurare, non tutte le informazioni ottenute sono semplici da interpretare. Può succedere, per esempio, che un'analisi genetica prescritta per valutare la presenza nel DNA del paziente di una particolare mutazione o di un gene che rende il tumore sensibile a una terapia anticancro sveli la presenza di mutazioni nelle cellule della linea germinale che indicano una possibile predisposizione genetica al cancro o ad altre malattie. In altri casi, quando si vuole analizzare un particolare gene che si sa essere mutato con alta probabilità in un tumore ereditario (per esempio BRCA nel tumore del seno), si utilizzano analisi di pannelli (gruppi) di geni che oltre al gene in questione ne analizzano anche molti altri. Sale così il rischio di trovare mutazioni anche in altri segmenti di DNA diversi da quello che era il protagonista principale del test nelle intenzioni originali del medico. E, infine ci sono le "mutazioni di significato non noto", ovvero cambiamenti genetici ai quali, con le attuali conoscenze, i medici non sono in grado di dare un significato preciso, ma che possono generare ansia e dubbi sia nel paziente sia in chi lo cura.
Gli esperti ASCO ne sono convinti: per cercare di mettere un po' d'ordine in un contesto così complicato, servono innanzitutto informazione, chiarezza e aggiornamento continuo. Per quanto riguarda i medici, per esempio, la laurea in medicina e la specializzazione in oncologia non bastano più. Chi lavora alla valutazione del rischio genetico non può fare a meno di continuare a studiare e ad aggiornarsi per rimanere al passo con i rapidi cambiamenti in questo settore e per riuscire a comunicare il rischio in modo corretto al paziente. Scoprire di avere una mutazione inattesa, e magari pensare di averla ereditata e di poterla trasmettere ai propri figli, può creare infatti grandi disagi psicologici e ansie nel paziente; per quest'l'ASCO sottolinea l'importanza di un colloquio approfondito tra medico e paziente prima di eseguire l'esame. In questo colloquio il medico deve spiegare per filo e per segno a chi ha di fronte tutti i potenziali risultati di un test genetico, inclusa la possibilità di identificare mutazioni inattese o delle quali non si conosce ancora il significato, deve prendere nota delle preferenze del paziente (qualcuno potrebbe decidere di non volere conoscere questi eventuali "risultati inattesi") e deve in ogni caso far firmare un consenso all'esame.
Che fare quando si scoprono mutazioni inattese che fanno sospettare una predisposizione ereditaria? E quali geni inserire nei "pannelli" che si utilizzano nei test genetici? Non è semplice dare una risposta a queste domande. La comunità scientifica è divisa tra chi, in un certo senso, rimpiange i vecchi tempi e chi, per contro, crede che le potenzialità delle nuove tecnologie di analisi debbano essere sfruttate il più possibile, anche a rischio di ottenere risultati non chiari per il paziente. Il tutto è complicato non poco dal fatto che, a partire dal 2000, si è assistito a una vera e propria esplosione dei test genetici per la diagnosi di malattie (non solo il cancro) ed esistono oggi oltre mille condizioni cliniche per le quali è disponibile un test genetico creato ad hoc per identificare la mutazione nella linea germinale responsabile del problema. Solo in oncologia, i test genetici per determinare il rischio sono più di 200, con numeri in continua crescita e sempre più laboratori che si stanno attrezzando per eseguirli. Come spiegano gli esperti ASCO, però, la misura e le solide prove scientifiche devono essere alla base delle tecnologie più innovative e dei nuovi test genetici. È il caso per esempio dei test che valutano pannelli di geni. Secondo l'American College of Medical Genetics and Genomics, ogni volta che si prescrive un test genetico, e indipendentemente dal motivo per il quale è stato rischiesto, dovrebbe essere valutata anche la presenza di altre mutazioni ereditarie - 58 per la precisione - fortemente associate a malattie dell'uomo, in particolare diverse forme di cancro. Se così avvenisse, medici e pazienti dovrebbero a maggior ragione essere pronti a gestire molte più informazioni di quante richieste in origine. E infatti l'ASCO sconsiglia l'eccesso di analisi: "Fino a quando tutti i dubbi sui risultati di questi nuovi test non saranno chiariti, la cosa migliore è limitarsi ad analizzare solo i geni che possono aiutare nelle cure, in base a ciò che suggeriscono la storia familiare e le caratteristiche di ogni singolo paziente" affermano gli esperti.
Quello appena pubblicato non è il primo documento che l'ASCO dedica ai test genetici utilizzati per valutare il rischio in oncologia. Il primo risale infatti al 1996, quando gli esperti statunitensi pubblicarono un testo con lo scopo principale di fornire informazioni sul rischio di sviluppare altri tumori dopo il primo e sui rischi all'interno della famiglia del paziente. Per restare al passo con le nuove scoperte sul rapporto tra cancro e DNA, il documento fu aggiornato nel 2003 e poi anche nel 2010, fino ad arrivare all'attuale revisione, voluta per comunicare e gestire al meglio l'impatto delle nuove tecnologie di analisi genetica in questo settore tanto delicato della medicina.
Cristina Ferrario