Ultimo aggiornamento: 1 marzo 2021
La radiografia in bianco e nero è ormai affiancata da tecniche che sfruttano lo spettro della luce per offrire un’accuratezza più elevata e la possibilità di eseguire analisi sofisticate
Uno studio giapponese i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista medica Annals of Internal Medicine ha dimostrato che l’utilizzo di una tecnica endoscopica innovativa aumenta la capacità di diagnosticare precocemente i tumori del tratto gastrointestinale superiore (faringe, esofago e stomaco). Questa tecnologia, chiamata LCI (Linked Color Imaging), grazie a un particolare sistema di illuminazione e un sofisticato sistema di elaborazione, permette di ottenere immagini ben contrastate della mucosa che riveste l’apparato digerente. Analizzando queste immagini colorate, il radiologo può vedere più facilmente se sono presenti lesioni pericolose. L’endoscopia LCI è una delle numerose tecnologie che si vanno affermando nella diagnostica e nella ricerca, in cui il colore ha un ruolo essenziale.
I dottori Shoko Ono e Kenro Kawada, assieme ai propri collaboratori, hanno messo direttamente a confronto la performance della tecnica endoscopica tradizionale con quella dell’endoscopia LCI. Nel loro studio, che ha coinvolto 1.500 pazienti e 60 endoscopisti esperti, utilizzando la prima tecnica sono state scoperte 36 lesioni tumorali, mentre quando è stata usata la seconda il numero è salito a 60. L’utilizzo dell’endoscopia LCI potrebbe quindi facilitare il riconoscimento di tumori che altrimenti passerebbero inosservati.
Sono numerose le tecnologie che sfruttano tutto lo spettro della luce per la diagnosi, la cura e lo studio dei tumori. In alcuni casi, come in quello citato, si lavora con quella che viene chiamata “luce visibile”, perché è naturalmente percepita dall’occhio umano. In altri invece si lavora con lunghezze d’onda diverse, che richiedono strumenti appositi per essere rilevate. Questo succede per esempio quando si impiegano traccianti fluorescenti per colorare i tessuti, che vanno poi illuminati da un fascio di luce particolare ed esaminati con speciali videocamere. Traccianti fluorescenti come il verde indocianina sono particolarmente utili in campo chirurgico, in quanto aiutano il chirurgo a visualizzare i dettagli anatomici dell’area interessata dal cancro e a preservare le strutture che si trovano vicine alla massa tumorale, riducendo anche il rischio di complicanze. Sono allo studio molecole fluorescenti capaci di legarsi selettivamente alle cellule tumorali, da utilizzare proprio per “illuminare a giorno” il tumore facilitandone l’asportazione. Una di queste molecole, chiamata “tumor paint” (letteralmente, “vernice per tumori”) dall’azienda che la sta sviluppando, è ricavata dal veleno di scorpione.
Alcune tecnologie non prevedono una vera emissione di onde luminose: i colori sono virtuali, generati dall’elaborazione informatica dei dati registrati dal dispositivo diagnostico. Pensiamo all’ecocolordoppler, un ecografo adoperato in cardiologia per visualizzare i vasi sanguigni e studiare i flussi ematici. Per convenzione, sullo schermo, il flusso sanguigno che si avvicina alla sonda è colorato in rosso e quello che si allontana è colorato in blu. L’ecocolordoppler è usato anche in oncologia, in particolare per differenziare i tumori benigni e maligni nella diagnosi del tumore del testicolo.
In anni recenti è stata messa a punto la tomografia computerizzata a colori, indicata come TC spettrale o TC dual-energy. I tomografi di ultimissima generazione, oltre a visualizzare le strutture anatomiche, permettono di distinguere tra loro anche i tessuti del corpo umano. La fisica che sta alla base di questa tecnica è assai complessa e ha a che fare con fotoni, densità e numeri atomici. Il risultato visivo è una ricostruzione a colori delle varie parti del corpo, che consente di rilevare con maggiore immediatezza eventuali alterazioni e quindi anche la presenza di tumori.
Un’ultima tecnica basata sui colori che va citata è la citofluorimetria. Questo sistema permette di caratterizzare le cellule grazie ad anticorpi che riconoscono molecole presenti sulla superficie della cellula stessa e che sono legati a gruppi chimici in grado di emettere luce se colpiti da un raggio con una certa lunghezza d’onda. La citofluorimetria è importantissima nella diagnosi e nel follow-up dei tumori del sangue (leucemia e linfomi), ma è anche molto comune nei laboratori che studiano la composizione cellulare dei tumori. Adoperando strumenti particolari è poi possibile separare e recuperare sottotipi di cellule di interesse, da usare per esempio nelle terapie cellulari avanzate. Grazie al progresso della tecnica, oggi sono disponibili strumenti avanzati e una gamma incredibile di molecole fluorescenti. Se un paio di decenni fa si andava fieri della “citofluorimetria a 4 colori”, oggi di colori se ne usano anche 20 contemporaneamente: un arcobaleno di speranza nella ricerca contro il cancro.
Agenzia Zoe