Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Forse siamo più abituati a pensare all'ingegnere come a un professionista che costruisce ponti o strade o che gestisce i problemi energetici o ancora che si occupa di sviluppare motori e macchine capaci di grandi prestazioni.
In realtà, da qualche anno a questa parte, ci sono anche ingegneri che svolgono un ruolo di primo piano nella ricerca medica, inclusa quella oncologica: sono gli ingegneri biomedici, che rappresentano un ponte tra il mondo dell'ingegneria tradizionale e quello della medicina e della biologia. E se descrivere tutti i settori dell'ingegneria classica è un'impresa piuttosto ardua, la situazione si complica ulteriormente quando si cerca di individuare i numerosissimi campi d'azione nei quali si muovono gli ingegneri biomedici.
Trovare una definizione che descriva in modo esaustivo questa figura professionale è molto difficile. "In linea di massima possiamo dire che la base formativa dell'ingegnere biomedico è di tipo ingegneristico, fatta quindi di tanta matematica e fisica" spiega Emiliano Votta, responsabile del Laboratorio di biomeccanica computazionale del Dipartimento di bioingegneria del Politecnico di Milano. E su questa base comune si inseriscono poi altre competenze, a seconda della specializzazione scelta e del percorso formativo e professionale di ciascuno. "Anche nella ricerca oncologica e medica lo scenario è complesso" continua Votta. "Alcuni ingegneri si occupano per esempio di chimica, di biologia molecolare o biologia cellulare e possono applicare le loro competenze in questo ambito".
Grazie a studi di modellistica al calcolatore gli ingegneri "osservano" fenomeni che si verificano su scala molecolare: si studia per esempio perché una proteina a contatto con una determinata sostanza modifica la propria struttura oppure si cerca di predire il comportamento di un nuovo materiale o di un nuovo di-spositivo per il rilascio di un farmaco. "In realtà, indipendentemente dal suo specifico campo d'azione, spesso l'ingegnere è una sorta di progettista" chiarisce Votta "e l'ingegnere biomedico, a differenza di quello più tradizionale, progetta strumenti o protocolli rivolti specificamente allo studio di processi che si verificano nell'organismo vivente e alla soluzione di problemi clinici. Ecco perché è fondamentale che abbia anche buone basi di biologia, fisiologia e medicina". Attenzione però. "L'ingegnere biomedico non è un biologo molecolare di serie B ma piuttosto una figura che si affianca al biologo e che con lui dialoga per trovare le soluzioni ai problemi biologici con gli strumenti dell'ingegneria, strumenti fatti anche di algoritmi, numeri e formule matematiche" precisa il ricercatore del Politecnico milanese.
Uno dei settori medico-clinici nei quali l'ingegnere biomedico è indispensabile è senza dubbio quello che riguarda lo studio e l'elaborazione delle immagini. "Le immagini hanno un ruolo fondamentale nell'oncologia" afferma Giovanna Rizzo, ricercatrice dell'Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del CNR di Milano e responsabile del Laboratorio di bioingegneria per l'integrazione di immagini biomediche multimodali. "Oggi il medico non può fare a meno delle informazioni che derivano da esami come ecografia, risonanza magnetica, TC o PET sia per formulare la diagnosi sia per capire se e quanto la terapia sta funzionando". E in un contesto come questo, sempre più ricco di possibilità ma sempre più complesso anche dal punto di vista tecnologico, l'ingegnere si inserisce grazie alla sua capacità di elaborare le immagini attraverso lo sviluppo di modelli e metodi matematici. E proprio a questa applicazione servono gli studi di tipo più clinico e biologico. "Il corpo umano può essere paragonato a una macchina complessa, ma la sua caratteristica di organismo vivente richiede approcci molto diversi da quelli dell'ingegneria tradizionale" sottolinea la ricercatrice.
Anche nel campo dell'imaging l'ingegnere è colui che mette a punto i metodi che permettono di estrarre informazioni accurate dall'immagine stessa e di organizzare queste informazioni in modo che il medico le possa poi sfruttare per definire la terapia. "Collaborando a stretto contatto con medici, biologi e fisici, l'ingegnere biomedico riesce a creare strumenti adatti a una medicina sempre più personalizzata" dice Rizzo. Basta pensare a quella che i medici chiamano radioterapia adattativa: prima di iniziare un ciclo di radioterapia si utilizzano le immagini derivate da TC e PET per stabilire con esattezza dove indirizzare la radiazione e con quale intensità. Ma per decidere è necessario leggere le informazioni che arrivano dall'immagine e che ci mostrano, per esempio, dove è il tumore e quanto è grande, e ci indicano anche se all'interno vi sono aree che mostrano un comportamento diverso dal punto di vista del metabolismo e della proliferazione cellulare. "L'ingegnere deve sviluppare sistemi che rendano sempre più leggibili queste informazioni" spiega Rizzo. "Nel corso della radioterapia si effettuano esami mirati per verificare come il tumore è cambiato grazie al trattamento; una volta appurato che il cambiamento c'è stato, si impostano nuovamente i parametri della radioterapia per 'adattarla' alla nuova situazione". Così facendo si sfruttano al massimo le potenzialità delle nuove tecniche.
"L'ambiente ideale per realizzare questi progetti di terapia altamente personalizzata è quello multidisciplinare" conclude Rizzo. "L'ingegnere biomedico non sostituisce né il medico, né il fisico, né alcuna altra figura professionale, ma piuttosto si unisce a loro in un gruppo dove ognuno mette a disposizione le proprie competenze verso l'obiettivo comune di sconfiggere la malattia".
È anche importante dedicare un po' di tempo a studiare gli strumenti per la tutela della privacy se si usano social network come Facebook, e verificare regolarmente che solo i nostri veri amici leggano ciò che vogliamo resti privato. "È sempre più cruciale, anche considerando che i social network incoraggiano sempre a condividere tutte le informazioni personali" si legge nel sito Cancer and Careers. "Per questo occorre pensare bene a quali informazioni vogliamo condividere, pensando agli effetti a breve termine ma anche a quelli a lungo termine, ricordando che una volta che l'informazione è 'là fuori' potrebbe restarci per sempre".
Anche sul versante medico si sta acquisendo consapevolezza dei rischi associati alle grandi opportunità offerte dai social media: l'American Society of Clinical Oncology ha pubblicato di recente un rapporto, curato da David Graham, del Carle Physician Group di Urbana, in Illinois, in cui segnala con preoccupazione il rischio che i medici stessi possano inavvertitamente violare la privacy dei loro pazienti, raccontando online dettagli che permettono di identificarli. La raccomandazione generale - condivisa anche da un decalogo pubblicato dall'American Medical Association - è quella di tenere il più possibile la vita professionale separata dalla vita privata, anche online. Le relazioni tra medici e pazienti devono appartenere solo alla sfera professionale: un medico che voglia mantenere i contatti con i propri assistiti, per esempio, potrà farlo solo attraverso un profilo dedicato e schermato agli sguardi indiscreti.
Il contributo degli ingegneri alla ricerca oncologica non si ferma alla creazione di programmi e strumenti. "Il mio ruolo in laboratorio consiste nell'ottimizzare la gestione del progetto di ricerca sotto diversi punti di vista" spiega Vera Tomaino, che da un paio di anni lavora nel gruppo di Pierfrancesco Tassone all'Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro. Dopo una laurea in ingegneria gestionale, la giovane ricercatrice calabrese ha conseguito un dottorato in ingegneria biomedica e informatica presso lo stesso ateneo e proprio durante questa esperienza ha incontrato per la prima volta le discipline mediche e in particolare l'oncologia. "Il corso di studi prevedeva alcuni esami dell'area medica e io ho scelto oncologia" spiega Tomaino, che nel corso del dottorato ha anche lavorato per un periodo negli Stati Uniti, presso il dipartimento di Industrial and System Engineering dell'Università della Florida, Gainesville. "Negli USA studiavo modelli di ottimizzazione, uno dei principali ambiti dell'ingegneria gestionale, e ho avuto la possibilità di cooperare con numerosi esperti di modellistica matematica che si interessano anche di applicazioni in ambito medico clinico" chiarisce. "Una volta tornata in Italia ho incontrato quasi per caso Pierfrancesco Tassone con il quale ho iniziato a collaborare". Il ricercatore calabrese è il coordinatore di un progetto che coinvolge ben sette gruppi di ricerca per sviluppare terapie innovative per il mieloma multiplo e la leucemia linfatica cronica e che ha ottenuto il finanziamento del 5 per mille di AIRC.
"Il mio contributo, come ingegnere biomedico con esperienza gestionale, consiste nel monitorare e ottimizzare le varie fasi del progetto, dalla gestione dei materiali e delle tecnologie innovative utilizzati in laboratorio fino alla definizione delle tappe sperimentali, alla pubblicazione e alla eventuale copertura con brevetti dei risultati ottenuti" spiega la ricercatrice. Perché questo approccio possa funzionare davvero non bastano la laurea in ingegneria o l'impegno dei ricercatori: serve soprattutto una forte interazione tra i vari professionisti coinvolti: medici, biologi, farmacologi, chimici, informatici e ingegneri.
Anche se molti non lo sanno, gli ingegneri sono presenti nei nostri ospedali già da diversi anni. Come si legge nella definizione della Associazione italiana ingegneri clinici, operativa in Italia sin dal 1993, "l'ingegnere clinico è un professionista che partecipa alla cura e alla salute garantendo un uso sicuro, appropriato ed economico delle tecnologie nei servizi sanitari". E prendendosi cura della gestione del "parco macchine" dell'ospedale (strumenti di diagnosi, respiratori, macchine per la riabilitazione e molto altro ancora) l'ingegnere si prende cura anche dei singoli pazienti che con queste macchine vengono trattati.
La bioingegneria è una scienza relativamente nuova nel nostro Paese, ma di anno in anno aumenta l'interesse attorno ad essa. Di conseguenza è aumentata anche l'offerta formativa con programmi di studio che cambiano continuamente per venire incontro alle esigenze del mercato e della ricerca. Se fino a qualche anno fa chi voleva diventare bioingegnere doveva passare da una laurea "classica" in ingegneria elettronica, meccanica o informatica e poi specializzarsi introducendo nel proprio piano di studi esami di tipo più biologico o medico, oggi la situazione è cambiata e molti atenei in Italia propongono lauree di primo livello e lauree magistrali. E per chi volesse approfondire ancora di più, in alcune università sono disponibili anche dottorati e master di primo e secondo livello. L'elenco aggiornato dei corsi attivati (suddivisi per tipologia, sito e denominazione) è disponibile sotto la voce "education" nel sito del Gruppo nazionale di bioingegneria.