Supplementi e pillole non possono sostituire il cibo

Ultimo aggiornamento: 23 marzo 2020

Supplementi e pillole non possono sostituire il cibo

Per prevenire la comparsa di alcuni tumori, c’è chi ricorre a integratori. Le prove a sostegno del loro utilizzo, però, non sono sufficienti a raccomandarne l’uso.

Alcune abitudini alimentari, in particolare il consumo frequente di vegetali, possono ridurre il rischio di ammalarsi di cancro. Spesso però cambiare dieta e seguire regole alimentari più sane si rivela più complicato del previsto: di fatto, le campagne destinate a invogliare le persone a seguire regole alimentari più corrette di rado sortiscono gli effetti previsti. Sono nati così gli integratori alimentari, ovvero formulazioni in pillola di principi attivi che, sulla base di studi epidemiologici e di laboratorio, sembrano fornire protezione dalle malattie, in particolare dal cancro.

Il teorico vantaggio degli integratori in pillola, rispetto alla variazione della propria dieta, è evidente: con un solo gesto (la pillola) si fornisce all’organismo un dosaggio elevato di sostanze potenzialmente utili (principalmente antiossidanti e vitamine), dosaggio spesso impossibile da raggiungere con la semplice alimentazione.

Una volta sottoposta al vaglio delle sperimentazioni, però, la maggior parte degli integratori ha deluso le attese di chi sperava di sopperire con una pillola o una fialetta a un’alimentazione poco sana: non solo l’effetto non è altrettanto benefico, ma in molti casi si è rivelato controproducente, aumentando, anziché diminuire, il rischio di ammalarsi.

È probabile infatti che, negli alimenti, l’effetto protettivo, quando presente, derivi dall’azione collaborativa delle varie sostanze miscelate in specifiche proporzioni nei diversi alimenti, piuttosto che dall’azione di un singolo principio attivo. Riprodurre in una compressa le proprietà nutrizionali di un intero alimento è impossibile. Inoltre è tutt’altro che trascurabile il ruolo delle fibre e di altri elementi contenuti nel cibo completo, anche se soltanto in tracce.

Non basta uno studio

Uno degli errori più comuni commessi da chi cerca informazioni sul ruolo positivo o negativo che un particolare alimento può esercitare sul rischio di cancro è puntare l’attenzione su un unico studio, a volte neppure condotto sull’uomo.

Un esempio molto noto è quello della vitamina E, contenuta in diversi alimenti. Ci sono studi che dimostrano come questo micronutriente – così vengono definite le vitamine e i sali minerali – abbia effetti protettivi contro il cancro di colon, prostata e vescica, soprattutto grazie al suo ruolo di antiossidante e stimolante per il sistema immunitario. Altri studi affermano il contrario e sostengono, per esempio, che assumere supplementi a base di vitamina E aumenti il rischio di tumore della prostata. Quale di queste affermazioni è vera? In un certo senso entrambe sono corrette: l’effetto rilevato nei diversi studi, infatti, è ambiguo. Le differenze possono dipendere da come sono progettate le ricerche: possono cambiare il numero di pazienti, le caratteristiche dei partecipanti (per età, sesso o presenza di altre malattie), la dose di alimento o integratore consumata, il modo di quantificare le dosi stesse e così via. La lista delle differenze tra due studi può essere molto lunga e può influire in modo decisivo sul risultato finale, spiegando la variabilità delle conclusioni.

Un altro caso in cui il supplemento si è rivelato dannoso è quello del betacarotene, un precursore della vitamina A che, secondo alcuni studi, sembra aumentare il rischio di sviluppare un cancro del polmone nei fumatori. Viceversa esistono ricerche che hanno dimostrato come supplementi a base di calcio e persino multivitaminici possano avere un effetto protettivo nei confronti del cancro del colon. Si tratta però di dati complicati da interpretare e, soprattutto, da tradurre in raccomandazioni pratiche.

Gli integratori, infatti, non sono farmaci e, prima di metterli in commercio, la legge non impone di dimostrare che facciano bene, ma solo che non siano tossici o pericolosi, cioè che non facciano male. Per questa stessa ragione non si possono indicare, sulle confezioni degli integratori, eventuali proprietà terapeutiche (anche se spesso le persone li assumono nella convinzione che possano essere utili a prevenire o curare determinate malattie) e nemmeno preventive.

Utili in pochi casi

Gli integratori sono quindi sempre inutili? Non proprio: possono servire nei casi in cui vi sia una vera e propria carenza oppure una forma di malnutrizione, come per esempio nelle persone anziane o malate che, per ragioni fisiche (perdita di appetito, difficoltà a masticare), si nutrono poco e in modo non sufficientemente vario. La stessa situazione si può verificare nei pazienti sottoposti a chemioterapia, per via dei danni che i farmaci inducono temporaneamente alla mucosa della bocca e che possono interferire con la percezione dei sapori ma anche con la deglutizione. In tutti questi casi sarà il medico stesso a suggerire integratori e supplementi, almeno fino a quando il paziente non potrà riprendere un’alimentazione equilibrata.

Il World Cancer Research Fund, la più importante istituzione di ricerca nel campo dell’alimentazione e cancro, ha identificato anche altre situazioni nelle quali i supplementi sono non solo utili ma necessari. Per esempio: la vitamina B12 nelle persone che hanno difficoltà ad assorbire la vitamina stessa (a volte a seguito di una resezione chirurgica legata a un tumore del tratto gastrointestinale); l’acido folico nelle donne che desiderano avere un figlio, per proteggerlo dalle malformazioni del sistema nervoso; la vitamina D nei casi di documentata carenza (ovvero solo dopo che gli esami del sangue dimostrano che c’è una mancanza obiettiva di questa vitamina).

Il mondo delle promesse (mancate)

Integratori, fitoterapici, nutraceutici, superfood sono termini ormai di uso quotidiano riferiti a prodotti acquistabili anche nelle farmacie e che promettono di prevenire o curare praticamente ogni disturbo. Ma funzionano? Renato Bruni, docente di botanica farmaceutica presso il Dipartimento di scienze degli alimenti e del farmaco dell’Università di Parma, spiega in un libro che la questione è tutt’altro che semplice e che anche chi si occupa di studiare le sostanze attive contenute negli alimenti fatica a dare risposte immediate e definitive. Dopo aver smascherato le narrazioni del marketing, che spesso assecondano il desiderio di trovare soluzioni semplici per questioni complesse, l’autore racconta con leggerezza (e tanti aneddoti divertenti) cosa dice la letteratura scientifica e quali sono le ricerche disponibili, fornendo una grande quantità di informazioni per aiutare il lettore a prendere decisioni più consapevoli.

Renato Bruni
Bacche, superfrutti e piante miracolose. Il mondo degli integratori e dei cibi dalle mille promesse
Mondadori, 2019

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