Ultimo aggiornamento: 10 maggio 2019
Studiando come gli atomi interagiscono tra di loro, come si dispongono nello spazio e quali sono le forze che li muovono, la chimica contribuisce in modo fondamentale alla ricerca sul cancro.
Elettroni, legami, forze piccole ma allo stesso tempo incredibilmente potenti: di questo si occupa un chimico, che analizza la materia con un occhio particolare e molto attento, che non si ferma alla molecola ma riesce ad andare ancora più a fondo per comprendere come i singoli atomi e le loro interazioni possano regolare i processi biologici e aiutarci nella lotta contro il cancro. Nel sito dell'Ordine professionale dei chimici questa disciplina viene definita "scienza della materia nel senso più compiuto dell'espressione": si parla cioè di una scienza capace di offrire la chiave di lettura per comprendere le regole che governano il mondo in base alla conoscenza delle complesse relazoni che legano struttura, proprietà e comportamenti della materia. E quando si pensa alla chimica moderna non si deve certo pensare solo a laboratori pieni di alambicchi e provette. I laboratori ci sono, ma oggi i chimici hanno a disposizione tecnologie avanzate che coniugano le conoscenze della chimica con quelle della fisica, dell'informatica, della matematica e della biologia molecolare per ottenere risultati sorprendenti.
"Tutti gli aspetti della vita sono regolati a livello molecolare e senza comprendere le molecole possiamo solo avere una visione incompleta della vita stessa" ha detto Francis Crick, premio Nobel e scopritore della struttura del DNA.
"Credo che queste parole rappresentino il perfetto biglietto da visita per un chimico che si occupa di ricerca in campo oncologico e più in generale biologico" afferma Sebastiano Pasqualato, coordinatore dell'Unità di cristallografia dell'Istituto europeo di oncologia di Milano. "Con il mio lavoro guardo a ciò che succede nella cellula da un punto di vista particolare, cerco di generare vere e proprie fotografie molecolari con uno zoom sempre più potente, che va oltre quello che si può ottenere con il classico microscopio" continua il ricercatore, arrivato a Milano dopo una laurea in chimica all'Università di Padova e un dottorato in Francia. In effetti, oggi è possibile studiare la struttura delle molecole e prevedere, in base alla loro forma e agli atomi che le compongono, come si comporteranno in un ambiente esterno, se e come si legheranno ad altre molecole, magari a quelle che costituiscono i farmaci. "Una delle caratteristiche peculiari dell'approccio chimico alla ricerca è la tendenza a muoversi in direzione bottom-up, in altre parole è un approccio che parte dal basso - dagli atomi e dalle leggi fondamentali della meccanica quantistica - per arrivare poi alle molecole e ai processi biologici più complessi" aggiunge Michele Pavone, ricercatore che si occupa di chimica fisica presso l'Università Federico II di Napoli e coordinatore del gruppo giovani della Società chimica italiana (SCI). Questa visione "atomica" della vita completa e arricchisce quella di tutti gli altri esperti che collaborano alla ricerca contro il cancro. "Una cosa è certa" riprende Pasqualato: "La strategia vincente è quella che prevede la collaborazione tra chimici, fisici, biologi e informatici".
Il premio Nobel per la chimica è stato assegnato nel 2014 a Martin Karplus, Michael Levitt e Arieh Warshel "per lo sviluppo di modelli multiscala per i sistemi chimici complessi". Ed è proprio grazie agli studi compiuti negli anni Settanta da questi tre ricercatori che oggi i chimici possono utilizzare sofisticate tecniche per pricreare al computer modelli delle reazioni chimiche e studiare molecole composte da centinaia o migliaia i datomi. La collaborazione tra i futuri premi Nobel comincia negli Stati Uniti, quando Warshel entra a far parte del laboratorio di Karplus, all'Università di Harvard. E sono passati ormai più di 40 anni - era il 1972 - dalla pubblicazione del primo modello che utilizzava anche la fisica quantistica per prevedere il comportamento delle molecole. In seguito anche Levitt si aggiunge ai due ricercatori e nel 1976 vengono pubblicati i risultati dei loro ambiziosi studi sugli enzimi, le molecole che rendono possibili tutte le reazioni biologiche: il primo modello computerizzato che descriveva le reazioni enzimatiche e rinforzava le basi della moderna chimica computazionale.
Come può un chimico con il suo punto di vista "atomico" contribuire alla ricerca oncologica? "In realtà la chimica è presente in tutte le fasi della ricerca oncologica, dalla diagnostica alla creazione di nuovi farmaci in grado di superare i limiti di quelli già esistenti" spiega Sandro Cosconati, ricercatore alla Seconda Università di Napoli dove è tornato dopo un dottorato negli Stati Uniti per occuparsi di drug design, ovvero della progettazione di farmaci, proprio per l'oncologia. Partendo dalla diagnosi, si incontra la chimica a livello dello studio e della creazione di strumenti nuovi come mezzi di contrasto, molecole radioattive da utilizzare in esami come la PET o la scintigrafia ossea, molto diffusi in campo oncologico.
Niente a che vedere con i fantasmi. Gli spettri ai quali si riferiscono i ricercatori sono in realtà una sorta di "impronta digitale della materia" che permette di studiare a fondo le caratteristiche del campione analizzato, magari un tessuto tumorale. La tecnica che analizza questi spettri si chiamaspettrometro di massa: utilizzando lo spettrometro - ne esistono di diversi tipi - è possibile separare tutti gli atomi che compongono il campione analizzato in base al loro rapporto tra massa e carica. Il risultato è un insieme di picchi che sono tipici di quel composto e che rappresentano, appunto, la sua impronta digitale. L'importanza di questa tecnica è confermata anche da un articolo pubblicato nel gennaio 2014 sulla rivista PNAS da un gruppo dell'Università della FLorida diretto da Zoltan Takats, nel quale si descrive il processo che ha portato a distinguere i tessuti tumorali del colon-retto da quelli sani grazie all'analisi degli spettri. "Le immagini ottenute con la spettrometria di massa sono un approccio molto promettente per la ricerca oncologica" affermano gli autori, che sottolineano la portata rivoluzionaria della tecnica. "I diversi tipi di tessuto non vengono identificati in base alla loro struttura, come avviene nell'istologia classica, bensì grazie alla loro composizione chimica".
"Quando si parla di molecole marcate con una sostanza radioattiva, cioè capaci di farci 'vedere' cosa accade nei tessuti a livello subcellulare, si sottintende un contributo chimico molto importante" spiega Cosconati. "Il chimico studia infatti la struttura della molecola ed è in grado di indicare il punto migliore in cui aggiungere la sostanza radioattiva per ottenere strumenti sempre più efficaci e precisi". La parte della chimica che studia i radioisotopi - cioè le forme radioattive degli atomi - è importante anche nelle terapie oncologiche, in particolare nella medicina nucleare che sfrutta proprio le radiazioni emesse dagli atomi per distruggere le cellule tumorali. "Anche in questo caso è fondamentale conoscere in dettaglio le caratteristiche chimiche e fisiche dei materiali che si utilizzano" prosegue il ricercatore.
Che dire poi dello sviluppo di nuovi farmaci? "Da sempre questi processi si basano sulla chimica, che ancora oggi fornisce un contributo fondamentale, anche se con modalità completamente nuove" continua Cosconati. Oggi si parla infatti di rational drug design, la creazione "razionale" di nuovi farmaci che parte dal computer per arrivare al bancone del laboratorio riducendo al minimo gli sprechi di tempo e di risorse. "Tecniche come la cristallografia ai raggi X permettono di ricreare al computer la molecola che si vuole studiare" spiega Cosconati. "A questo punto è possibile, per esempio, confrontare questa molecola con quelle di farmaci già esistenti e selezionare quelle più promettenti da un punto di vista dell'interazione e dell'efficacia". Grazie a queste tecniche di chimica computazionale (al computer) si scelgono quindi le molecole sulle quali lavorare per produrre farmaci sempre più efficaci. "E il processo non si limita alla scelta dei candidati più promettenti" continua Cosconati. "Il chimico è in grado anche di modificarne la struttura per ottenere un prodotto ad hoc, diretto esattamente contro il bersaglio prescelto".
Per chi vuole intraprendere la professione di chimico il percorso da seguire parte senza dubbio da un corso di laurea in chimica presente praticamente in tutte le principali università. È prevista una laurea di primo livello della durata di tre anni, ai quali possono far seguito altri due anni di laurea magistrale. L'offerta formativa è molto vasta e le diverse università propongono specializzazioni differenti sia per le lauree triennali sia per quelle magistrali e non è quindi difficile riuscire a disegnare un percorso di studi che risponda appieno alle proprie esigenze. E per chi vuole continuare anche dopo la laurea magistrale esiste la possibilità di frequentare master o dottorati specifici che riguardano gli innumerevole campi di applicazione della chimica: dall'ambiente, alla medicina, all'energia eccetera. Sul sito del Consiglio nazionale dei chimici, alla voce "università", sono disponibili informazioni più dettagliate sui corsi di laurea in chimica presenti nelle diverse università italiane, divise per Regione.
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Cristina Ferrario