Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Le malattie professionali, che includono anche diverse forme di tumore, rappresentano un capitolo molto importante della medicina moderna, ma grazie alla ricerca e leggi ad hoc abbiamo oggi gli strumenti per prevenirle e tenerle sotto controllo.
Sostanze chimiche, radiazioni e comportamenti sbagliati sono alla base anche di numerosi tumori che compaiono tra i lavoratori, tanto che oggi si pensa che il quattro-sei per cento di tutti i casi di cancro debba essere considerato "occupazionale", un dato che si traduce in Italia in circa 6.500-7.000 decessi l'anno. "Non è affatto semplice studiare i tumori professionali" dice Pier Alberto Bertazzi, professore ordinario di medicina del lavoro all'Università statale di Milano e direttore della Clinica del lavoro del capoluogo lombardo. Come spiega l'esperto, i tumori sono malattie dovute a un complesso di cause e non è sempre facile comprendere il ruolo dei fattori professionali nel loro sviluppo. Un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che, nel caso dei tumori occupazionali, passano in genere molti anni (anche 30-40) tra l'esposizione a un fattore di rischio e la malattia. Infine bisogna tener presente che non è affatto semplice disporre di dati completi e aggiornati e, di conseguenza, è possibile che i dati disponibili sottostimino il fenomeno.
E se non è semplice studiare i tumori professionali, non lo è nemmeno identificare in modo chiaro tutte le sostanze e i processi lavorativi potenzialmente cancerogeni. È chiaro che molti lavoratori sono esposti in questi rischi sul luogo di lavoro. "In Europa il sistema Carex (CARcinogen EXposure) - che valuta il numero degli esposti a cancerogeni per motivi professionali - suggerisce che oltre il 20 per cento dei lavoratori italiani possa essere a rischio" precisa Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell'INAIL.
Riassumento, forse all'eccesso, è possibile identificare tre grandi classi di fattori di rischio oncologico per i lavoratori: di tipo chimico, di tipo fisico e di tipo biologico. Appartengono al primo gruppo moltissime sostanze chimiche utilizzate a vario scopo nell'industria o derivate dai processi produttivi come per esempio l'amianto, molti metalli (nichel, cromo, cadmio), il benzene, il cloruro di vinile usato per produrre il PVC, le amine aromatiche tipiche dei lavori che hanno a che fare con pigmenti e coloranti, le polveri della lavorazione del legno e del cuoio e molte altre ancora che fanno parte di una lista piuttosto lunga ma non ancora completa.
Il rischio di tipo fisico è legato invece a fattori diversi, come per esempio le radiazioni. Possono essere le radiazioni ultraviolette dei raggi del sole, per chi svolge attività all'aperto: non è da invidiare chi trascorre per lavoro intere giornate all'aria aperta, magari sotto il sole a picco di mezzogorno, perché in questi casi può aumentare il rischio di sviluppare tumori della pelle, dai più "tranquilli" basaliomi, fino ad altri tipi di carcinomi, mentre sui melanomi ancora si discute sul ruolo dei raggi UV. Il rischio professionale da radiazione è però legato in primo luogo alle radiazioni ionizzanti, derivanti per esempio dall'utilizzo di fonti radioattive nelle industrie nucleari o a scopi medici, oppure da sorgenti naturali come il radon, gas radioattivo che si forma per decadimento dell'uranio, di cui sono ricche naturalmente alcune aree geografiche e che si concentra in genere nei seminterrati, creando un rischio per chi lavora in questi ambienti, se non vengono adeguatamente controllati. Quanto al rischio biologico, può essere causato per esempio da batteri e virus, importante soprattutto per chi lavora in ambiente medico-sanitario.
Le fabbriche non sono dunque gli unici luoghi di lavoro a rischio e quindi è fondamentale, anche per chi non lavora nell'industria, applicare tutte le normative di sicurezza e verificare per non vedere aumentare il proprio rischio di cancro. "Anche in ambito agricolo sono segnalati causi di tumore che potrebbero avere un'origine occupazionale" spiega Bertazzi. "E questo anche se non ci sono, tra i pesticidi autorizzati all'uso, composti riconosciuti come cancerogeni".
L'attenzione al lavoro e al rapporto tra occupazione e malattie ha origine nel 1700 con Bernardino Ramazzini, medico italiano di Carpi (Modena), considerato il padre della medicina del lavoro grazie alla sua opera De Morbis Ariticum Diatriba (Le malattie dei lavoratori), il primo trattato che descrive in modo sistematico gli effetti del lavoro sulla salute dei lavoratori e che rappresenta ancora oggi il testo italiano di medicina più tradotto nel mondo. L'Italia in questa disciplina è una vera eccellenza, come riconobbe già un secolo fa il direttore di quella che era l'INAIL statunitense nella sua visita alla Clinica del lavoro a Milano, la prima del mondo e modello per altre strutture simili, sorte anche fuori dall'Europa, concepita dopo un grave incidente avvenuto durante gli scavi della ferrovia del Sempione. "Il malato è il lavoro ed è questo che deve essere curato, affinché siano prevenute le malattie dei lavoratori". Così rispondeva Luigi Devoto, fondatore nel 1910 della clinica milanese che oggi porta il suo nome, a quanti gli chiedevano perché non avesse chiamato la nuova struttura "Clinica dei lavoratori".
Fu chiaro sin da subito quindi che la medicina del lavoro non ha come obiettivo principale la cura delle malattie professionali, ma la loro prevenzione. "Questa branca della medicina si occupa oggi di diversi aspetti della relazione tra lavoro e malatti" dice il direttore della Clinica del lavoro milanese: "Identifica nell'ambiente di lavoro i fattori che possono essere nocivi per la salute; cerca di capire se i disturbi che insorgono nei lavoratori sono collegati all'occupazione svolta; interviene sul legame lavoro-malattia, dando indicazioni su come può essere migliorato un ambiente di lavoro e il rapporto tra il lavoratore l'ambiente in cui lavora e infine si impegna a promuovere la salute, cioè cerca di creare condizioni che la favoriscano, come la cessazione del fumo o l'adozione di una dieta salutare".
I risultati di questi anni di ricerca e di interventi mirati sono oggi chiaramente visibili. Molte sostante identificate come cancerogene sono state vietate - un esempio tra i più classici è la messa la bando nel 1992 dell'amianto e di tutti i prodotti da esso derivati - e sono state fornite a datori di lavoro e lavoratori le indicazioni su come lavorare al meglio per rendere sani e sicuri gli ambienti professionali. Ciò ha portato anche alla quasi totale eliminazione di tumori un tempo più comuni come l'angiosarcoma epatico legato all'esposizione al cloruro di vinile monomero che si utilizza per fare il PVC. "Ora di PVC se ne produce più di prima, ma in impianti chiusi, ermetici e il lavoratore non è più esposto, a differenza di quanto accadeva qualche decennio fa, quando l'esposizione era molto maggiore e causava tumori del fegato" spiega Bertazzi.
"Forte dei traguardi raggiunti, la medicina del lavoro è in evoluzione" spiega Iavicoli "oggi si sta muovendo in direzione del benessere complessivo del lavoratore, dalla prevenzione alla cura passando dalla promozione della salute. Un approccio che negli Stati Uniti chiamano Total Worker's Health, salute totale del lavoratore".
Ramazzini prese spunto per la sua opera dall'osservazione dei lavoratori che pulivano le fogne: persone di umile origine che cercavano di svolgere il lavoro velocemente, per limitare il tempo di esposizione ai miasmi delle latrine, irritanti per gli occhi e spesso causa di cecità. Ancora per molto tempo gli studi del settore continuarono a basarsi sull'osservazione delle occupazioni cercando eventuali malattie in chi le svolgeva. Come ricordano gli esperti, la ricerca più classica nel campo dei tumori professionali è basata soprattutto su studi retrospettivi, che valutano cioè popolazioni di lavoratori esposti in passato a sostanze note oggi per essere cancerogene, e ha permesso, tra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, di identificare un numero molto ampio di agenti cancerogeni presenti nell'ambiente di lavoro.
"Oggi la ricerca è cambiata e sono cambiati anche i suoi obiettivi" spiega Bertazzi. Si punta, per esempio, a una diagnosi più precoce includendo le persone esposte a rischi professionali in particolari programmi di valutazione. "Assieme ai medici dell?Istituto europeo di oncologia di Milano, stiamo cercando di valutare se anche le persone esposte a cancerogeni pericolosi per il polmone nella loro vita professionale possano essere inclusi nel programma di screening previsto dallo studio Cosmos, oggi riservato ai forti fumatori" afferma Iavicoli. "E con la ricerca si cerca di capire anche cosa succede a livello molecolare" aggiunge Bertazzi. In altre parole si cerca di arrivare molto prima della malattia. "Noi ci occupiamo di alcuni specifici cambiamenti nel DNA, cerchiamo quali sono i marcatori più precoci dell'interazione tra ambiente e organismo e di intervenire a quel punto, senza aspettare che si sviluppi una malattia" conclude.
"Parlando di tumori professionali è importante sottolineare che nella maggior parte dei casi oggi disponiamo delle conoscenze e degli strumenti per poterli prevenire" afferma Bertazzi, che ricorda i numerosi passi avanti compiuti nel settore prevenzione e protezione.
Uno dei cardini della prevenzione è senza dubbio la regolamentazione a livello di legge di tutte le norme che portano a lavorare in modo sicuro. "A livello normativo siamo decisamente a buon punto" spiega. "Non ci servono nuove leggi e nuove conoscenze, ma è importante che quelle esistenti vengano applicate al meglio". E in aggiunta al datore di lavoro, che oltre a garantire un ambiente di lavoro salubre deve mettere a disposizione dei dipendenti tutti gli strumenti per proteggersi (dai corsi di formazione alle maschere, gli indumenti protettivi, gli impianti adatti eccetera), anche il singolo lavoratore ha un ruolo importante e una responsabilità forte nel mantenere la propria salute. "Un problema che si riscontra spesso è quello della poca consapevolezza del rischio oncologico" spiega Iavicoli "e se non si ha la percezione che una sostanza o un atteggiamento sul lavoro possono essere pericolosi per la salute, diventa difficile mettere in atto le misure di prevenzione e di protezione più adatte".
Chi lavora al sole dovrebbe per esempio indossare sempre indumenti che coprano la pelle e proteggano dai raggi UV, dovrebbe usare creme solari e cercare di trascorrere le ore più calde all'ombra per quanto possibile. "Quello che vediamo però nella pratica di tutti i giorni è che i lavoratori stessi non sempre mettono in pratica le buone norme e le regole di protezione (fa caldo, perché devo indossare questo eccetera)" ricorda Bertazzi. "In un'industria chimica o in una fonderia è molto più semplice mettere in atto le norme di prevenzione, e inoltre c'è anche una maggior consapevolezza da parte del lavoratore del rischio che corre, maneggiando determinate sostanze in modo non corretto".
Tutte le conoscenze e i dispositivi di sicurezza non contano se il lavoratore stesso le ignora: servono quindi informazione e tanta responsabilità individuale, oltre a quella, ovvia e obbligatoria per legge, del datore di lavoro. Non ultima c'è la consapevolezza dei medici. "Che lavoro fai?" chiedeva Ramazzini nel 1700 ai propri pazienti, una domanda che non sempre i medici di oggi pongono a chi hanno di fronte. "Informarsi sulla professione svolta anche in passato dal proprio paziente può essere importante per capire l'origine di alcuni disturbi che si manifestano anche dopo anni dalla fine della vita lavorativa" conclude Iavicoli.
TUMORE | PRINCIPALE AGENTE O PROCESSO LAVORATIVO RESPONSABILE |
Mesotelioma pleurico | Amianto |
Polmone | Amianto, idrocarburi aromatici policiclici (benzene) legati all'industria del carbone e del petrolio, metalli (cromo, nichel, cadmio), polveri sottili, cloruro di vinile, catrame, fumi esausti dei motori diesel |
Vescica | Amine aromatiche tipiche dell'industria che utilizza pigmenti e coloranti, sostanze chimiche della lavorazione di pelle, plastica e tessuti |
Fosse nasali e seni paranasali | Polveri di legno e di cuoio, metalli (cromo, nichel), formaldeide |
Leucemie e linfomi | Benzene, pesticidi, insetticidi, radiazioni |
Pelle | Radiazioni UV, paraffina, alcune sostanze chimiche |
Agnese Codignola, Cristina Ferrario