Ultimo aggiornamento: 29 settembre 2025
La salute cardiaca e i tumori sono legati a doppio filo. Ma i biomarcatori cardiaci possono aiutare a predire il rischio oncologico?
Negli ultimi anni la ricerca scientifica sta indagando sempre di più il rapporto tra le due principali cause di morte al mondo: il cancro e le malattie cardiovascolari. Queste patologie sembrano infatti essere legate sotto diversi aspetti. Ne parliamo in occasione della Giornata mondiale del cuore, che cade il 29 settembre di ogni anno.
Da tempo sappiamo che le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore hanno fattori di rischio in comune. Tra questi vi sono, per esempio, l’invecchiamento, l’abitudine al fumo, un’alimentazione poco varia e non equilibrata, la sedentarietà e problemi di salute come l’obesità e il diabete. La buona notizia è che su alcuni di questi è possibile agire adottando abitudini e comportamenti salutari, riducendo così il rischio di sviluppare le malattie oncologiche e cardiovascolari.
Un altro fatto conosciuto da diversi decenni è che il cancro è associato a un maggior rischio di trombosi e viceversa: tra i pazienti oncologici sono più frequenti gli eventi trombotici, mentre tra i pazienti con trombosi sono più comuni le diagnosi di tumore.
Un ulteriore motivo per cui i tumori sono a volte associati a problemi cardiaci è legato alle terapie antitumorali. Tra gli effetti collaterali di diversi farmaci contro il cancro vi sono di frequente danni a carico del cuore. Per proteggere la funzionalità di quest’organo essenziale sono spesso prescritti appositi farmaci cardioprotettori. Ciononostante, i pazienti oncologici sono a maggiore rischio di disturbi cardiovascolari e chi ha affrontato una diagnosi di tumore ha una mortalità molto più alta per patologie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale.
I risultati di una recente ricerca suggeriscono che la connessione tra la salute del sistema cardiovascolare e il cancro sia ancora più stretta. Sembra infatti che alcuni biomarcatori cardiaci possano essere sfruttati per predire il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore.
Uno studio condotto da un gruppo di ricerca multidisciplinare dell’Università della California (UCLA, Los Angeles), da poco pubblicato sulla rivista JACC Advances, ha preso in esame in particolare due biomarcatori cardiaci: la troponina T e il pro-peptide natriuretico NT. Queste due molecole sono in particolare rilasciate nel circolo sanguigno quando la salute del cuore è compromessa e in ambito cardiologico vengono tipicamente sfruttate nelle analisi di laboratorio per rilevare il tipo del possibile danno cardiaco. L’aumento della troponina T nel sangue suggerisce un danno al muscolo cardiaco, del tipo che si ha durante un infarto, mentre un’alta concentrazione di pro-peptide natriuretico NT è un indicatore di insufficienza cardiaca o di scompenso cardiaco. In ambito oncologico, invece, tali marcatori sono utilizzati per individuare i pazienti a maggiore rischio di cardiotossicità da parte delle terapie antitumorali. Si cerca così di costruire per ciascun paziente un percorso terapeutico più preciso e mirato anche dal punto di vista della protezione dai più importanti effetti collaterali.
I risultati ottenuti dai ricercatori della UCLA suggeriscono che un aumento minimo di questi due marcatori nel circolo sanguigno, anche in persone senza sintomi cardiaci, sarebbe un fattore predittivo generale del rischio di sviluppare un cancro, indipendentemente da altri fattori di rischio. In particolare, l’aumento di entrambi i biomarcatori è stato associato a un aumento del rischio di sviluppare un cancro del colon, mentre un aumento del solo pro-peptide natriuretico NT è stato correlato a una maggiore probabilità di sviluppare un cancro al polmone.
Il dato è emerso dal monitoraggio dei 6.244 partecipanti allo studio statunitense Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA), seguiti per circa 18 anni. Al momento del reclutamento nello studio MESA, tra il 2000 e il 2002, ai partecipanti non erano ancora stati diagnosticati né malattie cardiovascolari né tumori. I ricercatori hanno osservato quanti e quali tipi di cancro sono stati diagnosticati ai partecipanti nel corso dei decenni successivi – in totale 820 nel periodo di tempo considerato. Utilizzando metodi statistici avanzati, i ricercatori hanno analizzato sia i casi sia i controlli, ossia le persone che invece non hanno sviluppato un tumore. Hanno così individuato una correlazione statisticamente significativa tra i livelli più elevati di questi biomarcatori cardiaci in alcuni dei partecipanti, già presenti all’inizio dello studio, e un aumento del rischio di sviluppare un cancro negli anni seguenti.
Anche AIRC ha sostenuto studi su un tema vicino a questo: in un programma “5 per mille” diretto da Anna Falanga, dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e dell’Università degli studi Milano-Bicocca, i ricercatori hanno svolto uno studio clinico che ha coinvolto molti pazienti e volontari per indagare lo stretto legame esistente tra la trombosi e lo sviluppo di un tumore e i meccanismi coinvolti.
Tuttavia, gli autori della ricerca statunitense mettono in guardia dal trarre conclusioni affrettate. I risultati sono promettenti ma non bastano: un singolo studio osservazionale in cui è emersa una correlazione tra aumentati livelli di biomarcatori cardiaci e un aumento del rischio di cancro non è sufficiente per stabilire un rapporto di causalità tra i 2 fattori. Potrebbero indicare una malattia cardiovascolare subclinica che, a sua volta, aumenta la probabilità di sviluppare il cancro, ma l’ipotesi dovrà essere ulteriormente validata in futuri studi preclinici e clinici.
Sofia Corradin