Quanti anni ha il cancro? Ce lo dicono i fossili

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Quanti anni ha il cancro? Ce lo dicono i fossili

Si parla spesso del tumore come di una malattia della modernità legata alle modificazioni massicce dell'ambiente da parte dell'uomo e ai cambiamenti degli stili di vita. La paleontologia e l'archeologia, però, raccontano un'altra storia.

Swartkrans, Sud Africa, a poche decine di chilometri dalla capitale Johannesburg e nel bel mezzo della cosiddetta "culla dell'umanità", la zona da cui la nostra specie si è mossa per colonizzare il pianeta: è qui che la scoperta di un gruppo di ricercatori dell'Università del Witwatersrand ha permesso di datare indietro nel tempo, fino a 1,6-1,8 milioni di anni fa, il primo tumore maligno in un ominide, un antenato del genere umano. Analizzando con le più moderne tecnologie i reperti fossili ritrovati nel sito archeologico, i ricercatori hanno diagnosticato la presenza di un osteosarcoma maligno, un tumore dell'osso che aveva colpito il nostro antenato a livello del metatarso, nel piede, causandogli probabilmente gravi problemi nella deambulazione. "Non riusciamo a stabilire con esattezza quanti anni o per quale causa sia deceduto questo ominide, ma siamo certi che il tumore c'è e che risale a circa 1,7 milioni di anni fa" affermano gli autori della ricerca pubblicata recentemente sul South African Journal of Science.

Fattori di rischio vecchi e nuovi

Le cause all'origine dei tumori sono spesso complesse e ancora non del tutto note, ma in linea generale ve ne sono alcune con le quali l'uomo è entrato in contatto sin dalla sua origine. Si tratta innanzitutto dei fattori endogeni, ovvero presenti all'interno dell'organismo stesso: le mutazioni che portano alla trasformazione tumorale di una cellula possono comparire casualmente durante i processi di replicazione cellulare e non c'è motivo di pensare che i nostri antenati ne fossero immuni. Certo è che, essendo l'aspettativa di vita all'epoca molto più bassa rispetto a quella attuale, gli uomini della preistoria avevano meno possibilità di sviluppare mutazioni, semplicemente perché vivendo meno a lungo andavano incontro a un numero minore di replicazioni cellulari nel corso della loro esistenza.

I fattori di rischio esterni possono invece rientrare in tre grandi categorie: fattori fisici, chimici e virali. Le radiazioni solari, responsabili di alcuni tumori della pelle, erano presenti anche nell'antichità, così come il radon, una sostanza chimica potenzialmente pericolosa, sprigionata da alcuni tipi di rocce. Stesso discorso vale per alcuni virus noti per la loro capacità di dare origine a tumori come il virus dell'epatite B e C (tumore del fegato) o il Papilloma virus (tumore della cervice uterina). I numeri cambiano quando si parla di fattori di rischio che sono comparsi o si sono notevolmente modificati nel corso degli anni: l'epidemia di obesità tipica del mondo moderno ha senza dubbio aumentato il numero di casi di tumori, in particolare di quelli del colon-retto, il fumo di sigaretta ha contribuito enormemente all'aumento dei tumori del polmone e alcuni inquinanti industriali rendono difficile per il nostro organismo resistere agli attacchi quotidiani che possono portare al cancro.

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Fare diagnosi col calendario

Ma se i tumori erano presenti anche nell'antichità e addirittura in epoca preistorica, perché non ne abbiamo notizia? Un primo problema è legato alla definizione di cancro e a come la malattia veniva descritta: Imhotep, medico dell'Antico Egitto vissuto attorno al 3600 a.C., descriveva quello che potrebbe essere un tumore al seno, ma data la mancanza di dati più precisi non possiamo essere certi che si trattasse proprio di cancro. Si deve aspettare la fine del XVIII secolo per avere descrizioni anatomicamente accurate di tumori maligni così come oggi li conosciamo. Un secondo ostacolo all'identificazione di tumori antichi risiede nel fatto che gli organi e i tessuti molli in genere non si conservano e molte informazioni vengono quindi perse, a meno che non vengano effettuate procedure di mummificazione. Proprio da alcune mummie vecchie di migliaia di anni ritrovate in Perù arrivano i segni di un possibile tumore nella parte superiore del braccio di una giovane donna. I casi di tumore antichi finora rinvenuti interessano prevalentemente le ossa. Questo fatto è facilmente spiegabile: le ossa sono le parti dell'organismo che meglio si conservano fino a noi e inoltre i tumori ossei primari sono più comuni nei giovani, come doveva essere probabilmente la maggior parte dei nostri antenati al momento del decesso. Infine, ma non certo meno importante, i reperti disponibili sono spesso molto piccoli e di conseguenza solo grazie a tecnologie molto sofisticate è possibile arrivare a una diagnosi di tumore sufficientemente attendibile.

La tecnologia fa luce sul passato

Anche in epoca moderna i medici si trovano di fronte a casi di tumore difficili da diagnosticare a causa delle loro caratteristiche o del punto in cui si trovano nell'organismo. A maggior ragione queste difficoltà si incontrano quando si cerca di identificare un cancro in un reperto fossile, amplificate dal fatto che i frammenti disponibili sono spesso molto piccoli e che si sa poco o nulla sul "paziente". Viene in aiuto la tecnologia che, con strumenti sempre più precisi e sofisticati, riesce a trovare risposta a molte delle domande dei "paleoncologi". Nel caso dell'osteosarcoma scoperto in Sud Africa, la diagnosi è stata possibile grazie all'utilizzo di una microtomografia computerizzata a raggi X in grado di generare immagini in due e in tre dimensioni del piccolo campione disponibile. Questa tecnica, unita alla competenza dei ricercatori e al confronto con campioni moderni, ha permesso di scartare altre possibili diagnosi - come quella di condrosarcoma o carcinoma metastatico - e di arrivare al risultato definitivo.

Tumori antichi

Prima della recente scoperta sudafricana, il più antico tumore maligno osservato in un fossile umano era un cancro presente nella mandibola di un esemplare di Homo ritrovato nel 1932 a Kanam, in Kenya, dal paleontologo britannico Louis Leakey. L'osso risale probabilmente al Pleistocene e ha un'età di circa 1 milione di anni, ma ci sono ancora dubbi sulla datazione corretta, così come ci sono dubbi sul tipo di tumore presente, identificato dagli studi ogni volta come una neoplasia diversa, da osteosarcoma a linfoma di Burkitt a osteomielite traumatica. Non mancano però casi di tumori benigni nella Preistoria, come l'osteoma osteoide, scoperto sempre a Swartkrans, nelle vertebre di uno scheletro di Australopithecus sediba: età stimata 1,9 milioni di anni. Infine, vale la pena ricordare che anche i fossili di altri animali contribuiscono a sostenere l'idea che il cancro fosse presente già nell'antichità. Tra i più remoti, un caso di osteosarcoma benigno in un fossile di pesce di circa 300 milioni di anni, ma sono stati osservati tumori benigni anche nei dinosauri del Giurassico e in mammut di 23-24.000 anni fa.

  • Cristina Ferrario