Quando sono davvero utili gli studi con i topi?

Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024

Quando sono davvero utili gli studi con i topi?

Un nuovo metodo potrebbe consentire ai ricercatori di sapere in anticipo se la riproduzione di una malattia in un animale di laboratorio è sufficientemente affidabile per gli scopi di una ricerca

Gli animali di laboratorio sono indispensabili nella ricerca di base e nella fase preclinica dello sviluppo di nuove terapie. Dato che coinvolgono esseri viventi, il dibattito etico sul loro utilizzo è sempre molto acceso. Spesso tuttavia non si considera che i ricercatori sono i primi a limitare questo tipo di studi solo ai casi in cui non ci sono alternative. Un ambito di ricerca specifico si occupa inoltre di ridurre il ricorso agli animali di laboratorio e trovare nuove soluzioni. Ne è un esempio il recente studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Pittsburgh, negli Stati Uniti, che ha presentato un nuovo metodo per stabilire quanto la riproduzione di una malattia in un tipo di animale si avvicini a ciò che accade negli esseri umani. Questo approccio potrebbe permettere ai ricercatori di evitare di condurre esperimenti dai risultati non replicabili nei pazienti.

Il CAMO

Il rischio è diventato particolarmente evidente nel 2013 e 2014, quando due indagini, pubblicate sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), hanno cercato di dimostrare la somiglianza tra le malattie infiammatorie di diversi topi di laboratorio e le malattie corrispondenti negli esseri umani. Nonostante i ricercatori fossero partiti dagli stessi dati, le conclusioni che hanno tratto erano opposte. In un articolo si affermava che gli animali in questione erano modelli efficaci per studiare le malattie, mentre nell’altro si diceva, al contrario, che non lo erano. Questa incongruenza si poteva spiegare col fatto che i due gruppi di ricerca avevano fissato valori soglia differenti per le loro analisi.

Basandosi su questi presupposti, il gruppo di ricercatori di Pittsburgh, esperti in biostatistica, ha pensato di sviluppare uno schema di valutazione le cui soglie di partenza non fossero arbitrarie, ma calcolate in modo più preciso con il metodo CAMO (Congruence Analysis for Model Organisms). Si assegnavano punteggi di concordanza o discordanza sulla base delle variabili dei dati, incorporando poi informazioni sui meccanismi molecolari e sulla struttura del DNA. I ricercatori sono quindi ritornati sui due studi controversi e hanno applicato il CAMO alle sei condizioni infiammatorie analizzate. Alla fine delle loro indagini, hanno riscontrato una congruenza positiva tra topi ed esseri umani per due di esse e una negativa per altre due. Per le restanti due, i dati non erano sufficienti per trarre conclusioni definitive.

“Al posto di rispondere in modo vago e dicotomico, 'mimano poco' o 'mimano tanto' gli esseri umani, il CAMO aiuta i ricercatori a quantificare numericamente le congruenze, a distinguere le reali differenze tra specie, in termini di variabilità biologica o sperimentale, e a identificare visivamente i meccanismi e le ramificazioni delle vie molecolari che sono più o meno mimate dagli organismi modello” spiegano gli autori dello studio. “Questo pone le basi per generare ipotesi e per prendere le successive decisioni traslazionali.” Nel contesto della ricerca biomedica, l’aggettivo traslazionale è cruciale, perché indica la possibilità di sfruttare le conoscenze acquisite in laboratorio e trasformarle in benefici per i pazienti. Dopo lo studio delle incongruenze tra esseri umani e animali di laboratorio, ora i ricercatori di Pittsburgh stanno estendendo le analisi alle linee cellulari e agli organoidi con cui si studiano i tumori umani.

  • Agenzia Zoe

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