Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
I tassi di sopravvivenza degli adolescenti colpiti da una malattia oncologica non sono cresciuti quanto quelli dei bambini più piccoli o degli adulti. Le ragioni sono molte, ma gli esperti lavorano per superare gli scogli più grossi.
Li chiamano tumori AYA, acronimo di adolescent and young adults. Il fatto che ora le malattie oncologiche che colpiscono i ragazzi abbiano un nome è già un significativo passo avanti, perché fino a non molti anni fa, pur colpendo ogni anno circa 15.000 ragazzi solo in Italia, erano quasi dei fantasmi.
Non solo non venivano nominati o considerati negli studi clinici, ma spesso chi ne era colpito non era neppure ammesso nei reparti di pediatria se non in modo più o meno clandestino.
Di conseguenza, i ragazzi che avrebbero avuto bisogno di cure e considerazioni del tutto speciali, spesso non erano seguiti al meglio delle possibilità.
Con un risultato preoccupante: se infatti negli ultimi vent'anni la sopravvivenza dei malati più piccoli è cresciuta sensibilmente (del 30 percento prima dei quattro anni e del 40 per cento tra i 5 e i 15 anni), un miglioramento leggermente inferiore si è riscontrato in questa fascia d'età (le stime parlano di un 20 per cento circa), e non perché mancassero terapie efficaci, ma perché quelle disponibili non erano ancora applicate in modo appropriato a tutti coloro che ne avevano bisogno.
I tumori che colpiscono gli adolescenti sono infatti ibridi da diversi punti di vista, e questo causa difficoltà di gestione e cura. Spiega Andrea Ferrari, oncologo pediatra dell'Istituto nazionale tumori di Milano, tra i massimi esperti della materia in Italia, unico membro italiano dell'International Working Group specifico e autore di molte pubblicazioni: "I ragazzi possono ammalarsi di neoplasie tipiche del bambino - è il caso più frequente - come ad esempio i tumori renali di Wilms, il neuroblastoma, i sarcomi dei tessuti molli, i linfomi e le leucemie pediatriche, ma anche di tumori dell'adulto come il melanoma o il tumore polmonare o della mammella; a volte, inoltre, hanno tumori che sono vere e proprie transizioni, con caratteristiche uniche.
Ciò fa sì che non sempre chi li ha in cura sappia che cosa è meglio fare e abbia l'umiltà di ammetterlo, anche perché nella maggior parte dei casi mancano indicazioni specifiche e condivise.
Può così iniziare una serie di tentativi diversi a seconda delle sedi". Queste carenze sono il risultato più evidente del fatto che su questi malati c'è ancora poca ricerca, anche perché il numero di pazienti studiabili è, per fortuna assai limitato. Spiega Alberto Garaventa, responsabile dell'Unità di oncoematologia pediatrica dell'Ospedale Gaslini di Genova: "Gli adolescenti hanno spesso tumori dell'età pediatrica, ma con caratteristiche peculiari, e l'industria non investe in ricerche su casi così rari.
Per esempio, ci sono farmaci chiamati inibitori di ALK oggetto di molta attenzione per il tumore del polmone, ma potrebbero funzionare anche in alcuni neuroblastomi.
Noi stiamo studiando proprio alcune di queste potenziali applicazioni, ma parliamo di una decina di casi l'anno, cioè di numeri davvero piccoli. Bisogna perciò aumentare l'attenzione su questi ragazzi, smuovere l'opinione pubblica e incrementare le donazioni private, le uniche che possono sostenere questi studi".
Su questi malati né carne né pesce - come li chiama qualcuno - c'è quindi ricerca limitata, ma i problemi non finiscono qui. Ad aggravare il danno inferto dalla scarsità di informazioni, di materiale di studio e dalle significative lentezze nella collaborazione tra le diverse figure professionali, ci si mette anche la burocrazia, che talvolta condiziona il destino del ragazzo malato.
Spiega ancora Ferrari: "Molti reparti pediatrici hanno come limite i 18 anni e non possono accettare ragazzi più grandi. Allo stesso modo, molti reparti per adulti non possono farsi carico di ragazzi giovanissimi, con il risultato che le famiglie non sanno a chi rivolgersi e talvolta restano invischiate in pericolosi viaggi della speranza, che influiscono sul decorso della malattia".
E non è tutto. In questo contesto bisogna infatti fare i conti con la persona del tutto particolare che si trova ad affrontare la malattia: l'adolescente, cioè un giovane concentrato sul suo futuro, sul divertimento, gli amici, la scuola, lo sport, e che ha un rapporto molto particolare con il proprio corpo, al punto che sovente giunge dal medico più tardi di quanto farebbe un adulto o un bambino. Spiega Garaventa: "Per un ragazzo, il corpo e il suo utilizzo sono fondamentali: spesso gli adolescenti trascurano evidenti anomalie o sintomi un po' perché non capiscono che qualcosa non va, un po' perché non lo accettano.
In quell'età, inoltre, il genitore non ha più il controllo strettissimo che ha sul bambino, e può non accorgersi di nulla, contribuendo a rendere la diagnosi tardiva".
Per lo stesso motivo, l'adolescente attraversa stati d'animo molto diversi da quelli del bambino malato, soggetto tutto sommato poco consapevole. Spiega in merito Carlo Clerici, psiconcologo dell'Università di Milano che lavora nel reparto di oncologia pediatrica dell'Istituto tumori di Milano: "I ragazzi sono colpiti dalla malattia mentre stanno elaborando il distacco dai genitori, e questo influisce molto su tutto ciò a cui vanno incontro, anche perché la famiglia rientra all'improvviso e pesantemente in gioco in ogni scelta, e torna a vigilare da vicino.
È quindi molto importante includerli nei processi decisionali, rispettare la loro autonomia e permettere loro di mantenere il più possibile il contatto continuo con la scuola, gli amici, le abitudini di sempre. D'altro canto, gli adolescenti mostrano anche una straordinaria vitalità e, una volta superata la fase acuta, essendo maturati più dei coetanei per l'esperienza subita, riescono ad andare avanti con la propria vita, a studiare, a mettere su famiglia e a fare dei figli".
Per agevolare il ritorno alla normalità, in Gran Bretagna sono nate, finanziate da charities, una quindicina di unità specifiche, e anche in Italia ne è stata fondata una - per ora la sola - ad Aviano, presso il Centro di riferimento oncologico, su iniziativa dell'oncologo pediatra Maurizio Mascarin.
L'Area Giovani (www.areagiovanicro.it) è studiata per le esigenze dei ragazzi, e cioè prevede la presenza di computer, libri, dvd e così via, in modo che i giovani possano mantenere il contatto con gli amici e continuare a studiare in ambienti adatti; anche dal punto di vista della terapia, l'area è un luogo di incontro tra le diverse figure professionali (oncologi pediatri, ma anche dell'adulto) che possono discutere su come gestire al meglio il singolo caso.
L'esperienza sta facendo scuola e diversi centri (tra i quali lo stesso INT di Milano) stanno cercando di trovare spazi e fondi per riservare almeno una stanza che diventi luogo di incontro delle competenze e dell'attenzione.
Gli anglosassoni dicono che i ragazzi che si ammalano di tumore entrano in una no man's land, una terra di nessuno, dalla quale escono meno bene rispetto ai loro compagni di sventura più piccoli o più grandi. Di questi figli di un dio minore Franca Fossati Bellani, pioniera dell'oncologia pediatrica italiana, per molti anni direttore del reparto pediatrico dell'Istituto nazionale tumori di Milano e oggi presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori di Milano e provincia, ne ha visti e ne ha curati molti.
In che cosa i malati adolescenti sono diversi da quelli più piccoli o più grandi?
I ragazzi hanno neoplasie diverse da quelle della prima infanzia: i tumori prevalenti sono infatti i sarcomi dell'osso (osteosarcoma e sarcoma di Ewing), i tumori del testicolo e dell'ovaio e il linfoma di Hodgkin, frequenti anche nell'adulto. Nei ragazzi si possono sviluppare, sia pure raramente, il neuroblastoma e il nefroblastoma, mentre frequente è il rabdomiosarcoma, un sarcoma delle parti molli che si presenta anche nell'adulto. Altri sarcomi dell'adulto, definiti proprio "sarcomi adult type", rappresentano un significativo problema in questa età, così come lo sono tumori tipici dell'adulto come il melanoma, l'epatocarcinoma, il carcinoma renale e particolari linfomi maligni. Ogni malato va dunque considerato, più che per l'età, per il tipo di malattia che lo ha colpito, e curato al meglio per essa.
Perché non vengono curati come gli altri?
Fino a non molto tempo fa, la tendenza a prendere in carico adolescenti e giovani con tumori pediatrici in reparti di oncologia dell'adulto non ha consentito, per difetto di informazione, di curarli secondo i protocolli di studio pediatrici. Non a caso i risultati di sopravvivenza sono stati insoddisfacenti per questa fascia di età. Oggi inizia a esserci più attenzione, ma il dialogo tra pediatri oncologi, oncologi medici, chirurghi e radioterapisti, già migliorato, deve essere maggiormente aperto per ottenere di più e per incrementare la ricerca. L'oncologia pediatrica, tra l'altro, si distingue per l'attenzione verso tutto il nucleo familiare.
Che cosa si può fare per cercare di recuperare le carenze esistenti?
Aumentare il livello di informazione reciproca tra oncologi pediatri e dell'adulto sui risultati più aggiornati con il massimo rispetto delle competenze di ciascuno, e incrementare la ricerca con progetti specifici. Infine, favorire la creazione di spazi ad hoc, dove i ragazzi possano trovare medici competenti in un ambiente studiato apposta per le loro esigenze.
Gli esperti di Eurocare, il gruppo di epidemiologia europeo che si occupa di fornire i numeri del cancro nel vecchio continente, hanno lavorato anche sugli adolescenti. In uno studio pubblicato di recente sullo European Journal of Cancer, Gemma Gatta, dell'Istituto nazionale tumori di Milano, insieme a diversi colleghi di varie nazionalità, ha fotografato la situazione in base ai dati dei Registri tumori per il periodo 1995-2002. In questo intervallo in Europa sono stati registrati oltre 70.000 casi di tumore tra bambini e giovani di età compresa tra 0 e 24 anni. Analizzando la sopravvivenza a cinque anni dall'esordio della malattia, si vede, però, come per diverse forme di cancro i risultati differiscano molto a seconda della fascia d'età considerata: per esempio, per i malati di leucemia linfatica acuta con meno di 15 anni la sopravvivenza misurata a cinque anni dalla diagnosi è dell'85 per cento, ma del 50 per cento per i ragazzi tra i 16 e i 24 anni; così, i valori per i linfomi non Hodgkin sono stati, rispettivamente, pari all'82 e al 74 per cento, per gli osteosarcomi del 77 e del 60 per cento, per i sarcomi di Ewing pari al 66 e al 48 per cento.
Per migliorare la condizione dei ragazzi malati i diversi Paesi hanno adottato soluzioni differenti: negli Stati Uniti una delle associazioni più attive è quella fondata dal ciclista Lance Armstrong (LAF, www.livestrong.org), che finanzia la ricerca e cerca di favorire l'inserimento del maggior numero possibile di adolescenti nei protocolli sperimentali. In Gran Bretagna si è scelto invece di creare un'Unità di cura ad hoc, grazie anche al supporto del Teenage Cancer Trust, mentre in Italia si cerca di indirizzare il maggior numero possibile di pazienti in un centro aderente all'Associazione italiana di oncologia pediatrica (AIOP), dove sono presenti specialisti che possono affrontare la situazione secondo i più alti standard internazionali.
In Italia ci troviamo,comunque, ancora all'inizio di un percorso, se è vero che tra il 1989 e il 2006 sono stati curati in questi centri otto pazienti su dieci tra coloro che avevano meno di 15 anni, ma soltanto uno su dieci di coloro che avevano tra i 15 e i 24 anni (per un totale di oltre 22.000 malati).
Teenage Cancer Trust è un'associazione non profit britannica interamente dedicata al sostegno degli adolescenti malati di cancro, dei loro genitori e di chi fa ricerca in questo campo specifico.
Non sono molte, nel mondo, le associazioni che si dedicano specificamente a questo tipo di pazienti (dei quali si occupano tradizionalmente quasi tutti gruppi e le società scientifiche di oncologia pediatrica). Il loro sito è ricco di suggerimenti e informazioni per i giovani e le famiglie.
www.teenagecancertrust.org