Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
La pubblicazione, su Science, di uno studio che dimostra, con un modello matematico, che non tutti i tipi di tumore sono prevenibili con gli stili di vita corretti ha suscitato il dibattito scientifico e anche quello sugli effetti che queste comunicazioni
A volte il modo in cui le ricerche scientifiche vengono raccontate sui giornali può trarre in inganno il lettore meno esperto. E a volte la fonte di confusione non è solo nella mano di chi scrive articolo o titolo ma anche nella volontà dello scienziato, lodevole ma talvolta ambigua, di semplificare al massimo la propria ipotesi. È quanto è accaduto con la pubblicazione, sulla rivista Science di un lavoro firmato da due scienziati, Cristian Tomasetti e Bert Vogelstein, sulle cause all'origine del cancro. Il comunicato stampa diffuso dalla famosa e autorevole rivista scientifica citava i due esperti che affermavano quanto segue: il 70% dei tipi di tumore è dovuto al caso o, con il termine da loro utilizzato e che è stato all'origine di reazioni anche stizzite, alla sfortuna. Secondo un modello matematico da loro elaborato e basato su quanto conosciamo delle caratteristiche delle cellule staminali di alcuni tessuti (le cellule che danno origine a nuovi elementi cellulari che, se mutano, possono fungere da riserva per la crescita dei tumori), le mutazioni del DNA che danno l'avvio al processo sarebbero casuali in oltre sette casi su dieci.
È interessante però capire perché un'analisi che gli esperti ritengono tutto sommato abbastanza prevedibile abbia scatenato una reazione così intesa a livello mondiale.
"Se mi avessero chiesto, a bruciapelo, quanti tipi di tumore sono provocati da mutazioni casuali avrei detto circa il 70% anche prima di questo studio" spiega Edoardo Boncinelli, uno dei massimi genetisti italiani ed esperto divulgatore di scienza. "Chiunque conosca la biologia, e in particolare quella dei tumori, non può rispondere diversamente: il cancro si origina da mutazioni che si accumulano negli anni in un certo numero di geni, nel corso delle divisioni cellulari, e le mutazioni sono casuali, anche se questo responso non piace alla maggioranza degli esseri umani".
Lo studio di Tomasetti e Vogelstein è basato su quanto sappiamo di circa 31 tipi di tumore e fornisce dati attendibili solo su 22 di essi, poiché per gli altri non ci sono abbastanza informazioni provenienti dalla biologia per poter costruire un modello matematico del comportamento delle cellule staminali. E nel gruppo mancano tumori importanti, come quello alla prostata o al seno, perché le cellule staminali di questi tessuti non sono state abbastanza caratterizzate. Da qui è nato un dibattito anche in ambito scientifico, che è stato ospitato su ScienceExpress, la versione online della rivista. Sono ben sei le lettere (in realtà piccoli trattati scientifici) mandate da altrettanti scienziati che fanno le pulci al lavoro dei due autori.
Tra le obiezioni più accreditate, il fatto di non aver incluso alcuni big killer, ma Tomasetti e Vogelstein rispondono dicendo che per la prostata e per il seno non si conosce a sufficienza il comportamento delle cellule staminali.
Un'altra critica riguarda il numero di mutazioni necessarie per dare origine a una cellula tumorale. "Secondo una teoria accreditata, ci vogliono almeno cinque mutazioni contemporanee perché una cellula prenda una brutta strada e non tutte devono avere per forza la stessa origine" spiega Boncinelli. "È possibile che quattro su cinque siano casuali e la quinta sia dovuta a uno stile di vita sbagliato. IN ogni caso, per quanto sappiamo, questo non cambierebbe la percentuale complessiva di tumori legati alle abitudini, ma potrebbe essere importante in specifici casi, come nel tumore al polmone, in cui il ruolo relativo di caso e abitudini, come il fumo, è invertito".
In sostanza, i tumori di cui conosciamo l'origine prevalentemente ambientale (come quello al polmone) oppure prevalentemente ereditaria (come nel caso del cancro del seno nelle donne portatrici dei geni BRCA1 e 2) restano tali, ma la fotografia generale della malattia e delle sue cause viene in parte modificata dall'analisi di Tomasetti e Vogelstein (studi precedenti, in particolare quelli condotti dagli epidemiologi Doll e Peto negli anni Ottanta erano più generosi sulla percentuale di tumori prevenibili) e questo malgrado le critiche sollevate, nessuna delle quali, in realtà, confuta i risultati: si tratta di un dibattito che è comune nella scienza, che riguarda soprattutto la metodologia e che invita anche a guardare alla realtà (ovvero a confrontare i dati che ci vengono dai modelli matematici con quelli epidemiologici, che fotografano quanto accade nella vita e che sono sensibili anche ad altri fattori come la differenza tra Paese e Paese).
In conclusione, pensare che circa sette tipi di tumori su 10 siano frutto del caso può non piacere agli esseri umani, che hanno la tendenza a voler controllare la natura e che preferiscono sentirsi al cento per cento artefici del proprio destino, ma è una stima al momento attendibile. Inoltre, come hanno voluto ricordare Tomasetti e Vogelstein, può essere un pensiero consolante per genitori che si sentono in colpa perché pensano di non essere stati capaci di proteggere i loro figli dal cancro, anche se in realtà non avrebbero potuto fare molto: la cosa non è nelle loro mani, ma nel funzionamento stesso della biologia umana.
"Sapere che c'è comunque un 30% di tipi di tumore che può essere evitato se adottiamo stili di vita corretti è comunque tantissimo se consideriamo quanto comune è il cancro. E in certi tumori, come quello al polmone, la percentuale è ancora più alta" conclude Boncinelli. "L'importante è capire esattamente che cosa questi studi dicono, divulgarli nel modo più giusto e ribadire che non c'è nulla, in queste ricerche, che giustifichi l'abbandono delle pratiche di prevenzione che da anni le istituzioni mondiali raccomandano".
La vicenda dello studio sul ruolo del caso nel cancro ha avviato una riflessione non solo tra gli scienziati ma anche tra i giornalisti scientifici che hanno riportato la notizia. Alcuni di loro si sono chiesti: ho sbagliato nell'informare i miei lettori? Ho sovrastimato il ruolo della "sfortuna" in tutta la faccenda? Ho contribuito a distruggere anni di campagne di prevenzione inducendo le persone a credere, erroneamente, che per evitare il cancro non si possa fare niente? Alcune risposte sono presenti sul sito stesso di Science, in un articolo firmato dalla giornalista Jennifer Couzin-Frankel che ne cura i contenuti. Eppure, su questa storia, i titoli e l'approccio delle news di Science non è stato diverso da quello di qualsiasi quotidiano. Dopo una lunga autoanalisi dei meccanismi che hanno portato alla scrittura del suo pezzo, la giornalista giunge alla conclusione che non c'è stato nulla di sbagliato. Il termine sfortuna è stato scelto dai ricercatori stessi per descrivere in parole semplici la propria scoperta e la complessità della metodologia usata rendeva piuttosto difficile trasferire i dettagli dello studio a un lettore non esperto. Molti tipi di tumore restano dovuti al caso ma, come ribadisce lei stessa, molti non vuol dire tutti e non c'è ragione per aumentare ulteriormente il proprio livello di rischio fumando, mangiando smodatamente ed evitando accuratamente l'attività fisica, se non altro perché questi stili di vita non influiscono solo sul rischio oncologico ma anche su quello cardiovascolare e sullo stato di salute generale della persona.
Daniela Ovadia