Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Nell'ultimo decennio è esploso l'interesse per gli organoidi, strutture tridimensionali generate in laboratorio che riproducono un particolare organo, utilizzati anche nella ricerca sul cancro e che potrebbero sostituire, in futuro, una parte degli animali necessari per la ricerca scientifica. Al momento, però, sono più le promesse delle certezze.
Nel 2009, il professore olandese Hans Clever e i suoi collaboratori pubblicarono sulla rivista Nature un'interessante scoperta: prelevando cellule staminali adulte dall'intestino dei topi e coltivandole in vitro si potevano creare delle strutture tridimensionali con le caratteristiche essenziali dell'intestino. Questo studio ha stimolato molti altri ricercatori a creare organoidi, cioè strutture che simulano in tutto e per tutto la funzione di un organo, partendo da tessuti di topo e umani. Lo scopo? Poter studiare le reazioni degli organi a malattie e terapie senza dover per forza ricorrere ad animali da laboratorio, in alcuni casi perfino con maggiore precisione. Negli organoidi, infatti, ci sono tutti i tipi di cellule e tessuti presenti nell'organo simulato, e le relazioni e gli scambi sono analoghi a quelli degli organi "veri".
Per preparare gli organoidi sono necessari tre ingredienti: alcune cellule (staminali embrionali o adulte, a seconda dei casi), una matrice (la struttura intorno alla quale cresceranno i tessuti) e un terreno di coltura particolare. Le cellule vengono coltivate all'interno di una matrice gelatinosa che contiene proteine, per facilitare l'organizzazione spontanea delle cellule in strutture tridimensionali simili agli organi (mentre i tessuti, che sono piatti e bidimensionali, possono essere coltivati su piastre e terreni di coltura).
La matrice è immersa in un liquido che contiene fattori di crescita, sostanze che mantengono le cellule vitali e ne stimolano la moltiplicazione. Ogni organo richiede specifici fattori di crescita e quindi il prerequisito per creare organoidi è conoscere tutti gli ingredienti essenziali per miscelare il giusto cocktail. Rispetto alle colture di tessuti, gli organoidi hanno anche un ulteriore vantaggio: mantengono stabile nel tempo il patrimonio genetico delle cellule. Inoltre basta poco materiale di partenza (come quello prelevato con una biopsia) per ottenere un numero elevato di organoidi che si possono congelare per impieghi futuri. Usando cellule provenienti da pazienti (per esempio malati di cancro) si possono creare organoidi che sono modelli della malattia e costituire delle vere e proprie raccolte, conservate in biobanche, preziosissime per testare nuove terapie. Gli organoidi sono infatti particolarmente adatti allo sviluppo di nuovi farmaci: permettono di testare contemporaneamente molte molecole per identificare quelle attive e scartare quelle tossiche.
I ricercatori nel mondo hanno creato organoidi di colon, esofago, stomaco, fegato, pancreas, rene e cervello. Alcuni li chiamano "mini-organi", ma non bisogna lasciar galoppare troppo la fantasia: non si tratta di riproduzioni esatte e funzionanti degli organi "veri" in scala ridotta. Il mini-cervello, per esempio, ha le dimensioni di una capocchia di spillo, la forma simile a una sfera cava ed è assolutamente privo di funzioni mentali. È costituito però da quasi tutti i tipi di cellule presenti nel cervello e può essere utile a studiarne lo sviluppo. Creando organoidi cerebrali da cellule della pelle di un paziente affetto da microcefalia (malformazione caratterizzata da una riduzione del volume del cervello e del cranio) è stato possibile, per esempio, identificare un gene coinvolto nella malattia. Si tratta di un risultato importante, considerando che non esistono modelli sperimentali della microcefalia. Lo stesso metodo è stato utilizzato con successo anche nella ricerca di base in oncologia.
Gli organoidi possono essere manipolati, introducendo modificazioni genetiche, per creare nuovi modelli di malattie. Rimane però un limite importante, che spiega anche perché gli organoidi non possono sostituire in tutto e per tutto un modello animale: se si vuole scoprire cosa accade ai diversi organi nel corpo quando sono esposti a una nuova cura, oppure se si vogliono studiare malattie che colpiscono diversi organi allo stesso tempo, gli organoidi non sono utili. Alcuni laboratori stanno infatti tentando di metterli "in serie", in modo che si influenzino l'uno con l'altro come accade nel corpo (un organo malfunzionante influenza anche il funzionamento degli altri, una sostanza può diventare tossica per un certo organo solo dopo che è stata metabolizzata da un altro), ma i risultati al momento non sono soddisfacenti.
Partendo da cellule prelevate da tumori sono stati creati organoidi di tumore del colon, del pancreas, del seno e della prostata. Generare, per lo stesso paziente, organoidi di tessuto sano e di tessuto tumorale può aiutare sia a comprendere i meccanismi responsabili della trasformazione maligna sia a scegliere la terapia. Inoltre, testando una batteria di farmaci sugli organoidi del paziente si possono selezionare quelli che uccidono le cellule del tumore senza danneggiare quelle normali.
Pochi mesi fa, sulla rivista Science è stato pubblicato uno studio in cui i ricercatori hanno confrontato la risposta ai farmaci di pazienti affetti da tumori gastrointestinali e degli organoidi derivati dagli stessi pazienti. I risultati sono incoraggianti: l'effetto sugli organoidi era indicativo dell'effetto sul paziente in 9 casi su 10.
Gli organoidi hanno un grande potenziale ma anche limiti oggettivi. L'architettura di un vero organo è costituita da cellule che fanno da impalcatura (lo stroma) e cellule caratteristiche di quell'organo (il parenchima). Negli organoidi, le cellule dello stroma sono generalmente assenti, così come sono assenti i globuli bianchi che sorvegliano i tessuti e altri elementi del sistema immunitario. Inoltre, manca completamente il sistema vascolare. Nel cancro invece le interazioni tra cellule tumorali, stroma, sistema immunitario e vasi sono cruciali per lo sviluppo e la progressione della malattia, quindi gli organoidi rappresentano un valido metodo complementare alla sperimentazione animale, ma non un'alternativa.
A ll'Ospedale San Raffaele di Milano hanno utilizzato una tecnologia della NASA per creare delle colture 3D di tumori del sangue. Grazie al sostegno di un Programma Speciale 5 per mille di AIRC, Elisabetta Ferrero e il suo gruppo hanno messo a punto un modello di mieloma multiplo facendo crescere frammenti di tessuto tumorale o cellule tumorali in un bioreattore, un'apparecchiatura in grado di fornire un ambiente adeguato allo sviluppo di organismi biologici. "La rotazione lenta e costante del bioreattore genera microgravità: in queste condizioni, i fattori di crescita penetrano efficacemente all'interno della coltura 3D e i prodotti di scarto vengono eliminati" spiega Ferrero. Questo permette di mantenere in coltura anche per tre settimane cellule vitali, senza che cambino forma come accadrebbe invece in una coltura tradizionale. Gli organoidi di mieloma multiplo sono utilizzati per testare la risposta delle cellule del paziente ai farmaci. Un altro gruppo della Divisione di oncologia sperimentale sta applicando questa tecnica allo studio della malattia di Erdheim-Chester, una patologia infiammatoria dovuta all'accumulo di istiociti, un tipo particolare di cellule del sistema immunitario. "Si tratta di una patologia molto rara: dal 1930 sono stati descritti solo 700 casi in tutto il mondo" dice Marina Ferrarini che è a capo del progetto, specificando che "il San Raffaele è il centro di riferimento italiano per questa malattia." Grazie alle colture 3D si stanno valutando aspetti del metabolismo degli istiociti che possono diventare nuovi bersagli farmacologici.
Fabio Turone