Ultimo aggiornamento: 7 maggio 2020
Due recenti documenti scientifici richiamano l’attenzione degli oncologi sulle differenze biologiche tra uomini e donne, che possono avere un impatto importante soprattutto nell’utilizzo delle cure più innovative
In un’era di medicina personalizzata, in cui si cerca di determinare la migliore cura considerando le caratteristiche individuali di ciascun paziente, esistono ancora alcune differenze macroscopiche che meritano di essere esplorate meglio: quelle tra donne e uomini. “Solo da qualche decennio si studiano approfonditamente le malattie dal punto di vista delle differenze di genere” spiega Anna Dorothea Wagner, oncologa dell’Università di Losanna, in Svizzera, una delle massime esperte di approccio di genere alla ricerca oncologica e coautrice delle linee guida per la medicina oncologica di genere prodotte dalla Società europea di oncologia medica (ESMO). “In altri settori della medicina, come le malattie cardiovascolari, questo campo di ricerca è molto più sviluppato che in oncologia” spiega. “Alcuni dei tumori più pericolosi per le donne, come il cancro al seno, sono considerati prettamente femminili e questo ha giustificato, in parte, la mancanza di un approccio di genere ai tumori che riguardano tutti gli altri organi.”
L’approccio di genere alla ricerca sul cancro tiene conto delle diversità nei cromosomi, negli ormoni, nel metabolismo e nel sistema immunitario, nella composizione corporea e nel conseguente impatto sul metabolismo dei farmaci antitumorali. Inoltre considera le differenze nella biologia dei due sessi, specialmente per alcuni tumori non correlati al genere, come i linfomi, i tumori gastrointestinali o il melanoma, che mostrano incidenze e andamenti diversi tra donne e uomini.
“Il ruolo di chi fa ricerca in questo settore è quello di influenzare il modo con cui le nuove cure vengono testate per tenere conto proprio di queste differenze” continua l’esperta.
Secondo lo European Network of Cancer Registries (ENCR), che raggruppa i dati provenienti da tutta Europa, nel continente si registrano ogni anno circa 3,5 milioni di nuovi casi di tumore (esclusi i tumori della pelle non melanomi). Di questi, il 53 per cento colpisce gli uomini e il 47 per cento le donne, anche se le sedi più comuni sono il seno (che colpisce quasi esclusivamente donne), il colon-retto e il polmone (per questi tumori la quota di pazienti donne sta rapidamente raggiungendo quella degli uomini, soprattutto per via del cambiamento nelle abitudini di vita).
“Proprio perché i tumori più comuni non giustificano una differenza sostanziale di incidenza tra i due sessi nei numeri totali, è importante considerare la prospettiva di genere nello studio di tutti i tipi di cancro, anche per essere più efficaci nella prevenzione e nella diagnosi precoce” spiegano Lucia Gabriele e collaboratori in un documento sull’oncologia di genere prodotto dall’Istituto superiore di sanità già nel 2016.
Per esempio, uno dei primi accorgimenti da mettere in atto per avere le idee più chiare fin dagli studi preclinici è utilizzare modelli animali dei due sessi. Nella stragrande maggioranza dei casi, invece, gli animali da laboratorio sono esemplari maschili, perché è più facile controllare parametri ormonali e metabolici.
Solo allargando gli esperimenti ai due sessi si può sperare di capire quali sono le basi molecolari di eventi già noti e osservati nella realtà, per esempio il fatto che nel tumore del colon-retto le donne sviluppano più frequentemente lesioni del lato destro del colon e mutazioni di alcuni geni specifici (per esempio BRAF), mentre le lesioni del colon sinistro (più comuni nei maschi) mostrano una maggiore instabilità dei cromosomi. Caratteristiche come queste possono avere un impatto sulla scelta delle terapie e persino sulle strategie di prevenzione.
Uno dei più importanti studi epidemiologici, il Women’s Health Initiative Study, ha infatti dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva riduce del 40 per cento il rischio di sviluppare cancro del colon nelle donne dopo la menopausa, confermando indirettamente che gli ormoni femminili hanno un ruolo protettivo (che è però controbilanciato, nelle scelte individuali, dai rischi per la salute della terapia ormonale sostitutiva, che pure esistono).
Vi sono altre condizioni in cui si osservano differenze la cui origine molecolare non è ancora nota. Lo stesso documento dell’ISS ricorda che fin dagli anni Sessanta del secolo scorso si sa che il melanoma è più aggressivo negli uomini che nelle donne. Questo dato è confermato anche dai tassi di sopravvivenza registrati dallo studio EUROCARE 4 su 1,6 milioni di persone: sopravvive il 50 per cento di donne in più rispetto agli uomini, ma la ragione non è ancora del tutto chiara. Potrebbe infatti dipendere di nuovo da fattori biologici o da questioni comportamentali, tra le quali una maggiore attenzione generale alla propria salute.
La ricerca in oncologia molecolare ha certamente molte cose da scoprire in questo settore. Per esempio, l’inattivazione di uno dei due cromosomi X nelle cellule femminili potrebbe interferire con la metilazione del DNA, un meccanismo chiave nella replicazione cellulare, e numerosi laboratori stanno lavorando per confermare questa e altre ipotesi.
Lo sviluppo e il successo dell’immunoterapia costituisce un’altra sfida per la medicina di genere. È infatti noto che il sistema immunitario funziona diversamente nei due sessi, tanto che si riscontrano differenze importanti nella frequenza di molte malattie autoimmuni e allergiche. In che modo questo possa influenzare l’efficacia dell’immunoterapia è una questione ancora aperta, sulla quale i ricercatori stanno lavorando alacremente.
Il cromosoma X, infatti, sembra conferire al sistema immunitario delle donne una maggiore reattività ed efficienza, grazie ad alcuni mediatori come le interleuchine. Anche gli ormoni influenzano la reattività del sistema immunitario, determinando differenze di genere nella risposta alle cure, acuite da fattori ambientali e da abitudini di vita.
Per esempio, in anni recenti si è rivalutato il ruolo dell’alimentazione nel determinare la composizione del microbioma intestinale, che a sua volta influenza le concentrazioni di ormoni e di conseguenza l’attività del sistema immunitario: una catena di eventi che può svilupparsi in modo molto diverso tra donne e uomini e che deve essere studiata tenendo conto di tali differenze.
Anche i nuovi trattamenti immunoterapici, come gli inibitori di checkpoint immunitari, mostrano una azione diversa nei due sessi, non del tutto spiegata dalle attuali conoscenze.
“L’immunità contro i tumori è fondamentale per determinare i risultati di molte terapie anticancro, incluse le chemioterapie e radioterapie convenzionali, perché dietro la principale azione tumoricida diretta contro le cellule in rapida replicazione, queste cure hanno un effetto profondo sul sistema immunitario attraverso la modulazione del microambiente tumorale” spiega ancora il documento dell’ISS per sostenere la necessità di testare le nuove cure su gruppi sia di donne sia di uomini.
La ragione per cui fino a pochi anni fa ciò non si faceva è prettamente storica: è sempre stato più facile reclutare uomini come volontari per le sperimentazioni cliniche. Il controllo dei parametri fisiologici maschili è in genere più semplice di quelli femminili e, soprattutto, non si rischia di danneggiare il feto in caso di gravidanze inattese. Tutte ottime ragioni sperimentali che oggi è possibile superare grazie alle maggiori conoscenze scientifiche ma anche grazie ai cambiamenti sociali.
“Più studiamo il sistema immunitario nei tumori più ci rendiamo conto di quanto donne e uomini rispondano diversamente” conclude il documento dell’ISS. “Nessuno studio di immunoterapia può più evitare di rispondere alle domande scientifiche e cliniche che queste differenze sollevano.”
Dosi e schemi terapeutici per la cura dei tumori tengono oggi conto delle caratteristiche molecolari del tumore e della conformazione fisica del paziente, incluso il peso, l’altezza e lo stato di salute generale. Ma non sempre tengono conto del sesso del paziente, a meno che non siano stati condotti studi specifici.
Per questa ragione ESMO ha prodotto, nel dicembre del 2019, un documento di consenso frutto della collaborazione di oltre 40 tra i massimi esperti mondiali, pubblicato sulla rivista Annals of Oncology. Tra le richieste urgenti, anche quella di raccogliere dati sulla diversa efficacia delle cure nei due sessi e in particolare sulla diversa tossicità, poiché anche effetti collaterali sgraditi possono dipendere da caratteristiche metaboliche, da differenze e ormonali e del sistema immunitario.
“Una medicina più sensibile al sesso e al genere – i due termini non sono sovrapponibili perché il secondo è un costrutto sociale che include aspetti comportamentali mentre il primo include solo gli aspetti biologici – costituisce un approccio innovativo ed efficace, perché presuppone che le differenze abbiano un impatto sulla salute e implicazioni su prevenzione, screening, diagnosi e terapia” specificano gli esperti di ESMO. “Il fine ultimo di questo settore della ricerca scientifica è imparare dalle differenze (o persino dalla loro assenza) per migliorare la qualità di cura sia per le donne sia per gli uomini. Sapere come funziona nel dettaglio una cura, chiarendo anche gli aspetti molecolari, apporta infatti dei benefici a tutti i pazienti, indipendentemente dal sesso. Mentre il ruolo del sesso nella modulazione dei sintomi, nell’accesso alle cure e negli effetti collaterali gravi è stato molto studiato e descritto in cardiologia e farmacologia, l’oncologia è ancora neutra e cieca sul piano del genere” conclude il documento di ESMO. “Per questo è necessario uno sforzo congiunto che sia allo stesso tempo scientifico e culturale.”
Agenzia Zoe