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Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

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5 porzioni (e mezzo) di frutta e verdura riducono il rischio di cancro al seno

Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori di Harvard e pubblicato sull’International Journal of Cancer, le donne che mangiano grandi quantità di frutta e verdura ogni giorno, in particolare se mangiano crucifere come i broccoli e cavolfiori o verdure gialle e arancioni come carote o zucca, hanno un rischio più basso di sviluppare cancro al seno, soprattutto le forme più aggressive.

Sebbene non si tratti di una vera novità, la autrice principale del lavoro Maryam Farvid, ricercatrice del Dipartimento di nutrizione dell’università di Harvard ha spiegato che “questa ricerca fornisce la prova più solida dell'importanza di consumare elevate quantità di frutta e verdura per la prevenzione del cancro al seno”.

I ricercatori hanno analizzato dati ottenuti da oltre 180.000 donne del cosiddetto Nurses' Health Study, un grande studio prospettico sulla nutrizione iniziato negli anni settanta. Hanno definito come porzione di frutta o verdura una “cup” (più o meno una tazza da tè) di verdura in foglia cruda, equivalente a mezza tazza di verdure non a foglia crude o cotte, o a mezza tazza di frutta tritata o cotta. Chi mangiava più di cinque porzioni e mezzo di frutta e verdura ogni giorno aveva un rischio relativo inferiore dell’11 per cento di sviluppare cancro al seno rispetto a chi mangiava due porzioni e mezzo o meno. Un maggiore consumo di frutta e verdura sembra inoltre essere associato a un minor rischio di tumori più aggressivi.

In un lavoro precedente lo stesso gruppo di ricerca aveva collegato la riduzione del rischio di cancro al seno al maggiore apporto di fibre, ma dallo studio più recente sembrerebbe che i benefici siano indipendenti dal contenuto di fibre. Ciò suggerisce che altre componenti, come gli antiossidanti, abbiano un ruolo importante almeno nel caso del cancro del seno.

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Le nuove cure che funzionano ma costano troppo

Ad agosto l’Agenzia europea per il farmaco (EMA) ha acceso le speranze di alcuni pazienti malati di leucemie e linfomi che non rispondono più alle cure approvando i primi due trattamenti basati su CAR-T (acronimo di Chimeric Antigen Receptor T Cell Therapy). Si tratta di terapie innovative che modificano geneticamente le cellule immunitarie prelevate dal malato per stimolare il sistema immunitario contro il tumore.

A settembre, è arrivata una grossa delusione per i pazienti britannici. Il NICE (National Institute for Health and Care Excellence), l’ente britannico che stabilisce le linee guida per le cure alla luce del loro rapporto di costo-efficacia, ha decretato che il sistema sanitario del Regno Unito non rimborserà CAR-T. Troppo alto il pezzo (circa 400.000 euro a trattamento) a fronte di una efficacia certa ma limitata e di una tossicità importante in oltre un quarto dei pazienti.

In Italia l’approvazione delle terapie CAR-T da parte di EMA è stata salutata con ottimismo dai media, ma il problema della sostenibilità economica e della tossicità restano irrisolti. Con il moltiplicarsi delle cure innovative ad alta componete tecnologica, i sistemi sanitari devono prendere una decisione difficile: offrire gli ultimi ritrovati a una piccola percentuale di pazienti o continuare a curare tutti quanti con le migliori cure disponibili ed economicamente sostenibili.

  • Agenzia Zoe