Ultimo aggiornamento: 25 ottobre 2021
Secondo un nuovo studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Surgery, il tipo di intervento che scelgono le giovani donne con carcinoma mammario in fase iniziale può influire sulla qualità della loro vita a distanza di anni. La ricerca, condotta da Laura Dominici del Brigham and Women’s Hospital di Boston, è partita dalla constatazione che, quando il cancro al seno colpisce le donne più giovani, la prudenza spinge a praticare interventi più estesi, per lo meno negli Stati Uniti dove sono stati raccolti i dati.
I risultati dimostrano che le donne sottoposte a mastectomia unilaterale o bilaterale riferiscono una qualità di vita inferiore rispetto a quelle sottoposte alla sola rimozione dei tessuti malati e dei tessuti vicini alla massa. Il dato si conferma anche quando si valutano fattori come lo stress legato alla paura di un’eventuale recidiva (stress che ci si aspetterebbe essere minore nelle donne che hanno subito l’asportazione del seno). E ciò vale anche se si prende in considerazione la gravità della malattia, sulla base del presupposto che, se è stato fatto un intervento più invasivo, il tumore destava maggiore preoccupazione.
Lo studio ha coinvolto 560 donne cui era stato diagnosticato un cancro al seno a diversi stadi di gravità quando avevano meno di 40 anni. Le pazienti sono state sottoposte a un questionario di qualità della vita, il BREAST-Q, nell'arco dei sei anni successivi alla diagnosi. Circa la metà delle donne (290) aveva subito una mastectomia bilaterale, 110 (circa il 20 per cento) una mastectomia unilaterale e 160 (il 28 per cento) una chirurgia conservativa seguita da radioterapia.
La maggior parte delle donne che hanno lamentato un calo della qualità di vita segnala che questo ha interessato soprattutto la sfera dell’attività fisica, per le conseguenze della chirurgia, e quella della vita sessuale. Molte pazienti hanno riportato anche difficoltà legate alla ricostruzione del seno, che spesso si rivela più complessa e lunga di quanto immaginato.
“Come medici dobbiamo discutere con le nostre pazienti più giovani le opzioni chirurgiche possibili, per essere in grado di aiutarle a comprendere come i vari trattamenti potrebbero influenzare la qualità della loro vita in futuro” ha commentato Laura Dominici.
Questo studio fornisce una solida base per confermare la bontà dell’approccio europeo, e italiano in particolare, sulla chirurgia del cancro al seno.
Secondo i dati raccolti da EUSOMA, la società europea degli esperti di cancro al seno, negli Stati Uniti si fanno due mastectomie ogni cinque casi diagnosticati, mentre in Europa a parità di diagnosi se ne fa una (e in Italia anche meno). Le ragioni dietro queste scelte non sono solo mediche: negli Stati Uniti c’è la tendenza a fare interventi più drastici per evitare le eventuali cause legali per presunti errori medici in caso di recidiva. Inoltre c’è meno esperienza nella chirurgia conservativa, per cui i medici preferiscono effettuare interventi dei quali sentono di avere maggiore padronanza.
La scuola chirurgica europea, invece, ha puntato molto sulla formazione in chirurgia conservativa, in particolare in Italia, anche grazie al fondamentale contributo degli studi di Umberto Veronesi, sostenuti da AIRC. Nella formazione dei giovani chirurghi a questo approccio, sono naturalmente state indispensabili le prove scientifiche del fatto che un’asportazione parziale del seno non compromette le percentuali di guarigione, a fronte di una qualità della vita sicuramente migliore.
Agenzia ZOE