Nanoparticelle come cavalli di Troia contro i tumori più aggressivi

Ultimo aggiornamento: 30 giugno 2022

Nanoparticelle come cavalli di Troia contro i tumori più aggressivi

Laureata in chimica, si è aggiudicata diversi grant AIRC e ben tre prestigiosi ERC per lo studio di nanomateriali in grado di portare il farmaco nel cuore del tumore e distruggerlo dall’interno.

Quando è partita per gli Stati Uniti, piena di ottimismo e di passione per la ricerca, aveva già superato un importante scoglio: ignorando chi con cinismo le diceva che la borsa di studio che le interessava, bandita dall’Università di Caserta per andare sei mesi all’estero, era sicuramente già destinata a un raccomandato, aveva fatto comunque domanda. La borsa l’aveva vinta, e con quella aveva potuto raggiungere in California il suo compagno di università e di vita. Il primo contatto con i nuovi colleghi di laboratorio era stato però tragico: “Tornai a casa in lacrime, perché con il mio inglese scolastico avevo capito sì e no il venti per cento delle cose dette in riunione dal collega incaricato di fare il punto sulle ricerche in corso. Solo più tardi seppi che il collega veniva dalla Louisiana, e aveva un terribile accento che anche molti altri in laboratorio faticavano a capire”.

Il margine di miglioramento

Teresa Pellegrino è seduta nel suo ufficio dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, attorniata da disegni suoi e delle sue figlie appesi alle pareti, e sorride rievocando quell’inizio traumatico. Ogni tanto si affaccia alla porta qualcuno, e il rapido scambio di battute chiarisce che oggi ha una completa padronanza dell’inglese, oltre che delle nanotecnologie con cui lavora per mettere a punto terapie innovative basate su nanoparticelle per aggredire i tessuti tumorali.

Il suo accento è discreto, e qualche inflessione pugliese riemerge solo occasionalmente: “Sono originaria di Palo del Colle, un piccolo paesino a una quindicina di chilometri da Bari, di cui si è parlato molto per la medaglia d’oro olimpica nella marcia vinta a Tokyo dal mio compaesano Massimo Stano”.

Viene da lì anche suo marito Libero Manna, che le presentarono quando, dopo il diploma dell’istituto tecnico chimico-biologico, stava pensando di iscriversi alla Facoltà di chimica dell’Università di Bari, che lui frequentava già da tre anni: “All’inizio lui mi evitava perché io sono sempre stata mattiniera, e quando eravamo in treno la mattina presto gli proponevo di fare esercizi di stechiometria” ricorda divertita. La chimica tra i due funziona benissimo, ed è alimentata dallo spirito competitivo di entrambi.
Ho capito di voler fare la ricercatrice mentre frequentavo il laboratorio della tesi di laurea, grazie all’incontro con Annarosa Mangone. Io vedevo in lei una donna molto impegnata, e in quel momento non mi rendevo conto delle implicazioni del pancione con cui si muoveva come se niente fosse anche in laboratorio: solo dopo ho capito cosa volesse dire riuscire a essere sia ricercatrice sia madre” racconta Teresa, che a sua volta ricorda i progetti scritti con la bimba a tracolla nella fascia, e gli incontri con lo staff del laboratorio a casa propria: “Con la gravidanza, e poi con l’arrivo delle bambine, ho sviluppato nuove capacità organizzative, e il bisogno di migliorarmi per loro” spiega con semplicità.

Un’oasi felice

Durante i 20 mesi a Berkeley, dove nel laboratorio di Paul Alivisatos ha ricevuto un’ottima formazione e scoperto il piacere di lavorare in un gruppo internazionale multidisciplinare, aveva intanto iniziato il dottorato di ricerca a Bari con Giovanni Natile, che a sua volta l’aveva lasciata andare a lavorare sulla stabilizzazione delle nanoparticelle a Monaco di Baviera, in Germania, nel laboratorio di un ricercatore conosciuto negli Stati Uniti. Libero, che nel frattempo aveva completato il post-dottorato e si era trasferito a Lecce, la raggiungeva spesso, perché collaborava con lo stesso gruppo. Alla fine del dottorato era stato quindi naturale anche per lei trasferirsi a Lecce, nel centro per le nanotecnologie messo in piedi dal fisico Roberto Cingolani, che poi avrebbe diretto a lungo proprio l’IIT di Genova prima di diventare ministro della transizione ecologica nel governo Draghi. “A Lecce ho trovato un’or­ganizzazione dei gruppi di ricerca come avevo visto all’estero. Era un crogiolo incredibile di idee e persone motivate, e mi sentivo in un’oasi felice, anche se in un contesto difficile” racconta. Lì Teresa ottiene un posto da ricercatrice CNR e coordina il progetto europeo Magnifyco, che coinvolge 11 partner europei. È a Lecce che nel 2008 nasce Giorgia, che porte­rà in braccio alla negoziazione e agli incontri di progetto con i partner e con la commissione.

Nei primi due anni, la bimba la segue in quattro viaggi intercontinentali e innumerevoli voli a medio raggio. “Ricorderò sempre una conferenza a Barcellona in cui sedeva accanto a me sul palco, e ‘prendeva appunti’. Le bambine mi hanno sempre dato tranquillità e sicurezza” riprende la ricercatrice.

Poco dopo la nascita di Giorgia comincia anche il pendolarismo tra Lecce e Genova, dove Libero sta mettendo in piedi il laboratorio di chimica nel nascente Istituto italiano di tecnologia; qui Teresa approderà in modo stabile nel 2014, dopo aver partecipato a un primo progetto AIRC, coordinato da Silvana Canevari all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, ed essersi poi aggiudicata un Investigator Grant triennale, sempre sostenuto da AIRC, con il progetto NanoCures da lei gestito: “I progetti finanziati da AIRC mi hanno permesso di instaurare importanti collaborazioni con i ricercatori clinici, con i quali occorre avere un confronto continuo”.

In quegli anni, Pellegrino sviluppa un’eccezionale capacità di giostrarsi tra le figlie (nel frattempo a Genova è nata Rossella, nel 2012), la ricerca fondamentale e quella applicata: ottiene infatti un primo finanziamento “starting grant” del Consiglio europeo delle ricerche (ERC), ambitissimo dai ricercatori di tutta Europa, per lo sviluppo di nanoparticelle magnetiche e di semiconduttori capaci sia di trasportare farmaci nei tessuti malati che di concentrare i radioisotopi, il rame-64 nello specifico, per combinare la chemioterapia con la radioterapia.

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Particelle in agitazione

“Oggi le nanoparticelle vengono iniettate direttamente nel tumore, e grazie agli anticorpi o a frammenti di anticorpi che noi ancoriamo sulla loro superficie sono in grado di aderire alle cellule bersaglio del cancro” spiega Pellegrino. Usando un campo magnetico alternato ad alta frequenza, si possono poi far vibrare le nanoparticelle in modo asincrono, così da generare attrito e alzare la temperatura sopra i 43°C. Questo danneggia le cellule tumorali più di quanto non danneggi quelle sane circostanti, perché nel tessuto malato i vasi sanguigni sono meno efficienti nel dissipare il calore, favorendo l’apoptosi e/o la necrosi a seconda della temperatura raggiunta e quindi la distruzione delle cellule cancerose. La tecnologia è talmente sofisticata che è possibile decorare le particelle magnetiche con un rivestimento polimerico in cui incapsulare il farmaco antitumorale e che, grazie alla composizione particolare del rivestimento, si contrae quando la tem­peratura sale, strizzandosi come una spugna e rilasciando il farmaco solo in risposta all’at­tivazione del campo magnetico esterno.

C’è però una controindicazione: la presenza di nanoparticelle nei tessuti compromette la qualità delle immagini ottenute con la risonanza magnetica. La zona diventa tutta scura e il tumore non si vede più. Per questo motivo il gruppo di Pellegrino è al lavoro per individuare la combinazione di composizione e forma (e sotto questo aspetto il cubo sembra più adatto della sfera) più efficiente, così da poter usare una dose più bassa di materiale magnetico. Grazie anche a un secondo Investigator Grant ricevuto da AIRC, sono già stati realizzati studi preclinici per applicare le nanoparticelle alla cura di glioblastomi e tumori della pelle e del colon-retto, in collaborazione con altri ricercatori finanziati da AIRC, tra cui Matilde Todaro e Giorgio Stassi.

Un secondo finanziamento ERC detto “proof of concept” (dimostrazione di concetto) le è stato assegnato per verificare la possibilità di realizzare na­nocubi di ferrite in qualità e quantità sufficienti per gli studi di ipertermia in preclinica e clinica. Recentemente è arrivato anche un terzo finanziamento ERC-consolidator, per il progetto GIULIa (porta il nome della prima bimba di Teresa, che la ricercatrice ha perso alla nascita), che ha l’intento di sviluppare ulteriormente la tecnologia dell’ipertermia magnetica contro i tumori, esplorando due modalità di rilascio delle nanoparticelle nelle metastasi. Da una parte verranno utilizzate le cellule immunitarie natural killer per il trasporto della dose di nanoparticelle adeguata al trattamento di ipertermia magnetica combinata agli effetti della immunoterapia. Un secondo obiettivo è la messa a punto di microdispositivi magnetici in grado di muoversi anche nel tessuto viscoso in un gradiente termico generato dalle nanoparticelle stesse. L’evoluzione futura di questa tecnologia sarà la messa a punto di una nanoformulazione che sia capace di conservare la massima efficienza termica per le settimane necessarie all’eliminazione delle cellule tumorali e permetta poi all’organismo di degradarle ed eliminarle rapidamente, così da restituire ai medici la possibilità di osservare in dettaglio i tessuti trattati con tutti i normali strumenti diagnostici.

La forza della diversità

“Tutti questi progetti non sarebbero possibili senza il mio gruppo multidisciplinare e multiculturale di ricercatori” sottolinea Pellegrino. “Avere un gruppo così variegato era non solo il mio sogno, ma è anche la chiave del successo della ricerca che portiamo avanti, ed è possibile grazie anche a un modello di ricerca che IIT incoraggia e aiuta a realizzare con un adeguato supporto organizzativo e amministrativo. Quando c’è da festeggiare qualche evento, è nostra abitudine organizzare delle escursioni in Liguria, e la pausa pranzo, al sacco, diventa un’occasione per assaggiare ricette di varie parti del mondo.”

Nel tempo lasciato libero dall’impegno professionale e familiare, tra i suoi passatempi Pellegrino si dedica al disegno: “Come ricercatori siamo persone molto razionali e impostate. Ci è richiesto rigore. La passione per il disegno mi permette di assecondare la parte del mio cervello che spazia: mi piace disegnare volti, gli occhi mostrano l’intensità delle emozioni del soggetto”. Anche le figlie disegnano, e un acquerello astratto di Giorgia e Rossella è stato scelto come simbolo di uno dei progetti di ricerca. Non manca l’impegno nel volontariato: “Con tutta la famiglia siamo volontari AIRC, non manchiamo mai di partecipare al mercatino natalizio di San Nicola, a Genova, e di scendere in piazza per la campagna delle Azalee della Ricerca: Rossella è la più giovane volontaria della Liguria”.

  • Fabio Turone (Agenzia ZOE)