Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
L'Organizzazione mondiale della sanità si interroga sull'efficacia dei diversi strumenti di dissuasione dal fumo. Perché, se lasciato solo, il fumatore non smette.
Esistono mille modi per smettere di fumare, e mille modi più uno per non cominciare ma, nonostante i divieti sempre più stretti e le campagne d'informazione sui rischi che si corrono, le percentuali di chi fuma sono ancora allarmanti. Secondo dati ISTAT, l'Italia si posiziona nona nella classifica dei Paesi più fumatori d'Europa, dietro Grecia, Irlanda, Ungheria, Spagna, Repubblica Ceca, Polonia, Francia e Austria; circa il 30% della popolazione del Vecchio Continente fuma, e in media ogni anno si registrano 700.000 decessi legati al consumo di tabacco, che diventa così la prima causa di morte prematura.
Per cercare di arginare il problema, soprattutto tra i giovanissimi, i singoli Paesi e l'Unione Europea hanno varato nel corso degli anni una serie infinita di norme e regole. Ne hanno discusso gli esperti di politiche sanitarie nell'annuale congresso dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sul tabacco e la salute.
Ciò che ha dato più risultati è stato il divieto di fumare nei luoghi pubblici, entrato in vigore in Italia nel 2005 con la legge del 16 gennaio 2003, conosciuta anche come legge Sirchia. L'iter però è stato lungo: correva l'anno 1972 quando, per volere della Comunità Europea, fu proibita la pubblicità dei prodotti per fumatori; nel 1975 è entrata in vigore la legge che vietava il fumo sui mezzi di trasporto pubblico, solo in seguito estesa a ospedali, cinema, teatri e musei, fino alla già citata legge Sirchia.
Serve davvero mettere più tasse sui pacchetti di sigarette? Sembrerebbe di sì: le politiche fiscali si sono dimostrate utili nella lotta al tabagismo, riducendo il consumo soprattutto nei più giovani. Secondo l'OMS, un aumento del 10% nel prezzo delle sigarette porterebbe a una riduzione del consumo delle stesse del 4%, e dell'8% nei Paesi in via di sviluppo. Lo conferma anche Roberto Boffi, dirigente medico del Dipartimento di fisiopatologia respiratoria dell'Istituto nazionale tumori di Milano: il costo di un pacchetto di sigarette dei vari Paesi è strettamente legato alla percentuale di fumatori. Con questa logica, in Italia, dal 2005 esiste un prezzo minimo di vendita sotto il quale nessuna casa può scendere.
Proibire di fumare nei luoghi pubblici ha senza dubbio portato a una netta diminuzione del numero dei fumatori, disincentivando i più giovani a iniziare, soprattutto, dicono le statistiche, nella popolazione maschile. Nel nostro Paese è proibito fumare nei luoghi chiusi, ma esistono locali ad hoc per fumatori, mentre nei luoghi pubblici all'aperto è ancora permesso. Tuttavia il Ministero della salute si sta muovendo per introdurre dei limiti; da novembre 2013 alunni e insegnanti non possono più fumare nei cortili e davanti all'ingresso delle scuole, segnale importante per ribadire che l'educazione a un comportamento sano deve passare anche e soprattutto dalle istituzioni di formazione.
Molti ancora ricordano quando le pubblicità di sigarette riempivano i giornali e, soprattutto, le trasmissioni di eventi sportivi. A livello europeo il divieto di pubblicizzare il tabacco in televisione, in radio, in internet e negli eventi ufficiali - come potevano essere i giochi olimpici - è arrivato solo nel 1989. "La pubblicità era nociva non solo perché incoraggiava bambini e giovani adulti a iniziare, ma sappiamo da studi sul passato che aumentava il consumo in chi già fumava, creando un'illusoria realtà nella quale fumare era accettabile e non comprometteva la salute" spiega Boffi. Superfluo dire che con il divieto le vendite di sigarette subirono un crollo.
Ma la strada per bandire il cattivo esempio è lunga: solo nel marzo 2010 c'è stata un'estensione del divieto, che ha reso di fatto illecito l'inserimento di prodotti legati al fumo in ogni tipo di media audiovisivo.
Il rischio di avere un cinema e una televisione senza fumo (malgrado in passato alcuni personaggi, come quelli interpretati da Humphrey Bogart, fossero caratterizzati proprio dalla sigaretta) ha scatenato a inizio gennaio, in Italia, una mobilitazione di registi e sceneggiatori. Attirandosi l'ira degli artisti, che hanno iniziato una vera e propria lotta al grido di "arte libera", il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha infatti annunciato l'intenzione di eliminare dalle future pellicole le scene in cui gli attori fumano. La normativa si rifà a un progetto del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), che non si limita a bandire le sigarette da cinema e televisione, ma prevede anche il divieto di fumare in macchina. Infatti il fumo alla guida è causa di oltre il 15% degli incidenti stradali, e fumare in uno spazio così ristretto trasforma l'auto in una camera a gas. Da qui l'idea di imporre nuove norme sul consumo di tabacco, per dire una volta per tutte che fumare non è socialmente accettabile. La stessa norma imporrebbe di non fumare nei luoghi frequentati da bambini, in special modo in parchi e altri spazi pubblici, col fine ultimo di limitare per quanto possibile il rischio di fumo passivo.
Gli esperti dell'OMS si sono anche chiesti quanto incida la buona informazione. Vi sono infatti innumerevoli campagne contro il fumo, rivolte sia a fumatori - per incoraggiarli a smettere facendo opera di sensibilizzazione sui pericoli e mostrando loro tutti i mezzi disponibili - sia ai più giovani, per prevenire ma soprattutto per ricordare loro il grande problema rappresentato dal fumo passivo.
"L'efficacia delle campagne è difficile da misurare" spiega Boffi. "Ma è comunque importante". I bambini, per esempio, sono un ottimo veicolo di persuasione nei confronti dei genitori e spesso quelli che seguono corsi sul fumo durante l'orario scolastico riportano ai genitori fumatori quanto hanno sentito, spingendoli a smettere.
Benché controversa, anche l'introduzione di avvertimenti attraverso immagini e scritte, rigorosamente a caratteri cubitali, risulta essere una buona strategia: direttive europee vogliono che tali avvertenze coprano il 65% della superficie esterna della confezione. In Italia è già dal 1991 che, sui pacchetti di sigarette, appare la scritta "Il fumo uccide", ma finora non sono apparse immagini.
Per far fronte al dilagante problema dei fumatori giovanissimi, molti Paesi hanno adottato misure restrittive che impediscono a chi non è ancora maggiorenne di comprarsi un pacchetto di sigarette, almeno sulla carta. Anche in Italia, dove fino a un paio di anni fa bastava avere sedici anni, ora è necessario dimostrare di averne diciotto: e se, da una parte, il divieto impedisce a molti di iniziare, dall'altra porta chi ha già iniziato ad atti estremi pur di fumare, primo tra tutti il furto, perché, come spiega ancora Boffi "la dipendenza da nicotina supera addirittura quella da alcune droghe pesanti".
L'educazione antitabacco deve quindi iniziare proprio dai banchi di scuola, soprattutto perché, come dimostrano i dati dell'OMS, si inizia a fumare tra i 15 e i 25 anni, e questa età tende sempre più ad abbassarsi. È importante, per ottenere nei giovanissimi il risultato sperato, mostrare loro come resistere alle varie influenze che potrebbero spingerli a iniziare: tuttavia questo tipo di programma si dimostra utile solo in comunità con forti politiche per il controllo del tabacco. "Bisogna lavorare con i ragazzi, interagendo. Lezioni frontali, così come vuoti slogan, non servono a nulla" spiega ancora Boffi.
È bene ricordare che le terapie comportamentali e farmacologiche si sono dimostrate abbastanza efficaci nel far smettere i tabagisti, ma nonostante ciò spesso non vengono pubblicizzate abbastanza, in primo luogo dai medici. "Molti medici, infermieri e professionisti della salute fumano: l'incoerenza gioca un ruolo importante in questa battaglia. E finché non cambierà questo atteggiamento, smettere sarà sempre più difficile per il paziente". Oltre l'85% degli ex fumatori, continua Boffi, ha smesso da solo: "Le cure e le tecniche per aiutarli ci sono, è necessario ora che vengano sfruttate". In altri Paesi, come Francia e Gran Bretagna, i farmaci per smettere di fumare sono rimborsati in parte o in toto, ma ciò non avviene in Italia.
Il tumore ai polmoni, che fino agli anni Cinquanta era un tumore raro nella popolazione femminile, sta oggi superando quello della mammella: secondo il Ministero della salute in Italia una donna su quattro fuma abitualmente sigarette. È importante sottolineare che i polmoni delle donne, essendo più piccoli e con una superficie ridotta rispetto ai polmoni maschili, sono più vulnerabili e sensibili. Inoltre, da un punto di vista genetico e ormonale, il corpo della donna è predisposto alle forme più aggressive: gli ormoni tipicamente femminili come gli estrogeni e il progesterone, stimolando la crescita delle cellule tumorali, rendono il cancro più invasivo.
Carlotta Jarach