La ricerca del virus diventa routine

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

La ricerca del virus diventa routine

Dopo anni di sperimentazione, arriva il via libera all'uso del test per la ricerca del virus HPV come test di screening, con qualche accorgimento a seconda dei risultati ottenuti.

La conseguenza rara di un'infezione comune: così è stato definito il carcinoma della cervice uterina che è legato, nella quasi totalità dei casi, alla presenza del papillomavirus umano (HPV). I dati internazionali confermano che l'infezione da HPV è molto comune tanto che, secondo le stile, il 70-80% delle donne sessualmente attive incontra il virus almeno una volta nella vita e nella maggior parte dei casi l'infezione si risolve spontaneamente senza provocare danni. Ma ci sono anche casi nei quali l'infezione rimane e riesce a trasformare le cellule cervicali fino a dare origine a un tumore. La buona notizia è che già da diversi anni esistono strumenti molto efficaci per diagnosticare queste trasformazioni prima che diventino pericolose, primo fra tutti il Pap-test al quale oggi si affianca anche il test HPV, frutto dei continui progressi medici e tecnologici.

Un alleato sensibile

Il test HPV è un test molecolare che ha l'obiettivo di andare a cercare sequenze di DNA del virus all'interno di cellule e tessuti. Le cellule analizzate sono le stesse che si utilizzano anche per il Pap-test e quindi anche le modalità di prelievo sono le stesse: con un'apposita spatolina si prelevano le cellule della cervice dell'utero, in particolare quelle dell'area definita giunzione squamocolonnare, il punto di passaggio tra i due tipi di cellule che compongono la cervice. "Ciò che cambia è come queste cellule vengono poi conservate e trattate: per il Pap-test vengono posizionate su vetrini per essere osservate al microscopio, mentre per il test HPV vengono messe in un mezzo apposito - diverso a seconda del test utilizzato - per essere poi analizzate in laboratorio" spiega Annarosa Del Mistro, responsabile della struttura semplice Studio del papilloma virus in oncologia, prevenzione e diagnosi dell'Istituto oncologico veneto di Padova. Del Mistro è stata anche tra i coordinatori del gruppo di lavoro che ha valutato quali dovrebbero essere i test di primo livello (cioè quelli disponibili per tutti) all'interno del Gruppo italiano screening del cervicocarcinoma (GISCI), che ha riunito tutti gli esperti del settore. Oggi sono disponibili sul mercato quasi 200 test per identificare la presenza di HPV, ma, come precisa l'oncologa, solo alcuni sono stati convalidati per essere utilizzati nello screening. "Quelli approvati per questo uso hanno particolari caratteristiche, definite dagli esperti sulla base dei risultati degli studi clinici e in particolare vanno a cercare solo i tipi HPV ad alto rischio, con adeguata sensibilità e specificità clinica". In parole più semplici, sono utilizzabili a scopo preventivo solo i test che garantiscono con un sufficiente margine di sicurezza di trovare il virus laddove c'è e di non trovarlo per sbaglio se non c'è (dando quindi un risultato falsamente positivo).

HPV test o Pap-test?

Fino al 2012, in Italia l'unico test di screening per il tumore della cervice uterina era il Pap-test e il test HPV veniva utilizzato solo in progetti pilota, ma ora la situazione è cambiata. "Il Ministero ha inviato una nota a tutte le Regioni dicendo che entrambi i test sono utilizzabili per lo screening primario in donne che hanno compiuto i 30 anni" afferma Del Mistro "e molte Regioni sono già passate o stanno passando a questo nuovo strumento".

Il merito del cambio di rotta è da attribuire anche ai risultati di grandi studi condotti in Italia (il più importante è il Trial NTCC che ha coinvolto oltre 95.000 donne seguite per più di 10 anni) e in altri Paesi europei come Olanda, Svezia e Inghilterra, che hanno dimostrato che il test HPV ha caratteristiche che lo rendono sotto molti punti di vista migliore del vecchio - e pur sempre efficace - Pap-test. "Innanzitutto, il test HPV è molto più sensibile del Pap-test" spiega Del Mistro, "trova più precocemente campanelli d'allarme che consentono di individuare le lesioni della cervice uterina e quindi è più protettivo. Un altro vantaggio non indifferente, sia dal punto di vista delle donne sia da quello delle autorità sanitarie, è che grazie alla maggiore sensibilità e alla precocità di individuare le lesioni, in presenza di un risultato negativo al test HPV utilizzato come screening primario, il controllo successivo viene effettuato dopo cinque anni e non dopo tre anni come succede dopo un Pap-test negativo. "Questo permette alle donne di avere un'efficace prevenzione con un numero inferiore di controlli e agli operatori dei programmi di screening di dedicare le risorse e il tempo risparmiati per migliorare l'adesione agli stessi e per compiere passi avanti nella ricerca" dice Del Mistro". Il Pap-test resta comunque il test più specifico e riesce a identificare le lesioni che davvero rischiano di progredire in tumore e che dovranno essere seguite con maggiore attenzione. La conclusione è che, nonostante i dati abbiano dimostrato una grande affidabilità del test HPV, il Pap-test non può ancora essere messo in soffitta, ma rimane un alleato importante anche se si usa i test HPV.

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E se il test è positivo?

Interpretare i risultati di un test e scegliere come agire in seguito richiede protocolli condivisi basati su prove scientifiche. Nel caso del test HPV bisogna innanzitutto distinguere tre differenti situazioni in cui è dimostrata la sua utilità clinica: come test primario nello screening, come test di triage (una sorta di ulteriore classificazione) dopo uno screening iniziale basato sul Pap-test. e infine come test di controllo dopo un intervento di rimozione di una lesione di alto grado (dette CIN2, CIN3 o carcinoma in situ).

"Quando il test HPV utilizzato nello screening primario dà un risultato positivo, viene letto anche il vetrino del Pap-test" spiega Del Mistro. Se il Pap-test è positivo, si procede con la colposcopia e poi con le raccomandazioni e i percorsi secondo i protocolli in uso, mentre se il Pap-test è negativo, la donna viene invitata a ripetere il test HPV dopo un anno. Si tratta infatti di donne che hanno contratto l'infezione senza che vi siano state alterazioni cellulari e, nella maggioranza dei casi, ci si attende che tali infezioni si risolvano spontaneamente. "Se questo secondo test HPV è positivo si va alla colposcopia indipendentemente dal risultato del Pap-test, mentre in caso di test HPV negativo si torna agli intervalli di screening standard" chiarisce l'esperta.

Nel caso in cui lo screening primario sia basato sul Pap-test, il test HPV ha un ruolo come esame di triage. "Quando l'operatore che ha analizzato il vetrino trova alterazioni delle cellule di significato non determinato (identificate con la sigla ASC-US sul referto), il test HPV si rivela molto utile per selezionare le donne che necessitano di approfondimenti". In particolare, un test HPV positivo indica una maggiore probabilità che ci sia una lesione sfuggita al Pap-test, mentre un test HPV negativo indica che la donna è a bassissimo rischio e può sottoporsi ai controlli standard.

Infine, nel caso di donne già sottoposte a intervento per eliminare una lesione, un test HPV positivo a 6-12 mesi dall'intervento identifica con elevata probabilità le donne a maggior rischio di recidiva che necessitano di controlli più frequenti, mentre un test negativo unito a un Pap-test negativo permette di tornare a intervalli di controllo meno frequenti seppure sempre personalizzati.

Il test HPV non è indicato per le donne con meno di 30 anni. Questo perché la maggior parte delle infezioni da HPV nella popolazione femminile si verifica all'inizio dell'attività sessuale, poi il sistema immunitario impara a riconoscere il virus e a reagire. Con un esame sensibile come il test HPV, la probabilità di trovare un'infezione in una donna giovane è molto alta, ma proprio queste donne vanno incontro facilmente alla risoluzione spontanea dell'infezione e delle lesioni. Sottoponendo al test le donne più giovani si rischia quindi di andare incontro a diagnosi scorrette e a eccessi di trattamento.

Uno screening ben organizzato

Protocolli condivisi, indicatori e controlli di qualità, operatori qualificati e dedicati: la prevenzione del tumore della cervice uterina dovrebbe passare attraverso gli screening organizzati (definiti a livello nazionale e gestiti dalle Regioni) che in Italia riguardano le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni. I dati internazionali sono chiari: uno screening come quello italiano, che invita attivamente la popolazione, sollecita le donne che non rispondono e che prevede controlli definiti e di qualità, è in grado di fornire una protezione più elevata di un test fatto spontaneamente ogni anno. Eppure sono ancora molte le donne che anziché aderire allo screening organizzato si rivolgono al proprio ginecologo per il Pap-test o il test HPV. Se queste donne si affidassero al programma di screening organizzato per la prevenzione del tumore cervicale, di certo potrebbero ricevere una prevenzione migliore e un'informazione più omogenea.

Che tipo sei?

Quando si parla di HPV non si parla di un unico virus ma di una grande famiglia che comprende più di 100 tipi diversi di virus. Tra questi, molti non causano lesioni e non aumentano il rischio di tumore della cervice. Ce ne sono 12 attualmente definiti come cancerogeni e sono HPV 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59. Da non dimenticare che nel 70% dei casi di carcinoma della cervice i tipi coinvolti sono il 16 e il 18 (la cui infezione può essere prevenuta con i vaccini anti-HPV attualmente disponibili e utilizzati nelle campagne a invito delle ragazze dodicenni).

Oltre il tumore della cervice

Il virus HPV può essere coinvolto anche nello sviluppo di tumori di altri organi, con percentuali differenti. Circa il 40% dei casi tumori dell'area genitale - vagina, vulva e pene - è correlato alla presenza di HPV. Nei tumori dell'ano la percentuale arriva anche all'80-90%, mentre nei tumori della regione testa-collo, in particolare quello dell'orofaringe, in Italia si arriva al 25%. E in tali tumori il virus coinvolto è quasi sempre il tipo 16, trasmesso attraverso i rapporti sessuali orali. Al momento non ci sono screening basati sulla ricerca dell'HPV per questi tumori, ma per quanto riguarda il tumore dell'orofaringe c'è grande interesse sul legame HPV-cancro. La presenza del virus sembra dare a questo tumore una prognosi migliore, anche se le terapie sono le stesse nei tumori positivi e negativi al test HPV.

Per saperne di più

  • Cristina Ferrario