Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024
Donatella Del Bufalo ha sposato la missione di AIRC e la sostiene sia con il suo lavoro di ricercatrice dell’IFO sia come volontaria.
Non appartiene alla schiera di scienziate in cui la scintilla per la ricerca si è accesa fin dalla tenera età. “Sicuramente farebbe più impressione, ma no, nel mio caso non è stato proprio così!” ammette ridendo Donatella Del Bufalo, biologa dell’IFO – Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, dove lavora nell’Unità di modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici. Al mondo della ricerca è arrivata un po’ per caso e all’oncologia per l’intuizione – supportata però da una grande determinazione – che la ricerca in oncologia fosse per lei la direzione più giusta da prendere. “Finito il liceo scientifico Gregorio da Catino di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, dovevo decidere cosa fare: amavo le materie scientifiche e presi in considerazione medicina, ma mi sarebbe piaciuto anche studiare lingue. La scelta fu in parte influenzata dalle amiche: eravamo un bel gruppo, molto legate, e decidemmo per biologia, che tutto sommato rispecchiava i miei interessi. In seguito, fu sempre per caso che entrai al Regina Elena, non lo scelsi di proposito. L’istituto, infatti, si trova di fronte alla Sapienza, l’università dove si è laureata nel 1985 con 110/110, per cui fu uno dei primi posti in cui fece domanda per effettuare il tirocinio post-lauream obbligatorio in quegli anni per l’abilitazione alla professione. “Fu un’esperienza bellissima anche per i colleghi, con cui c’era molto affiatamento. Ma ben presto mi resi conto che il laboratorio di analisi mi andava stretto: seguendo seminari e convegni, rimasi affascinata e incuriosita da quanto raccontavano gli oncologi e percepii che la ricerca sul cancro poteva essere la strada giusta per me. Presi la mia decisione e mai me ne sono pentita.” Così, terminato il tirocinio, Donatella chiese a Gabriella Zupi, che dirigeva il Laboratorio di chemioterapia sperimentale preclinica, di far parte del suo gruppo. “Mi avvertì che fare ricerca non è facile e poi mi disse: ‘Qui puoi entrare, non c’è problema, ma diamo l’opportunità di rimanere soltanto alle persone che dimostrano la voglia e la stoffa per meritarselo’. Io risposi che ero pronta a provarci. E così ho fatto.”
Raccontando quei primi anni in cui cercava di individuare la sua strada, Donatella sorride e un po’ si commuove, ricordando i suoi genitori che, insieme a suo marito, sono stati i suoi principali supporter. “Sono nata a Montopoli di Sabina, un piccolo paese in provincia di Rieti. Nella mia famiglia non c’erano medici o scienziati, i miei genitori avevano la licenza elementare e non sapevano consigliarmi su quale fosse la cosa giusta da fare rispetto agli studi, mi hanno sempre lasciata decidere in autonomia. Mettevano la cultura al primo posto: mio padre mi diceva che per essere liberi bisogna essere innanzitutto colti, avere un bagaglio culturale che ti permetta di tenere la testa alta dovunque tu sia.” Con Sandro, architetto oggi in pensione, si è sposata a 24 anni e hanno due figli: Edoardo, 27 anni, informatico, e Sandra, 30, laureata in filosofia. Donatella da sempre ha un bisogno spasmodico di leggere (ha appena terminato Le assaggiatrici, “molto bello!”) e le piace il ballo: “Per i miei 50 anni chiesi a mio marito di venire a ballare il tango con me. Mi accontentò ma resistette un anno, proprio non lo entusiasmava! Ora però abbiamo trovato ciò che fa per noi: il Lindy Hop, che si balla su musica swing ed è divertentissimo”. Insieme, nel tempo libero, amano fare lunghe camminate, un modo per ritrovare equilibrio ed energia. “È anche merito di mio marito se ho potuto fare la ricercatrice con tanta libertà. Il mio lavoro richiede impegno e dedizione e spesso gli orari sono dettati dagli esperimenti, non dal fatto che devi portare i figli in piscina. È stato un padre e un marito sempre presente, c’è stata grande condivisione ed è anche grazie a lui che sono andata un anno negli Stati Uniti nonostante fossimo già sposati.” Era il 1990 e un viaggio a Washington per il congresso dell’AACR – American Association of Cancer Research, rappresentava una buona occasione per una visita in un laboratorio americano. La accolsero al National Cancer Institute di Frederick, presso il Molecular and Cellular Immunology Laboratory diretto da Howard A. Young. Inizialmente doveva fermarsi cinque giorni, che divennero trenta poco prima di partire: “Ma una volta lì… non riuscivo a tornare a casa! Era un’esperienza talmente intensa e diversa dal modo di lavorare in Italia. Così, quando mi proposero un contratto di dieci mesi, ne parlai con mio marito, lui mi diede il suo sostegno e rimasi. È stato un anno di formazione molto importante, mi ha dato fiducia”. Rientrata in Italia, nel ’92 partecipa al concorso come assistente e lo vince, ottenendo una permanent position al Regina Elena. L’anno dopo arrivano i primi grant da CNR e Ministero della salute “non facili da ottenere se sei all’inizio della carriera e non c’è nessuno che ti guidi e ti spieghi come devi impostare il lavoro. In questo Gabriella Zupi mi ha fatto da mentore, mi ha dato la possibilità di crescere e di avere fin da subito la mia indipendenza. Quando è mancata, qualche anno fa, per me è stata una grandissima perdita”.
Il focus della ricerca di Donatella è il melanoma, nello specifico la proteina BCL-2: è un induttore di sopravvivenza, cioè consente alla cellula tumorale di vivere più a lungo, e favorisce la resistenza, per cui, quando la proteina è molto espressa, il cancro è in grado di contrastare le terapie. Nello sviluppo dei tumori solidi, e in particolare del melanoma, entrano in gioco anche altre proteine della stessa famiglia, quali BCL-XL e MCL-1. “Studiare il loro ruolo nella progressione del melanoma è stato l’obiettivo del mio primo progetto finanziato da AIRC. Era il 2000 e da allora sono sempre riuscita – tranne una volta, e fu difficile accettare la défaillance! – a ottenere i finanziamenti AIRC che mi hanno permesso di conseguire risultati importanti e di far lavorare con me molti giovani. Ad AIRC devo tutta la mia carriera.” Da altre ricerche di Donatella è emerso il ruolo di BCL-2 come modulatore dell’angiogenesi (ovvero la sua capaci tà di potenziare la vascolarizzazione favorendo di conseguenza la crescita del tumore), nonché il suo coinvolgimento nella formazione di metastasi. Di recente Donatella ha dimostrato che tale proteina può condizionare, modificandole, alcune cellule del sistema immunitario: “Quando BCL-2 è espressa ad alti livelli dalla cellula di melanoma, è in grado di indurla a secernere alcune molecole, soprattutto citochine, che hanno effetto sui macrofagi, facendoli diventare per lo più di tipo M2, cioè macrofagi protumorali. Quindi andare a inibire BCL-2 e le proteine della stessa famiglia non vuol dire soltanto focalizzarsi sulla cellula cancerosa ma anche sul microambiente tumorale, che oggi sappiamo essere molto importante per lo sviluppo della malattia”. E proprio l’individuazione di un inibitore specifico è l’ultimo successo ottenuto in collaborazione con ricercatori dell’Università Sapienza e del CNR: si chiama IS21 e ora sono in corso esperimenti per capire se potrà potenziare l’efficacia della target therapy e dell’immunoterapia, due trattamenti di grande rilievo nella cura del melanoma.
Oggi il gruppo di Donatella è formato da tredici persone ed è decisamente al femminile (ne fa parte un solo uomo). È orgogliosa che in molti, anche in passato, abbiano ottenuto a loro volta un finanziamento da AIRC, mantenendo poi una promessa fatta a lei: “Diventare volontari. Perché è bello poter dire che AIRC finanzia la mia borsa di studio, ma è altrettanto bello aiutare AIRC affinché questo succeda!”. In effetti Donatella è da sempre una volontaria, nonché l’organizzatrice instancabile di tutte le raccolte fondi della Fondazione all’interno dell’IFO, un ruolo che nell’istituto tutti le riconoscono. Una volta alla settimana, il martedì, si tiene la riunione che fa il punto sui vari esperimenti in corso e sui dati emersi, un appuntamento fondamentale per il suo lavoro: “La ricerca per definizione deve essere fatta in team e il confronto continuo è importante. L’esperienza conta ma lo scambio è indispensabile. Da soli” conclude “non si va da nessuna parte”.
Michela Vuga