Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Alcuni parametri stabiliti dal Picker Institute possono servire a verificare che il paziente sia sempre al centro degli interessi del medico e dello scienziato.
Il paziente è al centro degli interessi del medico e dello scienziato: se così non fosse, la stessa pratica della medicina perderebbe di senso. C’è però chi ha cercato di definire alcuni parametri per verificare che questa premessa teorica sia sempre rispettata. Il Picker Institute, una organizzazione non profit britannica nata con l’obiettivo di aumentare il peso del punto di vista dei pazienti nella pratica sanitaria, ha sostenuto una ricerca della Harvard Medical School che ha stabilito gli otto principi imprescindibili per una medicina centrata sul malato (e sulla sua famiglia, considerata una parte in causa tanto quanto il paziente stesso). Applicare tutti i principi non è facile, soprattutto nell’ambito di un sistema sanitario pubblico che deve fare i conti con una complicata gestione delle risorse, ma deve essere un obiettivo da perseguire.
È importante coinvolgere i pazienti nei processi decisionali, riconoscere che sono individui con valori e preferenze del tutto personali, trattarli con dignità, rispetto e sensibilità per il loro universo culturale e la loro autonomia.
I pazienti hanno dichiarato di sentirsi vulnerabili e impotenti di fronte alla malattia. Un buon coordinamento delle cure può contribuire ad alleviare queste sensazioni. I pazienti hanno individuato tre ambiti su cui intervenire: le cure, i servizi di supporto (servizi sociali, riabilitazione) e le cure di prima linea, per esempio in ospedale.
I malati esprimono spesso la preoccupazione di non essere informati chiaramente sulla loro condizione o prognosi. Gli ospedali dovrebbero quindi accertarsi che i pazienti siano sempre aggiornati sullo stato della malattia e sulla prognosi, sui processi di cura e su tutto ciò che può favorire la loro autonomia.
Il benessere fisico ha un impatto importante sull’esperienza di malattia. È necessario garantire l’assistenza nelle attività quotidiane, un ambiente ospedaliero gradevole e strumenti per tenere sotto controllo il dolore.
Paura e ansia possono avere effetti debilitanti. Chi sta vicino a un malato deve accertarsi che l’ansia sia contenuta o trattata, che la paura non incida sulla malattia stessa o sulle relazioni familiari e infine che non sia aggravata da preoccupazioni materiali e finanziarie.
Gli ospedali e i medici devono facilitare le relazioni dei pazienti con la famiglia e gli amici, coinvolgere familiari e amici nei processi decisionali (se il paziente lo richiede), sostenere i cosiddetti caregiver (le persone che si prendono cura dei malati) e riconoscere anche i loro bisogni.
Spesso i pazienti esprimono preoccupazione sulle loro capacità e sull’autonomia dopo la cura. È importante dare loro informazioni sulla durata delle terapie e sugli effetti che avranno, su eventuali limitazioni fisiche o nell’alimentazione, e inoltre coordinare le cure sul territorio e fornire supporto per accedere a benefici sociali e lavorativi.
I pazienti devono sapere a chi rivolgersi in caso di necessità. Devono poter accedere all’ospedale o all’ambulatorio del medico con modalità chiare e tempestive. Gli appuntamenti devono essere possibilmente programmati in anticipo.
Agenzia Zoe