Il Nobel per la Chimica parla anche di salute

Ultimo aggiornamento: 31 ottobre 2022

Il Nobel per la Chimica parla anche di salute

Il riconoscimento è stato assegnato a tre ricercatori che hanno ideato la cosiddetta "chimica a scatto" trovandone anche numerose applicazioni. Si tratta di una strategia che ha rivoluzionato la possibilità di costruire nuove molecole e che può contribuire a mettere a punto nuovi farmaci.

Morten Meldal, Barry Sharpless e Carolyn Bertozzi sono tre scienziati che nel 2022 si sono aggiudicati il Premio Nobel per la Chimica: i primi due per aver inventato un approccio innovativo per assemblare nuove molecole, chiamato “chimica a scatto” (o “click chemistry”); la terza per essere riuscita ad applicare questo metodo nelle cellule senza interferire con le loro funzioni fisiologiche.

Le loro scoperte hanno trovato applicazioni in innumerevoli campi, tra cui anche la ricerca biomedica. In questo ambito la click chemistry potrebbe portare alla messa a punto di nuovi trattamenti e strumenti diagnostici, specie in ambito oncologico.

Come mattoncini

La chimica è da sempre alla ricerca di strategie inedite per fare interagire le componenti della materia. È uno sforzo essenziale per ottenere nuove proprietà o per rendere i processi più efficienti, per esempio riducendo l’impatto ambientale.

A partire dalla fine degli anni Novanta, molti ricercatori, tra cui Barry Sharpless dello Scripps Research Institute di San Diego e Morten Meldal dell’università di Copenhagen, hanno cominciato a immaginare un modo per fare in modo che alcune reazioni chimiche finalizzate a creare a nuove molecole potessero avvenire più velocemente e su larga scala.

Hanno così contribuito a ideare un approccio, chiamato click chemistry (chimica a scatto), e hanno messo a punto le reazioni chimiche di base per renderlo possibile.

“Il concetto alla base della click chemistry somiglia molto a quello dei mattoncini da costruzione. Si parte da pezzetti semplici, modulari e che si incastrano alla perfezione per costruire oggetti più complessi. In tal modo si possono costruire oggetti diversi” dice Maurizio D’Incalci, oggi a capo del laboratorio di farmacologia antitumorale dell’Humanitas Research Hospital, professore di farmacologia all’Humanitas University e a lungo a capo del Dipartimento di oncologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS.

D’Incalci ci tiene a precisare che non è un chimico, ma ha frequentato a lungo i laboratori di ricerca farmacologica e racconta che la click chemistry è ormai da tempo entrata nella pratica quotidiana. “Di fronte alla sintesi di nuove molecole, spesso mi sono sentito dire dai colleghi chimici che quello che intendevamo creare si sarebbe potuto fare applicando la click chemistry. Uno degli aspetti importanti di questo approccio è che non servono grandi strutture per utilizzarlo; con l’opportuna dotazione si può fare nella gran parte dei laboratori”.

Oggi questo approccio consente di creare in maniera efficiente materiali con le più diverse proprietà: per esempio che conducano elettricità, siano in grado di catturare la luce solare, siano antibatteriche, proteggano dai raggi ultravioletti.

Dentro gli organismi viventi

Quando si tratta di dare il via a una reazione chimica, un organismo è completamente diverso da un laboratorio. Non è possibile agire in condizioni controllate, per esempio regolando la temperatura o evitando che i processi biologici e le sostanze in circolo alterino la reazione che si sta cercando di attuare. Allo stesso tempo, non si può permettere che la reazione chimica alteri la biologia dell’organismo, per esempio rilasciando composti tossici o interferendo con il suo funzionamento.

Carolyn Bertozzi, chimica della Stanford University, ha avuto il merito di riuscire ad applicare la click chemistry negli organismi viventi senza interferire con la loro biologia, e dando origine a quella che lei ha definito “chimica bio-ortogonale”.

Bertozzi ha cominciato a usare questo approccio per studiare alcuni zuccheri complessi e all’epoca difficili da indagare, chiamati glicani. Si tratta di molecole che si trovano spesso sulla superficie delle proteine e delle cellule. La scienziata, sfruttando i principi della click chemistry e sviluppando con essi un metodo alternativo rispetto a quello messo a punto da Sharpless e Meldal, ha ideato un modo elegante per analizzare tali zuccheri. La strategia, in particolare, prevedeva l’utilizzo di due “mattoncini” complementari: il primo, fatto “assorbire” dalla cellula, si localizza sui glicani; il secondo, fluorescente, si attacca a esso. In tal modo per la prima volta i glicani sono stati illuminati e quindi sono stati resi visibili.

“Riuscire ad applicare la chimica semplice allo studio della biochimica delle cellule, senza però interferire con essa, è qualcosa di rivoluzionario” dice D’Incalci.

La messa a punto di questo metodo ha permesso di studiare processi biologici prima inaccessibili. Inoltre ha consentito di capire come i farmaci si distribuiscono nel corpo e di costruire nuovi farmaci mirati.

Attraverso questo approccio, per esempio, si è scoperto che alcuni zuccheri presenti sulle cellule tumorali (in particolare l’acido sialico) funzionano come etichette che inducono il sistema immunitario a non attaccare queste cellule. Il gruppo di Bertozzi ha dimostrato che rimuovendo questo zucchero si può attivare la risposta immunitaria contro il tumore. Questo approccio, anch’esso basato sulla click chemistry, potrebbe contribuire allo sviluppo di trattamenti immunoterapici per combattere il cancro.

Altri gruppi di ricerca stanno utilizzando un approccio simile per mettere a punto farmaci ancora più mirati. Dopo che una componente di un farmaco viene iniettata nel tumore, una seconda, complementare a essa, viene assunta per via sistemica. Quando le due componenti si incontrano, il farmaco uccide le cellule tumorali risparmiando le cellule sane. Strategie analoghe si stanno studiando anche per altre malattie, come quelle cardiovascolari e reumatiche. I principi della click chemistry stanno inoltre trovando applicazione nello studio di mezzi di contrasto per esami di imaging, di nuovi kit diagnostici, di reagenti e altri strumenti per comprendere sempre più a fondo i processi biologici.

  • Antonino Michienzi

    Giornalista, dopo la laurea in comunicazione e un master in comunicazione della scienza all’Università di Roma La Sapienza ha iniziato l’attività giornalistica con l’agenzia Zadig a Milano. Ha collaborato con diverse testate occupandosi di medicina, ricerca biomedica e sanità. Oggi, oltre che con Fondazione AIRC, collabora con l’Agenzia ANSA e con il portale HealthDesk.