Il gene della discordia divide gli esperti

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Il gene della discordia divide gli esperti

Marie-Clare King, scopritrice del gene BRCA1, ha approfittato del prestigioso premio Lasker per chiedere che lo screening genetico sia esteso a tutte le americane sopra i 30 anni. Tra gli esperti c'è chi è d'accordo, ma la realtà italiana è ben diversa.

I premi erogati dalla Albert and Mary Lasker Foundation sono chiamati anche i Nobel americani della medicina. Quest'anno è stato attribuito a Marie-Clare King della Washington University di Seattle, colei che ha identificato il gene BRCA1 e che più di ogni altra ha contribuito a mettere a punto il test genetico che ne rileva le mutazioni. Questo gene, col suo omologo BRCA2, è diventato noto anche ai meno esperti da quando l'attrice Angelina Jolie, positiva per la forma legata al cancro della mammella e dell'ovaio ereditario, ha deciso di farsi asportare entrambi i seni per evitare di ammalarsi.

Approfittando della ribalta offerta dal premio, King ha chiesto di ampliare il numero di persone sottoposte al test genetico, offrendolo a tutte le donne americane sopra i 30 anni, indipendentemente dal gruppo etnico di appartenenza (alcune etnie sono più a rischio di altre) e della familiarità per il cancro del seno, due elementi ritenuti fino a oggi indispensabili per sottoporre qualcuno allo screening.

Tutte le linee guida attuali specificano infatti che vanno testate solo le donne nate in una famiglia dove è presente la malattia in forma ereditaria.

Piani di intervento

La scoperta dell'associazione tra le forme familiari di carcinoma mammario e ovarico e mutazioni dei due geni BRCA, detti 1 e 2, risale a una ventina di anni fa; da allora, tutti i centri oncologici principali hanno organizzato servizi per gli esami genetici e per la consulenza e la gestione della situazione in caso di esito positivo. Si tratta sempre di piani di diagnosi precoce e poi di intervento terapeutico articolati, personalizzati e duraturi, dal momento che le donne (ma anche gli uomini) portatrici della mutazione restano a rischio per tutta la vita e vanno controllate strettamente, anche in caso decidano, come Angelina Jolie, di procedere alla mastectomia preventiva.

L'iter, grossomodo identico ovunque, prevede che le persone che rispondono a determinati criteri siano sottoposte ai test genetici specifici. In caso di esito positivo, le strade principali sono due: la sorveglianza, cioè il controllo serrato, una o più volte all'anno, con strumenti diversi (mammografia, ecografia, risonanza) a seconda dell'età e della situazione, a partire dai vent'anni circa, oppure, sempre una volta raggiunta l'età adulta, l'asportazione preventiva delle mammelle e delle ovaie, che abbassa drasticamente il rischio (anche se non lo annulla mai del tutto).

La scelta è della donna, la quale può avere reazioni molto diverse, come spiega Claudia Borreani, responsabile dell'Unità di psicologia clinica dell'Istituto nazionale tumori di Milano: "Le donne che scoprono di avere la mutazione di BRCA sono quasi sempre cresciute in famiglie segnate dalla malattia, elaborata da costoro in modo differente. Ci sono donne che rifiutano di fare i test, altre che lo fanno e non ritirano i risultati, lasciandoli alla famiglia o nei laboratori in caso dovessero servire in un secondo tempo, e altre che vogliono sapere. Anche per quanto riguarda l'intervento, poi, l'atteggiamento è differenziato: per alcune rappresenta una sorta di via d'uscita dallo status potenziale di malata a vita, anche se non lo è del tutto, mentre per altre è considerato una mutilazione cui preferiscono non sottoporsi, finché non vi sia una reale necessità. Oltre alle mammelle l'intervento completo coinvolge anche le ovaie, e con esse la possibilità di avere dei figli, con tutto ciò che questo comporta".

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Più diffusa la sorveglianza

Va detto - sottolinea la psicologa - che da quando la chirurgia plastica è diventata così avanzata e in grado di offrire soluzioni molto soddisfacenti per la ricostruzione, la mastectomia viene affrontata con maggiore serenità dalle donne, che possono ricorrervi senza dover affrontare il cambiamento drammatico della propria immagine corporea. Ma l'intervento resta una pratica invasiva, le cui conseguenze non devono essere sottovalutate e rispetto al quale la sorveglianza può rappresentare (e di fatto ha rappresentato negli ultimi anni) una pratica più che accettabile. Anzi: il sistema, come è strutturato oggi in Europa, spinge verso la sorveglianza, mentre negli Stati Uniti, dove la salute delle persone dipende dalla loro situazione assicurativa, si propende un po' di più per l'intervento.

Per ora non sono in molti a considerare realistica la prospettiva dello screening genetico su tutte le donne consigliato dalla King anche se, secondo le stime fatte dagli esperti USA, porterebbe, in quel Paese, all'identificazione di un numero variabile tra 250.000 e 400.000 donne con la mutazione, tutte donne che ora non sanno di essere a rischio. "La mutazione fa aumentare molto il rischio, ma non dà la certezza di avere un tumore" spiega Borreani. "E le soluzioni possibili, per ora, sono molto impegnative dal punto di vista gestionale, economico e psicologico (quelle farmacologiche non sono ancora proponibili come alternative realmente efficaci). In futuro, quando la ricerca avrà compiuto altri passi avanti e potremo offrire alle donne positive per il test una risposta alla portata di tutti e definitiva, potrebbe diventare un esame di routine, ma oggi mi sembra prematuro pensarlo". La vicenda di Angelina Jolie, per esempio, ha segnato uno spartiacque anche in Italia: secondo l'esperta vi è stato un aumento consistente di domande di test di BRCA anche in situazioni che non rientrano in quelle previste e i centri genetici hanno difficoltà a rispondere adeguatamente e a spiegare perché non va fatto il test quando non è il caso. In definitiva, la storia di BRCA riflette le contraddizioni della medicina moderna: grandi potenzialità, ma anche pericolo di eccessi, distorsioni e semplificazioni le cui conseguenze ricadono su chi dovrebbe trarne beneficio.

Quando fare il test

L'American Society for Clinical Oncology raccomanda l'esecuzione del test quando vi sia almeno una delle seguenti condizioni:

  • famiglia con più di due casi di carcinoma mammario e uno o più casi di tumore ovarico diagnosticati a qualsiasi età;
  • famiglia con più di tre casi di carcinoma mammario diagnosticato prima dei 50 anni;
  • Due sorelle con i seguenti tumori diagnosticati prima dei 50 anni:
  • due tumori mammari;
    • due tumori ovarici;
    • sia tumore mammario sia tumore ovarico.

Per saperne di più

  • Agnese Codignola