Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2022
Il cancro non deve più essere considerato un male incurabile: oggi, grazie alla diagnosi precoce e alle terapie disponibili, dal tumore si può guarire” afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione AIOM ed ex presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM).
Su questa premessa si basa la campagna “Io non sono il mio tumore” per garantire il diritto all’oblio, avviata da Fondazione AIOM e pensata per eliminare le discriminazioni alle quali sono sottoposte molte persone che hanno avuto un tumore in passato, ma che oggi possono essere considerate guarite dal punto di vista clinico.
L’obiettivo è arrivare a una legge che tuteli chi ha avuto un tumore e che, per questo, subisce discriminazioni sociali.
“Oggi in Italia vivono circa 3,6 milioni di persone che hanno avuto un’esperienza di tumore, e di queste circa un milione ha un’aspettativa di vita del tutto simile a quella di un individuo con le stesse caratteristiche (per esempio età, sesso eccetera) che però non ha avuto il cancro” spiega Giordano Beretta.
Il diritto all’oblio non ha l’obiettivo di aiutare l’ex paziente a dimenticare il tumore: non basterebbe certo una legge per cancellare l’esperienza di malattia. È invece fondamentale per permettere ad alcuni pazienti di non subire più ripercussioni sulla propria vita quotidiana a causa di una patologia che si sono ormai lasciati alle spalle.
E non c’è neppure il rischio di perdere dati clinici preziosi o diritti acquisiti, come alcune esenzioni o invalidità. “Nessuno pensa di cancellare cartelle cliniche o altri dati relativi alla malattia. Il nostro scopo è permettere ad alcuni pazienti di guarire anche a livello sociale, oltre che clinico.”
Dichiarare di aver avuto un tumore in alcune situazioni può infatti rappresentare un ostacolo: l’assicurazione sulla vita costa di più, per un mutuo o un prestito sono richieste maggiori garanzie e può essere più difficile trovare un lavoro. “Eppure, anche se non è possibile affermare con certezza che la malattia non ritornerà mai, la probabilità che ciò accada è molto bassa, quasi trascurabile” aggiunge Beretta.
L’obiettivo della campagna nazionale è quindi un provvedimento di legge che permetta di non essere più considerati pazienti oncologici dopo 5 anni dalla fine delle terapie, se il tumore è insorto in età pediatrica, o dopo 10 anni se la diagnosi è arrivata in età adulta. Ciò consentirebbe di non menzionare la malattia in tutte le situazioni in cui potrebbe essere controproducente farlo e permetterebbe inoltre di avere uno strumento in più per costringere piattaforme e social media a cancellare fotografie e post del passato che non sono più graditi all’ex paziente.
Una richiesta in apparenza semplice, ma che porta con sé un messaggio molto forte. “Non si tratta solo di ridurre le difficoltà per avere mutui o assicurazioni sulla vita: si chiede un vero e proprio cambiamento culturale nei confronti della malattia oncologica, arrivando a stabilire senza dubbi che dal cancro si può guarire” dice Beretta.
L’iniziativa di Fondazione AIOM è descritta in dettaglio su un sito web dedicato, dal quale è possibile anche scaricare la prima guida sul Diritto all’oblio oncologico e aderire all’iniziativa con la propria firma. Scopo della campagna era raggiungere 100.000 adesioni da presentare al presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge, traguardo raggiunto alla fine del mese di settembre scorso. La raccolta prosegue comunque come forma di testimonianza civile.
Leggi che garantiscono il diritto all’oblio sono già una realtà in alcuni Paesi europei, per esempio in Francia, in Lussemburgo, in Belgio, in Olanda e in Portogallo. È a questi esempi che si è ispirata Fondazione AIOM nel formulare la sua richiesta, seppur scontrandosi con diverse critiche. Una è relativa al fatto che le soglie di 5 e 10 anni indicate nella proposta non sono applicabili a tutti i tumori. “In effetti per il cancro della mammella e per quello della prostata possono passare anche 20 anni dalla diagnosi prima di poter essere definiti guariti, ma dal momento che i 10 anni della nostra proposta vanno contati a partire dal termine del trattamento e non dalla diagnosi, la soglia dei 10 anni può essere considerata valida anche in questi casi” afferma Beretta, che cita però un altro grande ostacolo alla realizzazione del progetto. “Il problema è la formazione dei medici, che spesso hanno timore nel firmare una certificazione di guarigione. È una sorta di medicina difensiva, ancora troppo frequente nel nostro Paese” spiega, ricordando che molti professionisti non sono nemmeno consapevoli dell’esistenza di questo tipo di problemi.
“I pazienti hanno bisogno di questa legge, anche per poter voltare pagina dopo la fine dei trattamenti oncologici” afferma Antonella Campana, vicepresidente di Fondazione AIOM e membro del coordinamento volontari di IncontraDonna. “La tutela dei diritti dei pazienti oncologici passa anche attraverso il riconoscimento giuridico di una guarigione dal cancro” aggiunge. “I finanziamenti vengono spesso concessi agli ex malati oncologici solo in caso si stipuli una polizza assicurativa sulla vita, e il sovra premio assicurativo richiesto è basato su dati che riflettono solo in parte quelli clinici. Questi parametri dovrebbero essere costantemente aggiornati in modo da riflettere le nuove evidenze scientifiche su prevalenza e guarigione” conclude Campana.
Perché il cambiamento culturale sia reale, è quindi importante che tutti gli attori chiamati in causa facciano la propria parte verso un obiettivo comune, il bene del paziente.
Agenzia Zoe