Ultimo aggiornamento: 3 ottobre 2022
Oncologi e professionisti della salute li usano per ascoltare, educare e coinvolgere i pazienti
Inserendo “social media” e “cancro” come parole chiave in PubMed, il motore di ricerca per eccellenza per la letteratura biomedica, vengono restituiti ben 2.038 articoli scientifici sull’argomento. È un segno indiscutibile del fatto che i social media hanno guadagnato un ruolo in campo oncologico. Se usati correttamente possono infatti favorire la prevenzione del cancro e migliorare l’assistenza ai malati.
Le stime più recenti dicono che il 58,4 per cento della popolazione mondiale usa i social media e che mediamente lo fa per 2 ore e 27 minuti ogni giorno. Data la diffusione del fenomeno, il mondo medico ha iniziato a considerare i gruppi connessi via social come delle vere comunità, di cui fanno parte anche persone che parlano di cancro per interesse, esperienza personale o perché vicini a qualcuno che si è ammalato.
Questo tipo di comunicazione ha alcune peculiarità. Per esempio, l’opzione dell’anonimato permette di esprimersi più liberamente anche a chi teme la disapprovazione sociale (come quella che può incontrare un fumatore a cui viene diagnosticato un tumore al polmone) o a chi ha paura o vergogna di fare certe domande. Se il mondo della salute “ascolta” quanto viene detto sui social media non lo fa per curiosare, ma per approfondire il punto di vista e i bisogni di tutti coloro che sono coinvolti nell’esperienza della malattia (pazienti, famigliari, ecc.).
Per esempio, è stato appena pubblicato un articolo scientifico in cui è stato analizzato come viene descritta sui social media l’esperienza del tumore al seno metastatico. Gli autori dello studio hanno individuato oltre 76.000 conversazioni sul tema postate tra il 2018 e il 2020, prevalentemente su Twitter. Ne hanno analizzate in dettaglio 820 (103 erano italiane) e hanno scoperto che il 61 per cento degli autori dei post erano pazienti, il 15 per cento amici e familiari e il 14 per cento medici o infermieri. L’84 per cento delle conversazioni verteva sul percorso del paziente: in tre conversazioni su cinque si parlava di trattamenti, in una su cinque della diagnosi e degli esami diagnostici, e in una su dieci della gestione della malattia. I temi più discussi erano la mancanza di cure efficaci, la sopravvivenza, la qualità della vita, gli effetti collaterali delle terapie e le ricadute sulla vita sociale della convivenza con un tumore al seno.
Le informazioni ricavate da questo tipo di studio sono utili da molteplici punti di vista. Innanzitutto, possono essere usate per avvalorare dati raccolti da fonti diverse e per disegnare nuovi studi. In secondo luogo, permettono di identificare i temi che veramente interessano il pubblico e che potrebbero ricevere troppa poca attenzione da parte dei clinici. Infine, analizzare le conversazioni social permette di scoprire quali termini usano le persone comuni al posto di quelle talvolta molto difficili del gergo medico; i termini di uso comune andrebbero quindi inclusi nei contenuti pubblicati sul web dalle istituzioni, dalle associazioni e dai centri di ricerca e cura, per ridurre i problemi di comunicazione tra chi cerca e chi offre notizie in ambito medico.
I social media sono sempre più utilizzati per le campagne di informazione, incluse quelle che riguardano la salute. Sono un mezzo potente ed economico per raggiungere una quota importante della popolazione e veicolare messaggi utili alla prevenzione dei tumori.
Per esempio, attraverso i social media si può trasmettere consapevolezza dei danni causati dall’esposizione al sole e dall’abbronzatura indoor (lettini solari e simili), principale causa di tumori della pelle, e suggerire i comportamenti da adottare per ridurre il rischio di ammalarsi. Lo stesso vale per i rischi legati al fumo e le opzioni disponibili per smettere di fumare.
Un’ulteriore possibilità offerta dai social media è di raggiungere i destinatari delle campagne di screening per la diagnosi precoce dei tumori. Secondo una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati nel 2021, chi è esposto alla cosiddetta “salute mobile” (in inglese mobile health, mHealth), ossia la pratica della medicina che sfrutta lo smartphone o altri dispositivi mobili per veicolare interventi finalizzati alla salute, o attraverso i social media, ha il 50 per cento di probabilità in più di aderire agli screening oncologici.
Le potenzialità dell’uso dei social media in oncologia sono tante. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che questa forma di comunicazione è in grado di diffondere rapidamente false informazioni che possono confondere le persone e portarle ad assumere comportamenti rischiosi. È importante che i professionisti della salute, le associazioni e i giornalisti specializzati, che hanno le competenze per farlo, assumano un ruolo guida nelle conversazioni, in modo da fornire un’informazione corretta e utile a chi cerca risposte.
Agenzia Zoe