Grandi potenzialità e dubbi per la medicina personalizzata

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Grandi potenzialità e dubbi per la medicina personalizzata

Le recenti scoperte sulle caratteristiche molecolari dei tumori hanno dato grande impulso alla medicina personalizzata in oncologia, ma nonostante le ottime premesse alcuni ostacoli limitano la creazione di trattamenti disegnati ad hoc per ogni singolo paziente.

Un tempo quasi tutti i tumori venivano trattati con terapie simili allo scopo di bloccarne la crescita. In seguito ci si è accorti che i diversi tumori hanno caratteristiche cliniche differenti e in base a quelle si è cominciato a sviluppare terapie differenziate. Infine, ed è ciò che accade oggi nella ricerca oncologica, lo sguardo è andato ancora più a fondo e si è compreso che le caratteristiche molecolari e genetiche della malattia possono davvero fare la differenza. Grazie a queste scoperte è nata l'idea della medicina personalizzata, costruita su misura per ciascun paziente e che rappresenta un obiettivo per tanti ricercatori e una speranza per molti malati.

Le promesse della medicina personalizzata non sono ancora però state del tutto mantenute e i fallimenti non mancano. Capirne le ragioni e i limiti può essere utile per chiarirsi le idee e non creare false speranze.

Personalizzata o di precisione?

Un primo problema da risolvere riguarda proprio il nome della nuova oncologia che accende i riflettori sulle caratteristiche molecolari dei tumori e su altri fattori specifici o individuali che possono modificare il corso della malattia o la risposta alle cure. Come spiegano gli esperti del National Research Council statunitense, i due termini "personalizzata" e "di precisione" vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile, ma non hanno esattamente lo stesso significato: "Parlare di medicina personalizzata implica l'idea che il trattamento venga disegnato su un singolo paziente, cosa che non si verifica attualmente. Per questo sarebbe meglio parlare di medicina di precisione, quella cioè che identifica quali approcci siano più efficaci per i diversi pazienti sulla base di fattori genetici, ambientali e di stile di vita".

Indipendentemente dal nome che si vuole utilizzare per descriverla, è importante però sapere che l'uso della medicina di precisione ha un ruolo di primo piano nell'oncologia moderna. Solo per fare un esempio, nel 2016 gli Stati Uniti hanno stanziato 215 milioni di dollari per la medicina di precisione, 70 dei quali destinati al National Cancer Institute per la ricerca sul cancro. L'entusiasmo per questo nuovo modo di vedere e combattere il cancro ha però anche un lato negativo dal punto di vista dell'organizzazione della ricerca e dei suoi futuri progressi. "In genere gli sforzi dei ricercatori sono distribuiti equamente per valutare e approfondire diversi approcci promettenti per la cura del cancro, ma se tutti - indipendentemente gli uni dagli altri - puntano sullo stesso approccio, il rischio è quello di perdere tempo e fondi preziosi se la strada si rivela infruttuosa. Per arrivare a risultati davvero significativi serve coordinare gli sforzi dei diversi istituti verso un programma e obiettivi comuni, piuttosto che avere 30 o 40 centri che lavorano separatamente alla stessa strategia terapeutica, seppur di precisione" spiega Ian Tannock, oncologo canadese e autore di un articolo intitolato Limiti dell'oncologia personalizzata apparso l'anno scorso sul New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più importanti del mondo.

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Trovare un bersaglio non basta

Uno dei punti di forza della medicina di precisione è senza dubbio l'identificazione di specifici bersagli molecolari presenti sulle cellule tumorali che permettono alla malattia di crescere e magari di diffondersi in organi lontani: partendo da queste molecole si possono costruire farmaci ad hoc capaci di colpire proprio quel bersaglio e per questo definiti anche "intelligenti". Solo se il tumore presenta quella particolare caratteristica ha senso utilizzare la terapia intelligente, altrimenti il trattamento andrebbe a vuoto e porterebbe solo effetti collaterali, oltre ovviamente alla perdita di tempo prezioso. Così, per esempio il farmaco trastuzumab risulta efficace nei tumori del seno che esprimono la molecola HER2, ma è inutile nei tumori mammari che ne sono privi. Senza dubbio questo approccio ha permesso di compiere enormi passi avanti nel trattamento di numerosi tumori, ma ci sono problemi che limitano l'uso di tali terapie o le rendono efficaci solo in parte: la complessità dei segnali e delle interazioni molecolari all'interno della cellula e la tossicità delle terapie stesse.

In effetti, con le terapie a bersaglio si interrompe in un punto ben preciso la catena di segnali che permettono alla cellula tumorale di crescere, ma la cellula riesce spesso a trovare vie alternative per portare avanti il proprio disegno. Si può ovviare a questo trasformismo utilizzando una combinazione di farmaci a bersaglio ma, per quanto considerate in genere meno tossiche della chemioterapia classica, anche le terapie intelligenti sono aggressive e difficilmente risultano tollerabili per l'organismo se utilizzate in dosi troppo massicce o in determinate combinazioni. E non è tutto. Per poter sapere se un tumore presenta il bersaglio molecolare è necessario sottoporre il paziente a biopsia e a un'analisi molecolare che, seppur sempre più comune e meno costosa, potrebbe non essere disponibile in tutti i centri di cura.

Darwin, l'evoluzione del cancro

Il tumore è una malattia molto complessa. Gli esperti non si stancano di ripeterlo e gli studi molecolari non fanno altro che produrre ogni giorno nuove conferme a questa realtà che complica ulteriormente l'uso della medicina di precisione. Innanzitutto le cellule tumorali presentano una grande eterogeneità, tanto che i frammenti di tessuto prelevati in diverse regioni all'interno dello stesso tumore, oppure dal tumore primario e dalle sue metastasi, possono mostrare caratteristiche molecolari differenti.

Questo fa sì che un farmaco a bersaglio possa risultare efficace per distruggere una parte della malattia, lasciandone intatta o quasi un'altra, oppure che un farmaco utilizzato per curare il tumore primario non sia efficace per eliminare le sue metastasi.

A complicare ulteriormente un quadro già molto intricato entra in gioco anche l'evoluzione. In alcuni casi si tratta di un concetto simile a quello che Darwin ha ipotizzato per le specie viventi, per cui le cellule più adatte a sopravvivere in determinate condizioni hanno la meglio rispetto alle altre. Ciò significa che nel tumore ci sono alcune caratteristiche molecolari comuni a tutte le cellule, mentre altre sono specifiche di singoli cloni (gruppi di cellule derivati da un progenitore comune) ed emergono solo in condizioni particolari, per esempio in seguito ai trattamenti. Ecco perché un tumore, così come ogni organismo vivente, non resta sempre uguale a se stesso, ma evolve costringendo i medici a cambiare le terapie in corso d'opera a causa della comparsa di resistenze.

Nell'ottica della medicina di precisione, bisognerebbe ripetere a cadenza regolare le analisi molecolari per essere certi di utilizzare sempre il farmaco giusto al momento giusto, ma ciò si rivela costoso dal punto di vista economico e piuttosto complicato per il paziente, che dovrebbe sottoporsi a continue biopsie. La biopsia liquida, che consiste nella ricerca di tracce del tumore nel sangue, potrebbe contribuire a risolvere almeno la seconda parte del problema, anche se continuerebbero a persistere gli ostacoli legati all'eterogeneità della malattia.

L'"omica" entra in clinica

"Difficilmente il cancro è il risultato di un'unica modifica molecolare o cromosomica: molto più spesso l'andamento della malattia e la sua risposta alle terapie sono determinati da una serie di cambiamenti e di interazioni tra diversi geni o proteine" spiega ancora Ian Tannock. Anche per questo invee di andare alla ricerca del singolo "capro espiatorio" al quale attribuire tutta la responsabilità, i ricercatori spesso si concentrano sulla creazione di "profili" specifici dei tumori che possono aiutare gli esperti a capire meglio la malattia e a scegliere la terapia più adatta.

Nascono così le discipline "omiche" - genomica, proteomica, metabolomica, eccetera - che analizzano contemporaneamente l'espressione di molti geni, proteine o metaboliti. Ciò che si ottiene da queste analisi è una sorta di "firma" molecolare del tumore che può aiutare a classificare i pazienti sulla base del rischio di ricaduta determinato da caratteristiche diverse da quelle tradizionalmente utilizzate e non visibili a occhio nudo in clinica.

Anche in questo caso però i dubbi non mancano. Ci si domanda infatti quale ripercussione abbia in clinica l'individuazione di questi profili e se veramente ci si possa basare su tali analisi per scegliere il trattamento. No bisogna dimenticare inoltre che queste firme possono cambiare se cambiano i pazienti dai quali sono stati prelevati i campioni per le analisi o se sono diversi i parametri statistici con i quali sono stati ottenuti i risultati.

A conti fatti, le tecnologie "omiche" possono essere utili, ma spesso per poter dare una interpretazione clinica ai dati si deve sacrificare (almeno in parte) la precisione. Per fare un esempio, quando si osservano 70 geni della firma molecolare del tumore al seno e poi si fissa una soglia sulla base della quale i pazienti vengono suddivisi in due soli gruppi (ad alto e basso rischio), si perde la specificità di un'analisi fatta su decine di geni, ma si ottiene comunque un'informazione importante per aiutare le decisioni cliniche future.

Non è scienza per solitari

Seppur ancora frammentata, la ricerca si sta organizzando per rendere più fruttuosi i tentativi di colpire il cancro nelle sue caratteristiche più nascoste, quelle genetiche e molecolari. Sono nati così diversi consorzi che riuniscono sotto un obiettivo comune ricercatori di diversi Paesi con lo scopo di scattare una fotografia molecolare dei tumori più chiara possibile dalla quale partire per trovare nuove terapie sempre più precise e personalizzate. Negli Stati Uniti, il progetto The Cancer Genome Atlas (TCGA) lanciato nel 2006 dal National Cancer Institute (NCI) e dal National Human Genome Research Institute (NHGRI) per definire le caratteristiche genomiche e molecolari di due tumori, è cresciuto nel tempo fino a includere trentatré tipi di cancro e migliaia di campioni da pazienti. Su questo materiale si lavora incessantemente alla ricerca di informazioni preziose da condividere poi con la comunità scientifica: a oggi è stato completato il sequenziamento del DNA che dà origine alle proteine di quasi tutti i tumori inclusi nel progetto. L'International Cancer Genome Consortium (ICGC), lanciato nel 2008, è invece un'iniziativa che raccoglie settanta progetti di ricerca internazionali con l'obiettivo comune di creare un catalogo delle anomalie genomiche del cancro.

Storie di successo

Gli ostacoli che ancora oggi limitano l'uso della medicina di precisione o personalizzata non devono far pensare che si tratti di un campo della ricerca sul quale non vale la pena investire. I successi di questo approccio non mancano, come dimostra il caso del farmaco imatinib, meglio noto con il nome commerciale di Glivec, che ha letteralmente rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica. Inibendo il gene Bcr-Abl, tipico di questa forma di tumore, imatinib ha reso possibile la cura della maggior parte dei casi diagnosticati. Ci sono poi trastuzumab che agisce contro i tumori mammari HER2-positivi (così chiamati perché presentano la molecola HER2 in quantità particolarmente elevate), gefitinib ed erlotinib che sono efficaci nel tumore del polmone con mutazioni nella molecola EGFR e molti altri ancora, in un elenco destinato ad allungarsi in seguito alle nuove scoperte sulla biologia dei tumori.

Dove va la ricerca

La ricerca non smette di porsi domande su come trovare i talloni d'Achille dei tumori, quelli che permetterebbero, per esempio, di lasciarsi alle spalle i problemi legati all'evoluzione della malattia e alla sua eterogeneità. Si potrebbe per esempio cercare quella particolare mutazione - ammesso che esista - presente in tutte le cellule tumorali sin dall'inizio e che le rende tali: colpire un simile bersaglio significherebbe spegnere per sempre la malattia. Si tratta di cercare un ago in un pagliaio, ma ciò non significa che sia un obiettivo irrealizzabile: un esempio è il gene Bcr-Abl che si forma nella leucemia mieloide cronica. L'avvento della medicina di precisione sta in ogni caso cambiando anche il modo di studiare i tumori e le nuove terapie. Siamo abituati a sentir parlare di terapie per un determinato tumore in base alla sua localizzazione (seno, polmone, prostata), ora invece si classificano i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari. E così anche gli studi clinici iniziano a includere pazienti con tumori in diversi organi, ma caratterizzati per esempio dalla stessa mutazione a livello di DNA.

  • Cristina Ferrario