Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Negli ultimi anni sono aumentati moltissimo gli studi che legano l'alimentazione all'insorgenza o alla prevenzione del cancro, ma spesso le informazioni sui singoli alimenti sono contraddittorie e possono confondere le idee.
Bere caffè protegge dal tumore del colon. Anzi no, bere caffè non ha alcun effetto sul rischio di sviluppare questo tipo di cancro. I mezzi di informazione sono pieni di notizie che riguardano i legami tra il consumo di un particolare alimento e il rischio di sviluppare un tumore e non c'è giorno in cui non si parli del cibo come dell'elemento chiave capace di prevenire o addirittura curare le malattie, cancro compreso. Ma succede anche che un alimento presentato ieri come "buono" perché protegge da un tumore venga definito dopo un paio di settimane "cattivo", perché uno studio ha dimostrato che invece aumenta il rischio di ammalarsi. A chi credere in questi casi? Come è possibile che uno stesso alimento possa generare risultati opposti in due diversi studi? La questione è complessa, ma una cosa è certa: nessun alimento è buono o cattivo di per sé e quando si parla del legame tra alimentazione e cancro le variabili in gioco sono davvero molte e non è semplice arrivare a una conclusione definitiva.
Uno degli errori più comuni che si commettono quando si trasmettono informazioni sul ruolo positivo o negativo di un particolare alimento sul rischio di cancro è puntare l'attenzione su un unico studio clinico. Prendiamo per esempio la vitamina E contenuta in diversi alimenti. Ci sono studi che dimostrano come questo micronutriente - così vengono definite le vitamine e i sali minerali - abbia effetti protettivi nei confronti del cancro di colon, prostata e vescica, soprattutto grazie al suo ruolo di antiossidante e di stimolante per il sistema immunitario, ma ce ne sono altri che affermano il contrario e sostengono per esempio che assumendo supplementi di vitamina E il rischio di tumore alla prostata aumenti. Quale di queste affermazioni è vera? La vitamina E protegge dal cancro della prostata o lo causa? In un certo senso entrambe le affermazioni sono corrette: l'effetto rilevato nel singolo studio infatti è in un caso protettivo e nell'altro dannoso per la salute della prostata. La prima cosa da tenere presente è che il cosiddetto "disegno" dello studio (ovvero il modo in cui lo studio è strutturato) può essere diverso: possono cambiare il numero di pazienti, le caratteristiche dei partecipanti (per età, sesso, presenza di altre malattie), la dose di alimento o nutriente consumato, il modo di quantificare le dosi eccetera. la lista delle differenze che si possono riscontrare tra due studi sullo stesso alimento è praticamente infinita e ciascuna delle voci di questo elenco può influenzare in modo decisivo il risultato finale.
Quando una ricerca si riferisce a un alimento intero e alle sue proprietà - per esempio il broccolo, in genere presentato come arma di prevenzione efficace - bisogna chiarire cosa intendono i ricercatori quando dicono "mangiare molti broccoli previene il tumore". Gli alimenti sono infatti composti da tante sostanze e quella benefica può essere una sola oppure una combinazione presente solo in quel determinato prodotto. Inoltre sappiamo dall'esperienza quotidiana che il termine "porzione" non ha per tutti lo stesso significato ed è quindi fondamentale cercare di capire quanto broccolo bisogna effettivamente mangiare per ottenere un beneficio. Non è però sbagliato, in base ai dati di uno specifico studio, dire che mangiare broccoli aiuta a tenere lontano il tumore.
Se torniamo poi alla vitamina E, la situazione si complicherà ulteriormente: nelle ricerche questa sostanza è talvolta utilizzata in dosi che non hanno niente a che vedere con quelle che si possono assumere a tavola. Anche ricorrere alla vitamina E "in pillole" potrebbe non essere una soluzione, poiché potrebbe avere caratteristiche differenti rispetto a quella naturalmente presente nel cibo (come di fatto accade, perché i componenti dell'alimento completo spesso agiscono sinergicamente). Ecco perché prendere in considerazione i risultati di un solo studio per chiarire i rapporti tra cibo e cancro può generare confusione.
Un po' di sano scetticismo di fronte ai risultati di un singolo esperimento non fa di certo male e uno sguardo critico e attento al contesto nel quale sono stati ottenuti i risultati è sempre una buona base di partenza per valutare come comportarsi. Non sempre però è possibile andare così a fondo e in questo caso ci vengono in aiuto gli esperti che, consapevoli dei limiti del singolo studio, si preoccupano di mettere insieme tutte le informazioni pubblicate nella letteratura scientifica per arrivare a una conclusione più attendibile. Nascono così, per esempio, le raccomandazioni del World Cancer Research Fund (WCRF) che ha pubblicato nel 1997 il primo report chiamato Food, Nutrition, Physical Activity and the Prevention of Cancer: a Global Perspective. Grazie a questo ambizioso progetto, che ha visto una seconda edizione nel 2007 e viene continuamente aggiornato per restare al passo con la ricerca, centinaia di esperti internazionali sono riusciti a stilare un elenco di dieci regole utili per prevenire il tumore a tavola. Ciascuna delle raccomandazioni è frutto dell'analisi attenta di tutti i dati disponibili e non di un unico studio, è valutata con attenzione tenendo conto anche delle eventuali differenze tra gli studi ed è arrivata fino alla gente solo perché ritenuta davvero "convincente".
Il messaggio più importante però è questo: nessun alimento da solo ha un effetto anticancro. È l'insieme della dieta (combinata ad altri stili di vita corretti) che può fare davvero la differenza. In questo senso, se anche un alimento che abbiamo consumato fino a oggi si rivelerà in futuro meno benefico del previsto, l'effetto generale sulla nostra salute sarà impercettibile.
È questa la domanda che si sono posti un paio di anni fa Jonathan Schoenfeld della Harvard Medical School di Boston e John Ioannidis della Stanford University in uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition. Per cercare di rispondere alla domanda i due ricercatori hanno messo mano a un libro di ricette e hanno valutato 50 ingredienti scelti a caso andando a cercare tutti gli articoli che li legassero in qualche modo al rischio di cancro. Ebbene, per l'80% degli ingredienti analizzati risultava esserci un legame - positivo o negativo - con uno o più tumori. Alla domanda del titolo si dovrebbe quindi rispondere con un sì. Il problema è che non tutti i dati per un alimento vanno nella stessa direzione (come si vede dal grafico tratto dal lavoro) e che buona parte dei risultati ottenuti non sono poi così "forti" dal punto di vista statistico. Certo, se si analizzano alimenti come la carne di manzo appare piuttosto chiara la tendenza: la carne aumenta il rischio di tumore. Stesso discorso, ma nel verso opposto, per molti alimenti di origine vegetale come cipolle, carote o limoni.
Nel grafico ciascuna barretta rappresenta uno studio. A destra della riga verticale ci sono gli studi che dimostrano un aumento del rischio di cancro legato al consumo dell'alimento, mentre a sinistra quelli che dimostrano una diminuzione di tale rischio. Da notare che gli effetti hanno intensità diverse: quelli degli studi più vicini alla riga verticale sono minori rispetto a quelli più lontani. Ciò significa che quando la barretta che rappresenta lo studio è più vicina alla riga il rischio aumenta (o diminuisce) meno rispetto a quando la barretta è molto distante.
Fonte immagine: American Journal of Cancer Nutrition
Cristina Ferrario