Ultimo aggiornamento: 7 febbraio 2022
Risultati di nuovi studi dimostrano che programmi che promuovono l’esercizio migliorano il benessere fisico e mentale di chi ha superato la malattia.
Che l’attività fisica abbia un ruolo cruciale nella prevenzione e nella cura di patologie croniche, incluso il cancro, è un ormai risaputo. Avere però un riscontro oggettivo di quanto ciò possa fare la differenza può essere uno stimolo per chi si trova ad affrontare un tumore. I risultati appena pubblicati di due studi dimostrano che le donne con una diagnosi di tumore del seno che prendono parte a programmi che promuovono l’esercizio fisico vedono migliorare la propria efficienza fisica e la qualità della vita, inclusa la salute mentale.
Sulla base della letteratura scientifica, gli esperti raccomandano che i pazienti che hanno terminato le cure contro il cancro svolgano almeno 150 minuti di attività aerobica di intensità moderata o 75 minuti di attività aerobica ad alta intensità e almeno due allenamenti di resistenza alla settimana per migliorare la salute generale. Per incoraggiarli a seguire queste raccomandazioni, sono allo studio programmi specifici. Per esempio, in un articolo pubblicato sulla rivista Cancer sono descritti i risultati ottenuti con un programma sviluppato negli Stati Uniti, chiamato Active Living After Cancer (ALAC).
“ALAC è un intervento di gruppo basato sulle prove scientifiche” spiegano i ricercatori dell’Università del Texas che hanno condotto lo studio. “In origine era stato sviluppato e testato per essere praticato da adulti sedentari e sani. Poi è stato adattato per le esigenze delle pazienti sopravvissute al tumore della mammella. Incoraggiandole a fare più esercizio fisico, l’intervento ha oggettivamente migliorato le misure di funzionalità fisica e la salute generale e ridotto il dolore.” Nello specifico, i ricercatori texani hanno dimostrato che questo programma può funzionare anche per le persone tra cui abitualmente si registra un minor grado di aderenza alle terapie, come quelle con un basso livello di istruzione o con limitato accesso all’assistenza sanitaria.
Il programma consisteva in 12 sessioni di gruppo, una a settimana, così articolate: per circa 45 minuti la persona che gestiva l’incontro, adeguatamente formata, illustrava alcuni compiti cognitivi e comportamentali da portare a termine (come fissarsi degli obiettivi, trovare sostegno sociale o identificare luoghi della propria comunità in cui svolgere attività fisica); per una decina di minuti si faceva esercizio (facendo per esempio zumba, pallavolo o anche solo passeggiando) e nell’ultima mezz'ora dell’incontro si parlava di argomenti legati alla condizione di ex pazienti di tumore (per esempio la nutrizione, lo stress emotivo, la fatigue). Al termine delle 12 settimane, la resistenza all’attività fisica (valutata misurando la distanza percorsa in 6 minuti di cammino e il numero di volte in cui le pazienti si alzavano e si risedevano sulla sedia in 30 secondi) e la qualità di vita mentale e fisica (valutate con un questionario) erano oggettivamente migliorate. “Gli effetti sulla funzionalità fisica osservati nel nostro studio sono particolarmente degni di nota, perché le donne che superano il tumore del seno sviluppano fragilità a un’età più precoce delle donne che non hanno avuto il cancro e questa fragilità aumenta il rischio di cadute, fratture e conseguente disabilità e perdita di indipendenza” sottolineano gli autori dello studio.
Un’altra conseguenza spiacevole del tumore della mammella è la ridotta mobilità del braccio e dell’ascella che può comparire dopo l’intervento chirurgico e la radioterapia. Ridotta mobilità, dolore cronico e linfedema sono abbastanza comuni e possono interessare fino a un terzo delle pazienti dopo un tumore del seno. Anche in questo caso l’attività fisica può venire in aiuto. I risultati dello studio PROSPER mostrano che le donne con tumore della mammella che iniziano un programma di fisioterapia poco dopo aver subito un intervento chirurgico non ricostruttivo riacquistano maggiore mobilità e sentono meno dolore rispetto a quelle che non lo fanno.
Lo studio PROSPER è stato condotto in 17 strutture del Regno Unito e ha coinvolto 392 pazienti. Metà delle pazienti, selezionate in modo casuale, sono state coinvolte in un programma strutturato che comprendeva attività fisica guidata e interventi motivazionali per favorire l’adesione al programma. Alle partecipanti erano offerte 3-6 sessioni a tu per tu con un fisioterapista, la prima a 7-10 giorni dall’intervento chirurgico. Le valutazioni finali dimostrano che a distanza di un anno la funzionalità dell’arto superiore era migliore nel gruppo di pazienti coinvolte nel programma rispetto a quelle del gruppo controllo. Le prime provavano anche meno dolore e minori sintomi di disabilità. Una delle possibili barriere all’introduzione di programmi strutturati di questo tipo è legata al costo. Un’analisi apposita ha tuttavia mostrato che le spese da sostenere per ovviare ai problemi di salute delle donne che non avevano aderito al programma erano superiori a quelle sostenute per attivare invece il piano di intervento.
“Abbiamo trovato prove solide che l’esercizio precoce, strutturato e progressivo è sicuro ed efficace per le donne ad alto rischio di sviluppare problemi alla spalla e all’arto superiore dopo un intervento di chirurgia mammaria non ricostruttiva” hanno scritto gli autori nell’articolo pubblicato sul British Medical Journal.
Agenzia ZOE