Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Domande e risposte sulla prevenzione, diagnosi e cura dei tumori e sul mondo della ricerca oncologica.
Pochi mesi di contraccezione ormonale non hanno un grande effetto sul rischio di sviluppare un tumore legato agli ormoni. La maggior parte degli studi analizza donne che hanno assunto la pillola per almeno cinque anni. In ogni caso, è bene ricordare che gli studi sull'associazione tra pillola contraccettiva e sviluppo di tumori sono complicati dal fatto che alcuni effetti sono rilevabili solo dopo molti anni dall'utilizzo. Nel frattempo le pillole in commercio cambiano nel dosaggio e nella formulazione, rendendo difficile applicare i risultati di tali studi alla situazione attuale. Esistono però sufficienti dimostrazioni del fatto che un uso prolungato della pillola anticoncezionale aumenta lievemente il rischio di cancro al seno, alla cervice uterina e al fegato, ma riduce in modo significativo il rischio di cancro dell'ovaio e dell'endometrio. L'aumento di rischio è comunque legato al proprio rischio individuale di partenza, che può variare da donna a donna (ecco perché è compito del medico prescriverla e non può essere assunta senza consultarlo). Nella scelta di questo metodo contraccettivo devono però entrare in gioco altri fattori, come la grande protezione nei confronti delle gravidanze indesiderate.
L'uso di ormoni per l'allevamento del pollame è, in Italia, vietato fin dagli anni novanta sulla base di una legge europea. Il pollo allevato e commercializzato nel nostro Paese non può contenere ormoni (sebbene un recente sondaggio dimostri che l'87 per cento degli italiani è convinto del contrario): la loro presenza fa parte dei cosiddetti "falsi miti" sull'alimentazione. I controlli sono affidati al ministero della Salute e ai NAS. Eventuali residui ormonali nel pollame sono dovuti a un utilizzo fuorilegge e quindi costituiscono una frode alimentare punibile penalmente. Sono altri i farmaci usati negli allevamenti intensivi, primi fra tutti gli antibiotici, e questo forse spiega perché i consumatori fanno confusione. La norma obbliga gli allevatori a interrompere la somministrazione nelle settimane precedenti la macellazione, perché ogni residuo venga eliminato. Nel caso degli antibiotici, però, i controlli hanno rivelato che non sempre la normativa viene rispettata. Un residuo antibiotico nel cibo non ha effetti sul rischio di ammalarsi di cancro, ma può creare resistenze ad alcuni trattamenti in caso di malattie infettive, aggravando il problema generale della resistenza agli antibiotici.
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