Disciplina e grande curiosità per fare ricerca e curare meglio

Ultimo aggiornamento: 27 gennaio 2022

Disciplina e grande curiosità per fare ricerca e curare meglio

L’esperienza formativa in una scuola della marina militare ha dato a Salvatore Siena quelle capacità di guida e gestione del gruppo che hanno decretato il successo della sua carriera come oncologo e scienziato

Da bambino divideva il suo tempo tra quello che per molti era il luogo dei sogni, il Supercinema Verga, costruito dal nonno materno con la piccola fortuna guadagnata in America e in giro per il mondo, e la farmacia di famiglia gestita dal papà Carlo e dallo zio prima nella Giudecca e poi al porto di Ortigia, la piccola isola collegata a Siracusa da due ponti.

Salvatore Siena ha lasciato però Ortigia alla fine del ginnasio, per frequentare il triennio del liceo classico a Venezia, alla Scuola militare della Marina Morosini. “Ho preso la decisione ispirato da alcuni ragazzi che vi avevano studiato prima di me” racconta seduto nel suo ufficio all’Ospedale Niguarda di Milano, dove dirige il Reparto di oncologia. “Non ero attratto dalla vita militare ma dalla ricerca dell’indipendenza, e anche mio padre era contento che avessi deciso di uscire dal mio mondo per andare a conoscere persone tanto diverse da me e dai miei compagni di allora.”

Risultati e gerarchie

A Venezia la vita nel collegio militare è scandita da orari rigorosi, da una disciplina pensata anche per stimolare l’attitudine al comando e il passaggio all’età adulta, da una continua sottolineatura dei risultati raggiunti e delle gerarchie che ne derivavano: “Alla valutazione iniziale mi ero classificato tredicesimo del mio corso, ricevendo perciò un numero di matricola che terminava con il numero 13” rievoca il ricercatore. “Praticavamo moltissime attività sportive, sia di mattina presto, prima della colazione, sia nel pomeriggio dopo la scuola, e potevamo studiare solo un paio d’ore prima di cena.” Ogni attività svolta egregiamente portava a riconoscimenti e ad accumulare punteggio, il che permetteva poi di scalare la gerarchia, cui erano legate molte delle regole del collegio. Per esempio, gli allievi dovevano sedersi e alzarsi da tavola sempre in rigoroso ordine gerarchico.
Siena guadagna rapidamente posizioni e diventa capocorso: “Ho sempre preso il massimo dei voti senza particolare sforzo. Era quasi più difficile stare al passo con tutti i cambi di uniforme cui eravamo obbligati per ciascuna delle molte attività giornaliere” racconta con un sorriso. “A ripensarci ora viene da sorridere anche all’idea che sia a tavola sia nel bar del collegio militare avessimo libero accesso agli alcolici, ma che chi veniva sorpreso a studiare di notte in bagno, al di fuori dell’orario previsto, fosse punito.”

D’estate, con gli altri allievi del Morosini, ha il privilegio unico di imparare l’arte marinara in crociera sulla fascinosa nave scuola, lo storico veliero trialbero Amerigo Vespucci, ma un incidente all’occhio destro, subito durante una delle tante partite di tennis in collegio, gli rende impossibile una carriera in marina. Dopo l’esame di maturità, passa allora l’estate in Inghilterra per studiare l’inglese, e rimane colpito dai collegi di Cambridge. Tornato in Italia, è proprio la qualità dei collegi a fargli scegliere di iscriversi all’Università di Pavia, in particolare alla Facoltà di medicina, ispirato dalle scoperte di Marco Fraccaro, che proprio nell’ateneo pavese aveva creato il primo laboratorio italiano di citogenetica umana, di assoluta eccellenza internazionale.

Attratto dall'innovazione

Gli anni dell’Università trascorrono tra esami, guardie mediche, mostre d’arte e frequentazione degli artisti ospitati per lunghi periodi negli stessi collegi universitari, che lo attirano perché, come lui, sono alla costante ricerca dell’innovazione, dello scavalcamento dell’esistente.
Uno spirito che, incontrandoli da giovane studente al Morosini, aveva trovato anche negli eroi di guerra Gino Birindelli e Luigi Longanesi Cattani, capaci di imprese considerate impossibili. “Al di là dell’oscenità del fascismo e della guerra stessa, sono figure straordinarie” spiega. “Mi hanno sempre affascinato le persone che si impegnano per superare i limiti.”

Siena non si ferma a rifiatare nemmeno dopo la laurea: “La cerimonia fu alla fine del mese di luglio, e all’inizio del mese di agosto cominciai a lavorare come medico condotto nel paesino di Zerbolò, in una zona di risaie e riserve di caccia della ricca borghesia milanese, lungo il Ticino.” Tra i suoi compiti, nella veste di ufficiale sanitario, c’è anche quello di verificare che tutti i locali pubblici rispettino la nuova legge in tema di fognature, dovendosi barcamenare in uno scenario degno di una commedia di don Camillo e Peppone: “Tra il maresciallo missino, il sindaco comunista e il prete democristiano, ricevevo continue sollecitazioni ad approvare rapidamente questa o quella pratica” ricorda ridendo. Intanto entra anche nella scuola di specialità, ancora una volta subendo l’attrazione di una figura di assoluta caratura scientifica: il pediatra Roberto Burgio, che dirige la migliore clinica universitaria di Pavia, da cui in quegli anni sono passati anche Franco Locatelli, Antonio Siccardi, Antonio Lanzavecchia.

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Dalla Grande Mela all'INT

Burgio lo stimola a fare domanda per una borsa di ricerca AIRC, che gli permette di andare a New York, per tre anni, a studiare il trapianto di midollo al Memorial Sloan Kettering Cancer Center, nel Dipartimento di pediatria diretto da Richard J. O’Reilly. “Un giorno O’Reilly mi chiamò per dirmi che ‘Giani’ voleva conoscermi. Era Gianni Bonadonna, che dirigeva l’oncologia medica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano ed era a New York per tenere una serie di seminari sul linfoma di Hodgkin” rievoca Siena. “Mi invitò a fare colazione con lui nel suo albergo l’indomani mattina alle 7, e poi a seguire il suo seminario alla New York University, e ne fui colpito.”

Un paio di settimane dopo arriva da Milano una telefonata con un’offerta per andare a lavorare in via Venezian come contrattista. La proposta di Bonadonna, che era stato il primo sia ad applicare in Italia la metodologia degli studi clinici controllati in oncologia medica, sia a trattare farmacologicamente il tumore con la chemioterapia, è irresistibile.

Durante il periodo in America Siena si era sposato con Lorenza Gandola, compagna di specialità a Pavia e di borsa AIRC allo Sloan Kettering, e la coppia è contenta di stabilirsi a Milano, dove nasceranno Dina e Nora, che mutuano dai genitori la voglia di viaggiare e di seguire i propri interessi, lontani dal mondo della medicina. “La famiglia lombarda di Lorenza mi ha accolto con grande affetto” racconta Siena. Anche grazie a quell’incontro fortuito con Bonadonna, Lorenza ha poi deciso di occuparsi di radioterapia pediatrica proprio all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, ed è stata anche lei sostenuta da AIRC.

L’obiettivo ambizioso a cui lavora Siena, sotto la supervisione di Massimo Gianni, è quello di rendere fattibile in clinica il trapianto di cellule staminali ematopoietiche mobilizzate nel sangue anziché espiantate traumaticamente dal midollo osseo. Dopo anni di ricerche di avanguardia, quando Gianni Bonadonna lascia l’istituto per motivi di salute, Siena si trasferisce nel neonato Istituto Humanitas, dove in un anno crea da zero una sezione per il trapianto di midollo osseo. “Dalla marina ho appreso come organizzare i piccoli gruppi” spiega. “Come nei sottomarini, non contano gli alamari, le divise e i bottoni dorati, ma conta che il siluro colpisca il bersaglio.” E il siluro va a segno anche quando viene chiamato all’Ospedale Niguarda per dirigere il Reparto di oncologia: lui ha sì il diploma di specialità in oncologia, preso dopo quello in pediatria e prima di quello in ematologia, ma si sente soprattutto un ematologo. Accetta comunque la sfida e mette in piedi i primi trial clinici oncologici creando un gruppo di ricerca sulle neoplasie del colon-retto, in un’epoca in cui si pensava che gli anticorpi monoclonali non potessero funzionare nei tumori solidi.
Si rimbocca le maniche anche per trovare fondi con cui ristrutturare il reparto, perché le stanze dei pazienti abbiano il bagno, e mette a frutto il suo amore per le piante (ai pazienti che insistono per portargli un regalo chiede ghiande di querce, che ama piantare e veder crescere) per creare un’accogliente terrazza dove prima c’era uno spoglio tetto: durante la bella stagione i pazienti possono incontrare familiari e amici all’ombra di piante ornamentali provenienti da tutto il mondo, scelte per sottolineare la ricchezza della diversità.

Dall'ematologia ai tumori solidi

Nel 2004 pubblica, sul New England Journal of Medicine, un articolo sull’uso dell’anticorpo monoclonale cetuximab nel tumore del colon-retto metastatico, che ha l’onore di essere accompagnato da un editoriale dal titolo esplicito: “Nuove opzioni terapeutiche per il cancro colorettale”. Il trattamento però funziona solo nel 20 per cento dei pazienti, e Siena vuole capire perché, e cosa si possa fare per renderlo efficace anche negli altri malati.
Decide di interpellare Bert Vogelstein, massimo esperto di genetica dei tumori che lavora alla Johns Hopkins University di Baltimora, e lo scienziato americano lo mette in contatto con un ricercatore piemontese che ha collaborato alcuni anni con lui e sta rientrando in Italia, Alberto Bardelli. È l’inizio di un fruttuoso sodalizio scientifico e umano (Bardelli sì è innamorato anche lui di Ortigia) che continua a produrre risultati di eccellenza, con il prezioso contributo di Livio Trusolino e Silvia Marsoni – tutti all’epoca in forza all’Istituto di ricerca oncologica di Candiolo diretto da Paolo Comoglio e tutti ricercatori AIRC. Il gruppo accumula conoscenze sul ruolo di alcuni geni mutati (prima RAS e BRAF, poi Her2) nel meccanismo che porta alcuni tumori a non rispondere alla terapia, e che induce resistenza al trattamento con anticorpi monoclonali anche nei tumori inizialmente sensibili, e oggi, sempre in collaborazione con Bardelli e Marsoni, ha in corso due progetti finanziati da AIRC: il progetto ARETHUSA (come la fanciulla che secondo la mitologia greca fu tramutata in una fonte sull’isola di Ortigia), che punta a utilizzare una specifica chemioterapia per indurre nel tumore metastatico mutazioni capaci di trasformare i tumori oggi definiti “freddi”, cioè che non rispondono all’immunoterapia, in tumori “caldi”, ovvero sensibili al trattamento; e il progetto NO-CUT, che utilizza nei pazienti con tumore del retto localmente avanzato una combinazione di chemioterapia e radioterapia per ridurre la necessità di resezione chirurgica. Anche se l’Ospedale Niguarda cura ogni anno migliaia di malati – i ricoveri con diagnosi oncologica sono oltre 8.000 l’anno e superano un quinto del totale di tutti i ricoveri dell’ospedale –, a causa della pandemia il trial clinico sta ancora reclutando pazienti.
Siena però, cui nel frattempo è stata assegnata la cattedra di ordinario di oncologia all’Università di Milano, fa proprio il motto dell’Amerigo Vespucci: “Non chi comincia ma quel che persevera”.

  • Fabio Turone (Agenzia ZOE)