Ultimo aggiornamento: 5 aprile 2023
La diagnosi precoce è considerata, insieme a trattamenti tempestivi, uno dei fattori essenziali per migliorare la cura di molti tipi di cancro. Le condizioni sociali ed economiche di un Paese sembrano però essere un ostacolo alla rapidità necessaria a buoni esiti.
“Quando un cancro è identificato agli stadi precoci, il trattamento è più efficace e la sopravvivenza migliora drasticamente” si legge in un articolo apparso sulla rivista Science. “Eppure, circa il 50 per cento dei tumori viene ancora diagnosticato solo in uno stadio avanzato.”
Il primo autore, David Crosby, responsabile della ricerca sulla prevenzione e diagnosi precoce presso Cancer Research UK (CRUK), e i suoi coautori sottolineano inoltre che il 70 per cento circa dei decessi da cancro avviene in Paesi a basso e medio reddito, spesso in seguito a una diagnosi tardiva. “La diagnosi di cancro in stadio avanzato è un problema globale che è esacerbato dove ci sono scarse risorse.”
I risultati di un recente studio, una revisione sistematica con una metanalisi, coordinata da ricercatori dell’Instituto de Investigación Biosanitaria di Granada, in Spagna, hanno mostrato che i tempi necessari per arrivare alla diagnosi di tumore variano a seconda sia dell’organo colpito sia della zona del mondo in cui si trovano i pazienti. Analogamente variano anche i tempi necessari affinché una persona con dei sintomi si rivolga a un medico o cominci la cura dopo la diagnosi. Come emerge in un articolo recente pubblicato sulla rivista PLOS Medicine, le persone che vivono in Paesi a basso reddito impiegano molto più tempo per farsi visitare da un medico e quindi per ottenere una diagnosi di cancro.
Per la revisione spagnola i ricercatori hanno selezionato 410 articoli nella letteratura scientifica, per un totale di 68 Paesi e oltre 5,5 milioni di casi di tumore di pazienti adulti. Gli articoli riportavano dati riguardanti tre intervalli di tempo, “del paziente”, “diagnostico” e “di trattamento”, che corrispondono al tempo intercorso, rispettivamente, dall’insorgenza dei sintomi alla prima consultazione, dalla prima visita alla diagnosi di cancro e dalla diagnosi all’inizio del trattamento. Le durate di tali intervalli di tempo, insieme allo stadio del cancro al momento della diagnosi, sono considerate dall’Organizzazione mondiale della sanità indicatori chiave per stabilire se diagnosi e cura possono essere effettuate precocemente.
I ricercatori hanno preso in considerazione 38 tipi di cancro e hanno fatto notare che la maggior parte degli studi (72 per cento) era stata condotta in Paesi ad alto reddito. L’intervallo cosiddetto del paziente, in questi Paesi, non superava in genere il mese per molti tipi di tumore, suggerendo che, dove non mancano i soldi, la metà dei pazienti si fa visitare da un medico entro un mese dalla comparsa dei sintomi. Invece nei Paesi a basso reddito questo intervallo variava tra 1 e 4 mesi e nel complesso appariva più lungo per quasi tutti i tipi di tumore.
Inoltre è emerso che gli intervalli diagnostici più lunghi si registrano per i tumori ematologici (soprattutto per il mieloma, con 83 giorni di media), quelli genitourinari (per il cancro alla prostata servono circa 85 giorni) e quelli gastrointestinali (per il cancro del colon-retto si attendono 63 giorni). Alcuni di questi tumori sono considerati più difficili da riconoscere perché causano sintomi non specifici. Gli intervalli più lunghi per cominciare la cura riguardavano invece i tumori genitourinari e ginecologici.
Diversi sono i limiti ammessi dagli autori, come il fatto che in molti studi ci si era basati su interviste o questionari ai pazienti sopravvissuti. Ciò nonostante i risultati hanno mostrato i tipi di tumore che richiedono tempi più lunghi per diagnosi e inizio dei trattamenti ed evidenzia l’entità delle disparità tra i Paesi considerati. “Il cancro è una delle principali cause di morte in tutto il mondo e la riduzione dei ritardi diagnostici e terapeutici potrebbe aiutare a migliorare la sopravvivenza e altri esiti dei pazienti” scrivono gli autori, per i quali i risultati ottenuti possono essere utili sia a stabilire le priorità della ricerca, sia a identificare le aree in cui c’è maggiore necessità di interventi per rafforzare diagnosi precoci e trattamenti tempestivi.
Per Crosby e collaboratori, la ricerca sulla diagnosi precoce deve affrontare cinque sfide. La prima riguarda una maggiore comprensione della biologia del cancro e della prognosi della malattia diagnosticata allo stadio precoce. La seconda concerne l’identificazione delle popolazioni ad alto rischio (per età, storia familiare, abitudini e comportamenti, fattori genetici) e lo sviluppo di strategie mirate, anche per evitare di incorrere nella cosiddetta sovradiagnosi, ovvero nell’identificazione e nel trattamento di tumori che nella maggior parte dei casi non evolvono in una malattia sintomatica. Evitando le sovradiagnosi ai pazienti si risparmierebbero, oltre a trattamenti inutili, anche i conseguenti effetti collaterali.
Il terzo punto riguarda la scoperta e la validazione di biomarcatori, il quarto lo sviluppo di tecnologie più accurate, mentre il quinto è relativo alle modalità per valutare in maniera appropriata i metodi di diagnosi precoce. “Dobbiamo dimostrare in modo solido che ogni nuovo approccio di diagnosi precoce funzioni e possa effettivamente salvare vite umane” scrivono gli autori. Tradurre le scoperte biologiche in nuove tecnologie diagnostiche e cure è un processo molto costoso e che richiede tempo. La chiave per vincere la sfida, secondo gli autori, è la collaborazione scientifica tra esperti di diverse discipline, per battere il cancro sfruttando tutti i suoi punti deboli.
Agenzia Zoe