Ultimo aggiornamento: 28 settembre 2020
Laureato in medicina (così come la moglie, a sua volta ricercatrice), Luca Malorni preferiva il bancone del laboratorio alla pratica clinica. Ora a Prato, in un centro avanzato di ricerca traslazionale, ha riscoperto il piacere e l’importanza di fare ambedue le cose.
Durante gli studi alla Facoltà di medicina, presso l’Università Federico II di Napoli, Luca Malorni era convinto che non avrebbe fatto il medico, ma il ricercatore. Già dal quarto anno si era innamorato della biologia molecolare dei tumori, della ricerca preclinica e delle lunghe ore al bancone del laboratorio. È stato poco più avanti, durante la specializzazione in oncologia, che Malorni ha realizzato che una cosa non escludeva l’altra, anzi. “Alla scuola di specialità ho cominciato a visitare molti pazienti, e ho capito che mi piaceva molto anche occuparmi dei malati” racconta, seduto nel suo studio nell’Unità di oncologia dell’Ospedale di Prato, diretta da Angelo Di Leo.
A Prato risiede e lavora da molti anni una grande e operosa comunità cinese. Quando sono arrivate in Italia le notizie sui primi casi di COVID-19, all’inizio dell’anno, questa presenza aveva messo in agitazione alcuni commentatori: “In realtà la comunità cinese ha avuto un effetto protettivo perché, grazie alle informazioni ricevute da amici e familiari in Cina, moltissimi suoi membri hanno per primi percepito la minaccia e adottato spontaneamente le misure di protezione che hanno di fatto contribuito a risparmiare la città e la provincia” racconta Malorni. “Alcuni compagni di scuola delle mie figlie avevano avuto dei lutti, in Cina.”
E mentre lui, con l’aumentare dei casi registrati in Veneto e in Lombardia, riorganizzava le visite di controllo dei malati oncologici e dava una mano nei reparti di medicina interna, il cui personale era alle prese con i malati di COVID provenienti dalle zone più colpite, la moglie Ilenia Migliaccio, anche lei ricercatrice finanziata da AIRC, si occupava della quarta figlia, Antonia, nata da pochi mesi. “Lei era già a casa in maternità quando c’è stato il lockdown e si è fatta carico più di me della gestione familiare, anche perché io in certi momenti ho dormito sul divano e mangiato separatamente, andando in giro per casa con la mascherina, per non esporre Ilenia e le bambine a rischi.”
Momenti di emergenza a parte, l’equilibrio della coppia si basa sulla condivisione di onori e oneri sin dal giorno in cui si sono conosciuti agli esami di ammissione alla Facoltà di medicina, nel 1996. Lui originario di Piedimonte Matese, nel casertano, lei di Ischia, hanno completato gli studi insieme, per poi specializzarsi in discipline diverse, condividendo la stessa passione per la ricerca. Lei stava ancora completando la specializzazione in anatomia patologica quando lui ha iniziato il dottorato di ricerca in oncologia ed endocrinologia molecolare e clinica, e ha ottenuto una borsa di studio che ha permesso a entrambi di andare a imparare i più sofisticati strumenti del mestiere al Baylor College di Houston, in Texas, presso uno dei gruppi all’avanguardia nella ricerca sul tumore al seno.
Prima di partire, il grande passo: il matrimonio viene celebrato a Ischia in ottobre e, per motivi di visto, i due giovani ricercatori devono raggiungere gli USA entro la fine dell’anno, per cui si ritrovano a Houston alla vigilia di Natale in un appartamento spoglio, con il materasso sul pavimento: “La prima borsa non era molto ricca, ed essendo in due abbiamo fatto una certa gavetta” ricorda Malorni sorridendo. “Ma non era un problema, perché volevamo imparare cose nuove in un contesto di eccellenza e metterci alla prova. Anche se a un certo punto mi era sembrato che alcune delle strade che stavo percorrendo non mi stessero portando da nessuna parte, fossero inutili e un po’ fini a se stesse, alla fine hanno contribuito anche loro a rendere possibili i passi successivi.”
La comunità dei ricercatori italiani – molto attivi a Houston sia nella ricerca biomedica sia nelle società high-tech – si dà da fare per accoglierli, condividendo con loro anche lo “spacciatore” di mozzarelle, che ogni tanto comprano anche se purtroppo non hanno molto in comune con quelle di casa.
Cibi a parte, l’esperienza americana decolla subito, con l’arrivo dopo un anno di una borsa della American Italian Cancer Foundation e poi di una ancora più sostanziosa della Fondazione Susan Komen, triennale.
Luca e Ilenia lavorano nello stesso centro oncologico, entrambi nella cosiddetta ricerca traslazionale – che punta a trasferire rapidamente alla terapia i risultati ottenuti in laboratorio –, ma con colleghi diversi e su progetti diversi. Gli uffici sono a poca distanza, sullo stesso piano, ma a parte gli appuntamenti fissi di tutto lo staff – con il “lab meeting” al lunedì per gli aggiornamenti sui progetti in corso e il “journal club” al martedì per leggere e commentare insieme le novità dalla letteratura scientifica – hanno poche occasioni per pranzare insieme.
L’arrivo nel dicembre del 2008 della primogenita Teresa porta gioia e una nuova sfida, ma la crescita professionale parallela prosegue.
D’altronde la scelta di Ilenia di dedicarsi solo alla ricerca le permette di avere orari più regolari, e la decisione di entrambi di non avviare la lunga e impegnativa trafila necessaria per ottenere l’abilitazione a praticare la medicina negli USA evita di aggiungere impegni a una vita già molto piena. La volontà è di tornare in Italia, possibilmente a Napoli, anche se muovendosi in due il tutto diventa un complesso puzzle in cui numerose tessere devono andare al proprio posto.
L’occasione si presenta nel 2010, quando una nuova protagonista ha già annunciato il proprio arrivo. È la secondogenita, Maria, che nascerà a Ischia perché per Malorni si apre l’opportunità di tornare all’Università Federico II come specialista ambulatoriale, in attesa che venga bandito un concorso adatto. Il congedo di maternità offre un buon momento per il rientro in Italia in primavera, al settimo mese di gravidanza di Ilenia.
Malorni nel frattempo ha quasi dimenticato di aver spedito, seguendo il consiglio di un’amica ricercatrice italiana trapiantata negli Stati Uniti, una domanda per un concorso presso il centro oncologico di Prato, che Di Leo aveva creato qualche anno prima dopo essere rientrato dal Belgio. Quando riceve la convocazione per il concorso e infine la proposta di assunzione, decide di accettare il posto, anche se questo vuol dire rinunciare al sogno di una carriera accademica a Napoli.
“Amiamo le sfide e ci piaceva l’idea di reinventarci, investendo tutto quello che avevamo imparato e rivoluzionando la vita familiare, per andare a lavorare in un centro di altissimo livello” ricorda. “Le promesse sono state mantenute pienamente, abbiamo trovato un gruppo che parlava lo stesso linguaggio che avevamo acquisito negli USA, con una ricerca di qualità altissima, anche in ambito traslazionale.”
Il primo finanziamento AIRC lo conquista Ilenia, un My First AIRC Grant che permette al laboratorio di crescere e apre la strada alle ricerche successive, dedicate a migliorare l’efficacia di una nuova classe di farmaci usati contro il tumore mammario per prevenire la comparsa di resistenze. Poi è il turno di Luca, e il suo grant consente di ottenere una prima validazione preliminare della possibilità di selezionare la migliore terapia per le pazienti in base alla presenza di alcuni marcatori.
Grazie ai buoni risultati, ha potuto proporre un ulteriore ampliamento della ricerca, avviato nel 2020 grazie a un Investigator Grant. Il progetto prevede di reclutare 150 donne con tumore al seno metastatico, che saranno seguite in 8 centri al fine di studiare l’andamento della resistenza ai farmaci (vedi box).
Dopo il trasferimento a Prato, sono arrivate anche Giorgia e Antonia a completare la famiglia, e la pandemia ha contribuito ad alterare l’equilibrio tra famiglia e lavoro: “Non abbiamo supporti familiari, perché entrambe le nostre famiglie sono al Sud, e la parte maggiore del lavoro familiare grava su Ilenia, che non ha turni di lavoro notturni e festivi, anche se io la aiuto accompagnando le bambine a scuola e alle attività sportive” spiega Luca. “Per entrambi le giornate cominciano presto e finiscono tardi.”
Il progetto quinquennale che Luca Malorni ha avviato a inizio 2020 grazie a un Investigator Grant di AIRC punta ad approfondire le conoscenze su alcuni marcatori molecolari utili a capire in anticipo quali pazienti con tumore al seno metastatico in fase attiva trarranno beneficio dalla terapia ormonale in associazione a farmaci a bersaglio molecolare, tra cui gli inibitori di CDK4/6, e quali mostreranno invece resistenza alle cure, o perché il farmaco risulta subito inefficace (la cosiddetta resistenza “de novo”) o perché, dopo un beneficio iniziale, perde efficacia per una resistenza acquisita.
“Oggi per queste pazienti sono disponibili vari farmaci a bersaglio molecolare, e altri sono in fase avanzata di sviluppo, per cui è fondamentale mettere a punto test che guidino la scelta del farmaco più adatto a ciascuna paziente” spiega Malorni. “Iniziare la terapia con il farmaco giusto sarà sempre più importante.”
Fabio Turone (Agenzia ZOE)