Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Il bioeticista è un professionista della mediazione culturale: il suo compito è quello di rendere accettabili e sicure, a livello sociale, le innovazioni introdotte dalla scienza, tenendo conto delle diverse sensibilità in gioco.
Cellule staminali, tecniche di sperimentazione, applicazione delle scoperte scientifiche sull'uomo: non c'è ambito della scienza moderna che non susciti dibattiti, che non si apra a possibili interpretazioni controverse e che non abbia bisogno di una comprensione e di una mediazione tra culture e sensibilità differenti, come per esempio quella laica e quella cattolica.
A svolgere questo prezioso lavoro di compromesso tra le aspirazioni della scienza e un doveroso controllo sociale sui suoi risultati è il bioeticista, figura professionale dai contorni ancora sfumati, malgrado sia sempre più necessaria anche nella vita quotidiana delle istituzioni scientifiche e degli ospedali. Le norme in materia di tutela delle persone coinvolte nella ricerca scientifica e di applicazione delle innovazioni impongono, infatti, che qualsiasi novità passi al vaglio di appositi comitati. Le stesse proposte devono essere redatte rispettando complesse normative che richiedono sempre più spesso la presenza di esperti nella materia.
"Tradizionalmente, in Italia, i bioeticisti sono filosofi, cioè persone con una formazione prettamente umanistica e quasi nessuna conoscenza della scienza applicata, cioè di ciò che si fa davvero nei laboratori" spiega Giovanni Boniolo, bioeticista dell'Università di Milano e fondatore del primo corso di dottorato interdisciplinare in scienze della vita e bioetica (FOLSATEC), ospitato dall'Istituto FIRC di oncologia molecolare.
Definire il ruolo del bioeticista in Italia è davvero difficile poiché manca una figura professionale riconosciuta, contrariamente a quanto accade in diversi altri Paesi europei. Un tentativo di normare la questione è stato fatto nel 2003, con un progetto di legge presentato al Senato (primo firmatario il sen. Giovanni Collino, PDL). La bozza, mai diventata legge, definiva all'articolo 1 gli ambiti di intervento di questo nuovo professionista, che doveva possedere una laurea magistrale o specialistica e un master o un dottorato specifico: "Il bioeticista svolge la sua attività di ricerca e di consulenza bioetica nei seguenti settori: alimentare, ambientale, animale, biopedagogico, demografico, giuridico, medico e sociosanitario, penitenziario".
Come si può notare, si tratta di un elenco ampio e variegato e gli stessi estensori del progetto di legge, nelle premesse, invocavano la necessità di figure preparate a facilitare (e controllare) l'applicazione corretta delle scoperte scientifiche non solo nei laboratori, ma anche all'interno delle industrie. Aziende e fabbriche, specie nel settore farmaceutico e biotech, hanno infatti un bisogno sempre più impellente di attivare progetti nell'ambito della cosiddettacorporate social responsibility, un'espressione anglosassone che indica tutte le attività non necessariamente legate al profitto che le grandi aziende portano avanti anche per migliorare la propria immagine pubblica: si va dal finanziamento a enti di ricerca agli interventi umanitari in Paesi in via di sviluppo, fino a campagne di sensibilizzazione e informazione su temi scientifici e non solo. In questo settore poco conosciuto possono trovare lavoro alcune persone formate ad hoc.
Una preparazione bioetica è richiesta, per esempio, anche in ambito economico, dal momento che esistono, all'interno delle banche e delle finanziarie, alcuni pacchetti di investimento etico, che promettono a chi li sottoscrive di usare il denaro solo per attività di valore sociale comprovato (evitando, per esempio, le industrie che sfruttano il lavoro minorile oppure fabbricano armi).
Per restare nell'ambito più strettamente scientifico e sanitario, i bioeticisti sono necessari per gestire i comitati di bioetica che tutte le istituzioni mediche sono obbligate a mettere in piedi, per vagliare le sperimentazioni proposte dai propri ricercatori. Una consulenza bioetica può essere necessaria anche nella fase di messa a punto di un protocollo di sperimentazione, per essere sicuri che risponda a tutti i requisiti richiesti sia dalle leggi piuttosto complesse che governano il modo con cui si fa ricerca sia da quelle che ogni singola istituzione, che possono essere anche molte diverse tra loro.
In ambito oncologico, l'apporto della bioetica è particolarmente importante poiché molti trattamenti sperimentali costituiscono l'ultima speranza per pazienti che non rispondono alle cure più comuni e non sono pochi gli interrogativi sollevati dalla selezione dei soggetti da includere o da escludere da un'eventuale sperimentazione.
Sta all'esperto studiare, insieme al medico e allo scienziato, qual è il compromesso più accettabile tra esigenze di tutela della salute dei pazienti, possibilità offerte da una terapia innovativa e limiti sperimentali imposti dal protocollo di ricerca.
"Il bioeticista è per definizione interdisciplinare: deve conoscere molto bene la parte scientifica relativa a ciò di cui si occupa, ma anche il pensiero filosofico sul tema e, non ultimo, tutti gli aspetti legali" spiega Boniolo. Non a caso il dottorato FOLSATEC è aperto sia a laureati in materie scientifiche sia a laureati in materie umanistiche, con l'idea che le eventuali lacune in un ambito o nell'altro saranno colmate durante il corso di studi.
"In Italia c'è la tendenza a fare una bioetica tutta teorica, a studiare solo gli aspetti più speculativi della materia, tralasciando di calare sul piano reale, cioè su quello delle decisioni pratiche, il risultato della riflessione" continua Boniolo. "È facile dire no all'uso di staminali, per esempio, ma una cosa è decidere in astratto, un'altra farlo quando ci si trova davanti al bancone di un laboratorio, con la consapevolezza che il loro uso potrebbe aiutare, in un caso specifico, a salvare vite umane".
In altri Paesi, come la Francia o la Germania, il bioeticista è presente in ogni ospedale e aiuta i medici a dirimere le questioni spinose che ogni giorno si presentano alla loro attenzione: interventi che non vanno come si vorrebbe, pazienti che rifiutano le cure o, viceversa, pretendono cure inefficaci, familiari che non sanno cosa fare in caso di situazioni ormai deteriorate per le quali la medicina può fare poco. In quei paesi i medici (e anche i pazienti) possono avvalersi dell'opinione di una persona che ha studiato a fondo gli aspetti tecnici, legali, ma anche psicologici e sociali del problema che li affligge. In Italia, invece, come dimostra un'indagine pubblicata sulla rivistaNaturenel 2008, medici e familiari sono soli con la propria coscienza e spesso influenzati, nella decisione finale, dalla visione personale della questione.
"Penso che in futuro anche l'Italia dovrà, come gli altri Paesi, dotarsi di esperti preparati" dice Silvia Camporesi, giovane ricercatrice in bioetica, grazie a una borsa del Wellcome Trust, presso il Centre for the Humanities and Health del King's College di Londra e attualmente inviata, in qualità di ricercatore ospite, presso il Dipartimento di antropologia, storia e medicina sociale dell'Università della California, a San Francisco. Camporesi, dopo una laurea in biotecnologie conseguita a Bologna, ha frequentato, dal 2007 al 2010, il dottorato di ricerca del FOLSATEC. Ora si occupa di bioetica applicata allo sport (e per questo si è trasferita inizialmente a Londra, dove da poco hanno avuto luogo le Olimpiadi), dopo aver contribuito a creare una piattaforma europea per la comunicazione tra oncologi e società civile nell'ambito del progetto Eurocancercoms e aver studiato a lungo le regole che governano gli studi di fase zero, cioè quelli preclinici, in ambito oncologico.
Il percorso professionale di Camporesi è un buon esempio della versatilità richiesta a chi decide di intraprendere questa professione affascinante ma certamente innovativa e, come tale, ancora tutta da inventare. Per ora le uniche posizioni più o meno stabili si trovano in ambito accademico o nei grandi centri di ricerca privati, comprese le industrie. Poiché in Italia la ricerca di base sull'uomo, tranne che in pochi casi, è pressoché inesistente, è necessario mettere in conto la possibilità di emigrare per trovare un posto adeguato alla propria preparazione.
Tradizionalmente la bioetica è materia per filosofi, specie in Italia, ma da alcuni anni le cose stanno cambiando. Un numero sempre maggiore di laureati in materie scientifiche decide di completare la propria formazione in questo ambito disciplinare.
Si tratta, in ogni caso, di percorsi post laurea, poiché non esistono corsi di laurea specifici.
Molte università attivano invece corsi di perfezionamento e master in bioetica, alcuni dei quali già tematici (bioetica applicata ai protocolli di ricerca e ai comitati etici, bioetica e legge, bioetica della finanza e dell'economia eccetera). Tali corsi aprono e chiudono con grande frequenza, per cui è bene informarsi direttamente presso la propria università di riferimento.
In molte università sono disponibili anche dottorati di ricerca promossi, di volta in volta, dalle Facoltà di medicina, filosofia o giurisprudenza. Ovviamente la facoltà che lo promuove influenza anche l'approccio alla materia: più tecnico nel caso delle facoltà scientifiche, più speculativo nelle facoltà umanistiche.
Un discorso a parte merita il dottorato di ricerca in bioetica della Scuola europea di medicina molecolare (SEMM) in collaborazione con l'Università degli studi di Milano, ospitata dall'Istituto FIRC di oncologia molecolare. Si tratta infatti di un corso di dottorato di quattro anni, in lingua inglese, in cui la metà del tempo è dedicata alla ricerca pratica in laboratorio e solo l'altra metà alle lezioni teorico-filosofiche. Lo scopo è quello di formare bioeticisti in grado di discutere la materia dall'interno, specie per quel che riguarda la costruzione di protocolli di ricerca in ambito oncologico e biotecnologico.
È il portale americano della bioetica, gestito dall'American Society for Bioethics. Nella pagina dei blog sono presenti alcuni interessanti articoli su problematiche bioetiche che riguardano il cancro e la prevenzione.
www.bioethics.net
È un' associazione indipendente nata per promuovere la discussione bioetica in un contesto laico. Il sito è molto ricco di informazioni interessanti sull'argomento.
www.consultadibioetica.org
Istituito con una legge apposita nel 1990, è un organismo consultivo del Governo. Ciò significa che vi sono rappresentate tutte le anime della bioetica, da quella più laica a quella cattolica, con il mandato di preparare i documenti in base ai quali legifera il nostro Parlamento. Sul sito sono disponibili i pronunciamenti in materia di questioni quali la ricerca sulle staminali embrionali, le decisioni di fine vita, il diritto all'autodeterminazione del malato eccetera.
www.governo.it/bioetica
Daniela Ovadia