Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024
Sono passati 70 anni dalla scoperta della struttura del DNA, e 20 dalla pubblicazione della prima mappa del genoma umano. Risultati che hanno avuto un impatto rivoluzionario anche sulla ricerca oncologica, e continueranno ad averlo in futuro
Fin dalla sua prima stesura, avvenuta nel 2003, la mappa del genoma umano è apparsa come una “promessa”: sappiamo che contiene le risposte a tantissime domande che riguardano lo sviluppo di malattie, tumori compresi, e che trovare queste risposte potrà rafforzare la medicina di precisione e quindi rendere i trattamenti sempre più personalizzati. La prima versione era basata sull’analisi del DNA di un’unica persona, mentre l’ultima, pubblicata nel maggio 2023 su Nature dall’International Human Pangenome Reference Consortium, include le sequenze di 47 persone – che diventeranno 350 entro la fine del 2024. Si tratta di un passo avanti considerevole, perché si avvicina molto di più alla diversità e complessità della specie umana. Un progresso rappresentato anche nella parola che viene oggi utilizzata: “pangenoma”, composta dal greco “pan”, che significa “tutto, interamente”, e “genoma”, a indicare appunto un insieme di più DNA. Il pangenoma pubblicato quest’anno è dunque, al momento, lo standard più attuale di riferimento per il mondo della ricerca.
Nel 2003 su Fondamentale scrivevamo che è alle conoscenze genetiche che si devono in gran parte i risultati ottenuti nella terapia dei tumori, e che oggi hanno permesso di trasformare in numerosi casi il cancro da malattia potenzialmente pericolosa per la vita a male con il quale si può convivere. In tal senso, avere un pangenoma dell’individuo standard di riferimento è importante, ma da solo non è sufficiente a “capire” il cancro. Per decenni i ricercatori hanno raccolto dati su anomalie genetiche dei tumori, permettendo anche lo sviluppo di farmaci specifici capaci di bloccare le mutazioni nocive. Mancava però la possibilità di delineare un quadro completo delle anomalie, perché è vero che si riescono a “vedere” delle diversità, ma non si sapeva – e non si sa ancora – come interpretarle.
La prima svolta significativa è arrivata nel 2020 con la pubblicazione su Nature dello studio Pan-Cancer Analysis of Whole Genomes (Pcawg), una novità assoluta perché metteva insieme tutte le informazioni, anche cliniche, disponibili fino a quel momento relative a 2.600 casi di tumore – e quindi a 2.600 genomi – di 38 diversi tipi di cancro. Un lavoro durato dieci anni con il coinvolgimento di 1.300 scienziati di 37 Paesi.
L’Università di Verona, con il centro di ricerca ARC-Net, dal 2010 rappresenta l’Italia nel Consorzio internazionale genoma del cancro, ed era – e lo è tutt’ora – il capofila per i dati sul tumore del pancreas. Ma qual è stata la portata di questo immenso lavoro? “È come se avessimo disegnato delle mappe che ci permettono di ‘vedere’ dove nasce un determinato tumore e in che modo si sviluppa, diventando, diciamo così, via via più cattivo fino a dare metastasi” spiega Aldo Scarpa, professore di anatomia patologica all’Università di Verona e direttore di ARC-Net. “L’analisi dei diversi tipi di tumore che si formano nelle diverse parti del corpo, e la ‘raccolta’ di tutte le anomalie riscontrate, ci ha permesso innanzitutto di capire che il tumore di un organo ha alcune anomalie che sono peculiari di quell’organo, ma anche che esistono anomalie comuni a diversi tipi di tumore.”
Questo è stato uno dei capisaldi a cui ha portato la mappa del genoma del cancro: accertare che i tumori possono essere classificati, così come è sempre stato fatto, in base alla sede in cui si sviluppano (mammella, polmone, colon e così via) ma che, essendo diversi dal punto di vista molecolare, possono essere raggruppati anche sulla base delle anomalie molecolari che contengono. Una rivoluzione nell’approccio oncologico: “Nel giro di poco tempo, questa evidenza ha portato a un grande cambiamento. Se prendiamo come esempio il tumore del polmone, fino a 10-12 anni fa non avevamo praticamente alcun farmaco specifico per curarlo. Grazie a questo studio è invece emerso che le forme osservate nei non fumatori sono riconducibili ad almeno sei anomalie genetiche diverse, che possono essere riconosciute con test diagnostici ad hoc e combattute con farmaci specifici”. Le conoscenze ottenute dal genoma del cancro sono già state applicate anche alle terapie per il carcinoma del pancreas, in particolare a quel 10 per cento di pazienti che non hanno la mutazione del gene KRAS tipica di questo tumore. “Ci siamo concentrati nel cercare altre anomalie che possono fungere da bersaglio per i trattamenti e oggi il 7-8 per cento dei casi negativi per KRAS può essere trattato con cure specifiche e avere una buona risposta. Un risultato di rilievo, considerando che per la maggior parte dei pazienti con tumore al pancreas non sono ancora disponibili terapie mirate. Conoscere il genoma del cancro è stato dunque fondamentale per ottenere questi risultati.”
La mappa del genoma del cancro non è stata un punto di arrivo quanto piuttosto un punto di partenza. “Conoscere quali anomalie sono specifiche per un tipo di tumore è importante, ma solo se poi riesco a correlarle con altre informazioni. Per esempio, devo riuscire a capire se rendono la malattia più o meno aggressiva, se esistono farmaci, magari già utilizzati per altre forme neoplastiche, in grado di colpirle, o comunque devo essere in grado di costruire uno storico di quali terapie ho utilizzato e quali risposte ho ottenuto” spiega Scarpa. “Ora stiamo lavorando al progetto ARGO, Accelerating research in genomic oncology, che è il passo successivo al Pcawg. L’obiettivo è appunto tramutare queste informazioni in trial clinici per capire quali fattori aiutino a individuare chi trattare in un modo piuttosto che in un altro, con determinati farmaci invece che con altri, con l’obiettivo di ottimizzare e personalizzare le cure.”
Ma quanto conosciamo davvero del genoma umano? Ben poco. “Il genoma è costituito da tre miliardi di paia di basi: oggi, rispetto al primo sequenziamento del 2003, grazie anche al progresso tecnologico della Next Generation Sequencing (NGS), riusciamo a sequenziarlo tutto; il problema è che capiamo soltanto il 2 per cento di quello che leggiamo. Il genoma di una cellula tumorale è diverso da quello di una cellula sana per via di un’alterazione di uno o più geni. Ma l’intero genoma si può ulteriormente alterare, perché i meccanismi che ne dominano l’ordinata organizzazione e riproduzione non funzionano più. Sono sì funzionali alla vita, ma alla vita della cellula neoplastica, che li ha manomessi per continuare a riprodursi.”
Oggi si è capito che molti di questi meccanismi sono celati in quello che per anni è stato definito DNA “spazzatura”, perché sembrava del tutto inutile visto che non era codificante, ovvero non conteneva le istruzioni necessarie alla produzione di proteine. Il progetto Pcawg ha esplorato in modo molto più dettagliato proprio questa parte del genoma. “Non siamo ancora in grado di interpretare tutto il DNA non codificante, siamo solo agli inizi. Per esempio, sappiamo che produce i microRNA, molecole che regolano l’attività di altri geni, e che alcuni di questi microRNA sono oncogenici. In sintesi, abbiamo capito che il DNA ‘spazzatura’ ha un ruolo nella regolazione dell’informazione, anche se nella maggior parte dei casi non riusciamo ancora a collegarlo a funzioni specifiche” conclude Scarpa.
Più il DNA viene svelato, più il quadro genetico delle cellule tumorali diviene chiaro e dunque possiamo affermare che il cancro è una malattia del genoma della cellula neoplastica. Tutti i tumori sono il risultato di come siamo fatti dal punto di vista dell’assetto genetico e dell’ambiente in cui viviamo. Uno stile di vita sano tutela la nostra salute, tiene lontano il cancro e, in questo senso, “protegge” anche il nostro genoma.
Michela Vuga