Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Secondo un recente studio giapponese, una buona massa muscolare aiuta i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule a rispondere meglio ai trattamenti di immunoterapia.
Costruirsi buoni muscoli potrebbe non avere solo motivazioni estetiche, ma essere anche una strategia efficace per migliorare la risposta ai trattamenti immunoterapici contro il tumore. Lo affermano dalle pagine della rivista Scientific Reports i ricercatori giapponesi coordinati da Atsushi Kumanogoh dell’Università di Osaka, che hanno valutato questo particolare aspetto della terapia oncologica in pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule.
“Sappiamo che la cosiddetta sarcopenia, ovvero la perdita di massa muscolare, può influenzare in modo negativo le risposte immunitarie” spiegano gli autori, che nella loro analisi hanno cercato di capire se questa condizione potesse avere un ruolo anche nella risposta all’immunoterapia nei pazienti oncologici. “Ci siamo concentrati in particolare sulla terapia con inibitori di PD-1 coinvolgendo nella nostra ricerca 42 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato” aggiungono i ricercatori, ricordando che lo scopo di questa terapia è spingere il sistema immunitario del paziente ad attaccare e distruggere il tumore.
A conti fatti l’analisi ha messo in luce che, a un anno dal trattamento, la percentuale di pazienti senza sarcopenia che ancora risultava anche senza malattia era del 38 per cento, contro il 10 per cento dei pazienti in cui era stata riscontrata perdita di massa muscolare all’inizio del trattamento. Più lunghi anche i tempi prima della ripresa della malattia: 6,8 mesi senza sarcopenia e 2,1 con sarcopenia.
“Il dato emerso da questo studio potrebbe aiutare a individuare in anticipo quei pazienti con maggiore probabilità di rispondere bene al trattamento” scrivono gli esperti, che poi concludono: “Visto che la sarcopenia è una condizione molto comune nei pazienti oncologici, è importante mettere in campo trattamenti per prevenirla o almeno ridurla, in modo da migliorare anche la risposta ad alcune terapie antitumorali.”
Agenzia ZOE