Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Alcuni tumori possono essere familiari, altri francamente ereditari. In alcuni casi, oggi è possibile scoprirlo con un test genetico che però non fornisce risposte univoche. Ecco perché servono genetisti esperti in counselling oncologico, per aiutare il p
Gli anglofoni lo chiamano genetic counselling, in Italia si chiama consulenza oncogenetica, ma è difficile definire con un solo termine il complesso percorso che a dalla valutazione del rischio oncologico alla eventuale gestione di tale rischio. Figura centrale in questo percorso, una sorta di Virgilio che guida il paziente, è il genetista. "Il rischio di familiarità o anche di ereditarietà vera e propria nel cancro esiste, ma solo in una minoranza di casi" afferma Siranoush Manoukian, medico genetista responsabile della Struttura semplice Dipartimentale di genetica medica dell'Istituto nazionale tumori di Milano, che quotidianamente svolge consulenze genetiche oncologiche. "I tumori ereditari rappresentano solo il 5-10% di tutti i tumori e prima di parlare di predisposizione genetica è necessaria una valutazione approfondita, che può comprendere anche l'esecuzione di analisi genetiche, e andrebbe riservata solo ai casi in cui esistano elementi che la fanno sospettare".
"In alcune famiglie è possibile ipotizzare che esista una componente ereditaria allo sviluppo di un determinato tumore" spiega Manoukian. "È il caso, solo per fare un esempio, di una famiglia nella quale ci sono più persone con tumore del seno e dell'ovaio, tutte parenti strette e che più frequentemente si sono ammalate in giovane età". Se esiste questo sospetto è possibile, dopo aver consultato il proprio medico di base o lo specialista, pensare di far ricorso alla consulenza oncogenetica per cercare di capire se davvero il rischio di sviluppare quel particolare tumore è più alto perché legato a un'alterazione del DNA.
"Il primo incontro è molto importante per diversi aspetti, anche psicologici" spiega Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di prevenzione e genetica oncologica dell'Istituto europeo di oncologia di Milano. "È lì che si fa la prima vera valutazione del rischio personale andando ad analizzare la storia clinica personale e familiare di chi si ha di fronte". E una volta stabilito che in effetti ci potrebbe essere una componente ereditaria nella malattia, viene offerto il test genetico per la ricerca di eventuali mutazioni, cioè alterazioni del DNA.
"Oggi esistono alcuni test che possono aiutarci a comprendere se un tumore è ereditario ma è davvero fondamentale che questi esami vengano prescritti solo quando c'è un sospetto di ereditarietà e che i risultati vengano letti e commentati da persone esperte capaci di spiegare al paziente i risultati degli esami e le strategie di prevenzione possibili" commenta Manoukian, mettendo in guardia anche dai tanti test oggi eseguiti indiscriminatamente e al di fuori di un percorso di consulenza oncogenetica, anche perché non sempre gli esami sono in grado di fornire rispete chiare e conclusive.
Una consulenza oncogenetica è molto diversa da una classica visita di controllo. Sapere di avere una mutazione che aumenta il rischio di sviluppare un tumore è un'informazione delicata da gestire con cura, ed è per questo motivo che uno dei principali compiti di chi si occupa della consulenza è fornire informazioni chiare ed esaurienti che permettano al paziente di scegliere al meglio. E per poter far questo sono necessarie competenze in genetica oncologica ma anche attenzione alla persona. "Tra i nostri pazienti c'è anche ci decide di non voler sapere di più e quindi di non sottoporsi al test" conferma la genetista, che sottolinea quanto sia importante non imporre mai nulla, ma aiutare e accompagnare ogni singola persona nel percorso di scelta. Ed ecco allora che, anche in caso di un risultato positivo che indica un rischio alto, deve essere il paziente a scegliere. Le opzioni sono diverse, dall'intervento chirurgico per rimuovere a scopo preventivo un organo che potrebbe ammalarsi (seno, ovaio eccetera) alla scelta di seguire un programma di controlli ravvicinati nel tempo. "E diverse possono essere le scelte, legate all'età, alle aspettative e ai progetti di vita, al vissuto familiare e a tante altre ragioni proprie" chiarisce Manoukian. "Ma come emerge dagli studi, se la scelta è consapevole, difficilmente una persona se ne pente". L'importante è che il genetista trasmetta un messaggio chiaro: non si eredita il tumore, ma solo, eventualmente, un maggior rischio di svilupparlo. "Sapere di essere predisposti non significa che sicuramente ci si ammalerà di un tumore del seno o dell'ovaio, bensì che davanti a un rischio più alto di ammalarsi si possono avere degli strumenti per proteggersi" conclude Manoukian.
Oggi in Italia le consulenze genetiche possono essere fornite, in genere all'interno di ospedali o di istituti oncologici, da diverse figure professionali. "È importante che ci si occupa di consulenza sul rischio oncologico abbia a disposizione tutti gli strumenti per poter svolgere al meglio questo delicato compito" spiega Manoukian, sottolineando come siano importanti la formazione clinica e genetica.
Un potenziale percorso di formazione è rappresentato dalla laurea in medicina seguita dalla specializzazione in genetica medica (oggi presente in molti atenei italiani), ma questa specializzazione, di per sé non basta: "Un bravo genetista che per tutta la vita si è occupato di diagnosi prenatale magari non è in grado di gestire il rischio oncologico che non conosce a fondo".
Esistono inoltre figure che possono acquisire una competenza in genetica medica e affiancare il medico genetista, attraverso master specifici sul counselling e corsi di approfondimento dedicati. La Società italiana di genetica umana - che ha istituito anche un gruppo di lavoro in genetica oncologica - mette a disposizione informazioni sull'argomento.
Una struttura funzionale multidisciplinare e interdivisionale: è questa la High Risk Clinic dell'Istituto europeo di oncologia, un gruppo formato da diversi professionisti che lavorano con l'obiettivo primario della prevenzione del cancro sia nelle persone sane sia in quelle che già hanno avuto un tumore. "In questo contesto è presente un consulente genetico che incontra la persona nel corso della prima consulenza" spiega Bonanni. È questo consulente che deve "preparare" il paziente, valutarlo sulla base dell'albero genealogico, informare su ciò che può essere la genetica, sui vantaggi e gli svantaggi del test. "Il nostro gruppo però comprende anche molti altri specialisti che rendono davvero vincente questo approccio multidisciplinare sia nella fase della valutazione del rischio (il risk assessment) che dopo in quella della sorveglianza intensiva e delle misure di prevenzione: oncologi, ginecologi, genetisti, chirurghi, endoscopisti, radiologi, psico-oncologi. E non dimentichiamo anche i colleghi di laboratorio: la stretta collaborazione con loro è essenziale" conclude.
A livello tecnico, il test genetico consiste nel "leggere" il DNA del paziente e grazie all'ausilio di speciali strumenti, cercare - proprio come fa un correttore di bozze quando legge un testo - eventuali errori che possono aumentare il rischio: le mutazioni. "Il test si effettua in genere sui linfociti, un tipo di globuli bianchi" spiega Alessandra Viel, biologa del centro di riferimento oncologico (CRO) di Aviano, che si occupa proprio di eseguire questi test "Il disagio per il paziente è minimo: basta un semplice prelievo di sangue". I tempi necessari per ottenere una risposta variano anche notevolmente da caso a caso. "Per alcuni test bastano un paio di settimane, mentre per certi tumori può essere necessario per esempio analizzare più geni e i tempi si dilatano" aggiunge la biologa.
Cristina Ferrario