Ultimo aggiornamento: 3 luglio 2023
Il lungo viaggio della conoscenza sul tumore al seno è cominciato almeno 3.000 anni fa, con la prima descrizione di questa malattia, ritrovata in un papiro egiziano. Oggi si continuano a muovere passi in avanti per migliorare sempre più la vita delle pazienti.
L’intervento chirurgico è uno degli approcci di cura più frequenti ed efficaci per il cancro al seno. La cosiddetta chirurgia conservativa, con cui si asporta il tumore risparmiando per quanto possibile il tessuto mammario sano, è di solito la tecnica prescelta per i tumori in fase iniziale. Non è però sempre stato così. Sebbene il cancro al seno sia conosciuto fin dall’antichità, ci sono voluti millenni perché si arrivasse a capire come affrontarlo senza sfigurare le donne e in ceri casi metterne in pericolo la vita stessa. Fino ad appena qualche decennio fa, la mammella veniva sempre completamente rimossa, insieme a parte di altri tessuti vicini che si riteneva potessero essere intaccati da cellule tumorali. L’operazione per la rimozione dell’intero seno, nota come mastectomia, è ancora oggi indicata in alcuni casi, come quello delle donne con un tumore mammario ipsilaterale multiplo (Multiple Ipsilateral Breast Cancer, MIBC), e cioè con più tumori nello stesso seno. I risultati di uno studio recente suggeriscono però che la terapia conservativa potrebbe essere un’opzione anche per queste pazienti.
“Negli ultimi anni sono stati compiuti passi in avanti significativi nella gestione del cancro al seno. I progressi includono migliori tecniche di imaging per rilevare più accuratamente ulteriori tumori e per definire l’estensione della malattia, più efficaci terapie sistemiche e radioterapia, e miglioramenti nella chirurgia e nella patologia” si legge in un articolo recente sul Journal of Clinical Oncology. Sempre su questa rivista si sottolinea che nell’insieme questi progressi hanno ridotto il rischio di recidiva locale e migliorato la sopravvivenza globale. Per questi motivi, secondo gli autori, sarebbe ora il momento di rivalutare la sicurezza della chirurgia conservativa per le pazienti con MIBC.
Lo studio ha coinvolto 204 donne di almeno 40 anni con 2 o 3 aree tumorali nello stesso seno, sottoposte a chirurgia conservativa, e cioè lumpectomia (asportazione del tumore e dell’area circostante) seguita da radioterapia. Prima dell’operazione tutte avevano eseguito una mammografia o un’ecografia e quasi tutte una risonanza magnetica. Dopo circa 5 anni, 6 pazienti hanno sviluppato recidiva locale, con un tasso pari al 3,1 per cento, inferiore alla soglia ritenuta accettabile, prefissata all’8 per cento. Tale tasso di recidiva locale è risultato peraltro simile a quello riscontrato tra le pazienti con tumore singolo sottoposte a una chirurgia più invasiva, come ha sottolineato l’autrice Judy Boughey, della Mayo Clinic negli Stati Uniti.
La recidiva era però più frequente tra le partecipanti che non avevano fatto la risonanza magnetica rispetto a quelle che l’avevano eseguita. Un risultato che, per l’oncologa, suggerisce che questo tipo di esame debba essere preso in considerazione per le pazienti con MIBC che pensano di sottoporsi a terapia conservativa, in modo da verificare che la malattia non sia estesa.
Secondo Boughey, “alcune pazienti possono ancora preferire o richiedere una mastectomia, ed è un approccio perfettamente corretto. Ma essere in grado di offrire la scelta a più pazienti con diagnosi di cancro al seno è un grande passo avanti”. In ogni caso, sono molti i fattori che dovranno essere valutati caso per caso per capire se la chirurgia conservativa è opportuna.
Rimuovere chirurgicamente in modo sicuro ed efficace un tumore al seno è una conquista relativamente recente della medicina. Mancavano infatti conoscenze e strumenti adeguati, oltre che procedure di anestesia, sterilità e controllo delle possibili infezioni, necessarie per ogni tipo di operazione. Un articolo del 2018 racconta la storia della chirurgia del seno partendo dalla prima descrizione di questo tipo di tumore che è giunta a noi, risalente a oltre 3.000 anni fa e ritrovata nel papiro egizio Edwin Smith, dal nome dell’archeologo che lo comprò e lo tradusse nel 1862. È considerato il più antico documento medico dedicato alla chirurgia, e il primo in cui si mostra che all’epoca c’era già chi non si basava esclusivamente sull’utilizzo della magia. Uno dei 48 casi descritti nel papiro riguarda un tumore al seno all’epoca ritenuto impossibile da trattare.
Gli autori dell'articolo, Matthew Freeman del Mount Sinai Hospital di New York e colleghi, si soffermano poi su come questo tumore sia stato trattato nei diversi periodi storici, partendo dalle notizie tramandate da Ippocrate, attorno al 460 a.C. nella Grecia classica, e da Galeno, attivo attorno al secondo secolo dell’era cristiana nell’odierna Turchia. Medico e filosofo, Galeno aveva paragonato il cancro al seno a un granchio e ne suggeriva la rimozione chirurgica. La parola carcinoma deriva proprio dal greco karkinos, che significa appunto granchio. Nei secoli successivi, i diversi tentativi di condurre delle mastectomie furono limitati dai danni eccessivi riportati e dalla mortalità associata. Bisognerà aspettare l’Ottocento per arrivare alla prima procedura in anestesia generale, eseguita nel 1804 dal chirurgo giapponese Seishu Hanaoka con l’uso di una speciale “pozione” di sua invenzione, in grado di addormentare la paziente. La composizione della pozione di Hanaoka è andata perduta.
Da allora, per almeno un secolo e mezzo la mastectomia ha continuato a essere eseguita, con una forte accelerazione nel Novecento, quando le tecniche chirurgiche si sono affinate e anestesia e antisettici sono diventati più sicuri ed efficaci. La tecnica è però rimasta piuttosto controversa: per alcuni medici e soprattutto per molti pazienti la procedura era terribilmente invasiva e demolitiva, mentre altri suggerivano un approccio ancora più radicale, che prevedeva l’asportazione oltre che di tutti i linfonodi ascellari anche dei muscoli toracici sotto la mammella. Ideatore e propugnatore di questo approccio di mastectomia radicale, alla fine dell’Ottocento, è stato il chirurgo statunitense William S. Halsted. La tecnica è stata usata ampiamente e a lungo, fino a quando alcune coraggiose pazienti, tra cui la biologa marina Rachel Carson, hanno cominciato a esprimere pubblicamente il proprio dissenso. Più o meno nello stesso periodo alcuni medici ricercatori hanno intravisto altre possibilità nella dimostrazione che trattamenti di chemio- o radioterapia dopo l’intervento potevano ridurre la necessità di operazioni così drastiche e mutilanti.
Le cose sono finalmente cambiate negli anni Ottanta del Novecento con diversi studi, alcuni dei quali hanno seguito le pazienti anche per una ventina d’anni. Tra i più importanti, una ricerca guidata in Italia da Umberto Veronesi e sostenuta anche da AIRC, i cui risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Nello studio, alcune pazienti con un piccolo tumore al seno sono state sottoposte a quadrantectomia, un’operazione che prevede l’asportazione del solo quadrante del seno interessato dal tumore, e alla rimozione dei linfonodi dell’ascella, dissezione ascellare. Dopo l’operazione le pazienti hanno ricevuto la radioterapia. I tassi di sopravvivenza di queste donne, a vent’anni dalla diagnosi, sono risultati simili a quelli di pazienti sottoposte alla mastectomia radicale. “Questi studi hanno preannunciato il cambio di paradigma dalla mutilazione, precedentemente ritenuta necessaria per il controllo della malattia” scrivono Freeman e collaboratori, spiegando come la lumpectomia, insieme ad altre terapie, sia poi diventata lo standard per la gestione del carcinoma mammario ai primi stadi, mentre la mastectomia totale è stata mantenuta per casi particolari o più gravi.
Oggi la cura del cancro al seno prevede approcci multidisciplinari con l’intervento di diverse figure mediche, tra cui i chirurghi plastici. Se è vero che l’obiettivo primario resta la cura del cancro, bisogna riconoscere che le pazienti traggono beneficio anche da migliori esiti estetici, perseguibili sia con procedure più conservative: anche qualora sia necessaria una mastectomia, spesso si può risparmiare il capezzolo e procedere poi con tecniche di ricostruzione del seno.
Agenzia Zoe