Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Vi sono Regioni che attirano pazienti oncologici da altri luoghi d'Italia e altre che mancano di strutture adeguate. Un fenomeno che può anche essere visto positivamente se permette al malato di farsi curare in un centro ad alta specializzazione ma che ha bisogno di correttivi. Nel frattempo cominciano ad arrivare anche pazienti dall'estero.
Dove vanno a curarsi i malati di cancro italiani? La risposta potrebbe sembrare banale: nell'ospedale più vicino a casa. La realtà mostra però un quadro molto più complesso. Lo confermano i dati dell'VIII rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici pubblicato nel 2016 dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) e dal Censis, a sua volta costruito sulle schede di dimissione ospedaliera raccolte dal Ministero della salute.
I numeri del rapporto non stupiscono: fotografano una realtà ben nota a tutti i pazienti e alle loro famiglie e mostrano, di fatto, un'Italia che, per l'oncologia ma anche per tutte le altre specialità mediche, viaggia a due velocità. Alcune Regioni, come la Lombardia, l'Emilia, il Veneto e il Friuli attraggono malati da fuori regione, mentre altre, come Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna hanno un bilancio in negativo: i pazienti si muovono verso altre strutture per farsi curare.
In totale lasciano la propria città circa 800.000 persone ogni anno: alcune si muovono solo per una visita o un consulto, altre per sottoporsi a interventi chirurgici non disponibili vicino a casa e altri ancora per eseguire tutto il ciclo di cure. Ci si sposta per fare la chemioterapia ma anche per fare la radioterapia, che in alcune Regioni sconta una scarsa disponibilità di centri attrezzati. Sempre il Censis, che dal 2005 monitora il fenomeno della migrazione sanitaria all'interno dell'Italia, indica che i principali ospedali di destinazione sono i pediatrici Bambin Gesù di Roma e Gaslini di Genova, e gli istituti oncologici di Milano e Aviano, seguiti dall'Istituto Rizzoli di Bologna. La mobilità tra le Regioni si basa sulle preferenze dei pazienti ma anche su invii da parte del personale medico, con una ricerca di cure migliori o più rapide e la possibilità di migliori risultati.
La migrazione dei pazienti è un fenomeno che si può guardare in due modi, come spiega il Censis stesso nella prefazione al Rapporto: da un lato è segno di una disparità di centri e strutture attrezzate che divide l'Italia in due; dall'altro è il segnale che, almeno per quel che riguarda alcuni tipi di tumore, i pazienti hanno compreso l'importanza di concentrare le cure in alcuni poli di eccellenza in grado di specializzarsi proprio grazie al numero di casi trattati.
Basta infatti guardare le tabelle che registrano l'attrattività e la fuga dalle varie Regioni per notare il caso della Lombardia e del Friuli-Venezia Giulia, due Regioni che attirano pazienti in numero molto più elevato delle altre. Sono però la sede di centri di oncologia clinica noti non solo in Italia ma anche all'estero, come l'Istituto tumori di Milano, l'Istituto europeo di oncologia alle porte del capoluogo lombardo e l'Istituto oncologico di Aviano.
Se la mobilità dei malati non è di per sé un fenomeno esclusivamente negativo, perché permette di concentrare in alcuni centri l'esperienza necessaria a curare una malattia complessa come il cancro, lo diventa quando questi non sono distribuiti in numero adeguato e uniforme su tutto il territorio nazionale, come accade per l'appunto in Italia, dove i problemi sono acuiti da una organizzazione sanitaria che è nazionale per molti aspetti ma regionale per altri.
Ecco quindi che cittadini di Regioni diverse possono avere accesso a terapie diverse in regime di convenzione con il Sistema sanitario nazionale, con disparità non sempre giustificate. Nel campo dell'oncologia le differenze sono limitate dal fatto che la maggior parte delle cure oncologiche rientra nei cosiddetti LEA, i Livelli essenziali di assistenza, che tutte le Regioni sono tenute a rispettare. Nonostante ciò, la diversa disponibilità economica può creare differenze in alcuni settori, specialmente nell'accesso ai farmaci più innovativi e costosi, molto limitata nelle Regioni meno "virtuose" e con i conti della Sanità in rosso.
La mobilità dei malati di cancro non è un fenomeno esclusivamente italiano: dati del ministero della Salute francese dimostrano che anche in Francia si allontana da casa circa il 30 per cento dei malati. Negli Stati Uniti il fenomeno è più contenuto, dato che l'85 per cento dei pazienti resta nella propria contea di residenza. Si tratta però di una media: nell'eventualità di tumori rari o complicati la mobilità interessa oltre il 60 per cento dei casi, perché i pazienti tendono a rivolgersi ai pochi centri nazionali di grande esperienza.
In un mondo sempre più globale, con grande accesso a libere informazioni, non deve stupire che anche le cure mediche diventino internazionali. Gli spostamenti sono più facili e meno cari, e alcuni sistemi sanitari non offrono una copertura per determinate prestazioni.
Uno studio della società Deloitte ha calcolato che ogni anno nel mondo sette milioni di persone si mettono in viaggio per motivi di salute, e il cancro è sempre in cima alle ragioni per cui si decide di curarsi lontano da casa. La mobilità medica è anche un business: per ogni paziente in viaggio si spostano anche diversi accompagnatori, con necessità di alloggi e servizi accessori. E se molti viaggiano per cure mediche non essenziali, come quelle odontoiatriche o di medicina estetica, le cure di alta qualità che richiedono interventi per patologie gravi restano piuttosto frequenti.
L'Italia, pur vantando, in alcune Regioni, centri oncologici di altissimo livello con risultati tra i migliori d'Europa, non è ancora tra le mete più gettonate dai malati stranieri, che tendono a prediligere la Gran Bretagna, la Germania o la Francia, anche grazie alla direttiva europea che permette l'accesso a cure rimborsate in Paesi dell'Unione diversi dal proprio. A viaggiare verso l'Europa sono anche i cittadini statunitensi, che vivono in un Paese dove la sanità è totalmente privata e dove, se non si hanno i mezzi per acquistare un'assicurazione sanitaria, le terapie anti-cancro possono gettare sul lastrico l'intera famiglia: le tariffe degli ospedali europei risultano concorrenziali e le cure dispensate sono di livello pari o talvolta superiore a quelle a cui accederebbero negli USA.
In Italia, la situazione è però molto particolare. Il nostro sistema sanitario è uno dei migliori d'Europa e copre per i cittadini le spese per qualsiasi tipo di intervento "importante" con la possibilità di spostarsi nei centri più all'avanguardia, che di sicuro non mancano. Per questo sono davvero pochi gli italiani che decidono di spostarsi fuori dai confini e, quando lo fanno, è perché sono stati colpiti da forme oncologiche rare per le quali i centri di riferimento internazionali si trovano all'estero. Anche per via dell'esistenza di un Servizio sanitario nazionale, i nostri ospedali non hanno sempre la necessità di farsi attivamente pubblicità per attrarre i pazienti stranieri.
Alcuni, però, si stanno organizzando. Si tratta per lo più di centri privati convenzionati, ma non solo. È il caso dello IEO di Milano, che ha avviato un percorso per rendersi visibile fuori dall'Italia.
"Lo IEO da sempre ha una vocazione internazionale. Siamo abituati a ricevere richieste dall'estero ma a un certo punto abbiamo capito che i pazienti stranieri devono essere aiutati" spiega Barbara Cossetto, responsabile dell'International Patient Office, un centro creato ad hoc per accogliere chi viene da lontano. "Si tratta di pazienti che non parlano italiano, talvolta nemmeno inglese, per cui ci siamo organizzati in modo che nel loro percorso siano sempre presenti informazioni nella lingua d'origine o perlomeno in lingua inglese. Abbiamo un sito in cinque lingue, con una sorta di "clinical passport" per diverse patologie, in cui illustriamo il percorso diagnostico. Abbiamo selezionato personale che parla le lingue non solo nell'attività amministrativa, ma anche tra i medici e gli infermieri".
Nei centri oncologici italiani arrivano soprattutto malati dalla Russia e dagli stati dell'ex Unione Sovietica, dalla zona del Golfo e dagli Emirati, dall'Europa dell'Est e dai Balcani.
Molti pagano le cure di tasca propria oppure tramite le assicurazioni, mentre gli europei sono coperti dal Sistema sanitario del loro Paese d'origine.
Dopo i privati, anche gli ospedali pubblici (tra i quali l'ospedale Niguarda di Milano o l'Istituto Rizzoli di Bologna) si stanno attrezzando per attirare pazienti dall'estero, con siti internet in lingua straniera e uffici di accoglienza. Non è solo una questione economica (legata alla necessità di aumentare il numero dei pazienti che pagano di tasca propria le cure) ma anche di prestigio: a fianco delle collaborazioni scientifiche nell'ambito della ricerca, devono crescere anche le collaborazioni di tipo clinico, rivolte direttamente al malato.
E per i pazienti nostrani, l'arrivo degli stranieri è una garanzia in più del fatto che gli ospedali italiani restano tra i migliori d'Europa.
Susanna Guzzetti