Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
La figura dello statistico è indispensabile a tutti i livelli della ricerca biomedica, dalla progettazione dello studio fino alle analisi finali, passando per l'organizzazione dei dati. In particolare in epidemiologia lo statistico ricopre il ruolo di controllore delle informazioni.
Per capire se uno studio ha fornito dei risultati che mostrano l'effetto di un trattamento o il ruolo di una strategia di prevenzione, ma anche per cercare di orientarsi quando le informazioni sono molte (come nel caso della genomica), o per identificare bersagli terapeutici specifici tra i molti possibili: a questo e a molto altro servono i numeri, nella ricerca biomedica come nella pratica clinica. A patto di saperli leggere. E per capirli c'è una scienza di cui si sente spesso parlare, anche se non sempre e non a tutti è chiaro di che cosa si occupa e a che cosa serve in concreto: la statistica medica.
La biostatistica (altro nome usato spesso) è quella branca della statistica che serve a descrivere in sintesi, da un punto di vista quantitativo, un insieme ampio di dati derivati da studi biologici, clinici ed epidemiologici. In medicina (e tanto più in oncologia) ciò significa descrivere, con la maggior precisione possibile, l'azione di una terapia o di un trattamento o i suoi effetti indesiderati, prevedere la sopravvivenza o comunque la prognosi, delineare l'andamento di una malattia e così via. Ma la statistica serve anche nella progettazione di uno studio sia di base sia clinico: solo disegnando lo studio nel rispetto di una rigorosa metodologia, infatti, i dati ottenuti saranno sfruttabili per ricavarne un risultato attendibile. Un lavoro enorme e fondamentale è quello che i biostatistici fanno per l'epidemiologia, cioè per descrivere l'incidenza dei tumori nella popolazione e identificare i fattori di rischio o protettivi. I grandi studi epidemiologici, negli ultimi anni, hanno fornito un quadro dettagliato dell'andamento dei diversi tumori in tutto il mondo, dell'impatto di alcuni fattori ambientali e delle abitudini di vita nell'insorgenza.
Per orientarsi meglio nel mondo della ricerca clinica, è quindi forse opportuno affrontare separatamente i tanti volti della biostatistica. Fondamentale ha chiesto aiuto a Maria Grazia Valsecchi, direttrice del Centro di biostatistica per l'epidemiologia clinica del Dipartimento di medicina clinica, prevenzione e biotecnologie sanitarie dell'Università di Milano-Bicocca, che da molti anni si occupa, come responsabile statistica, di studi oncologici e, in particolare, di quelli sui tumori rari e sui tumori infantili. "Il ruolo del biostatistico nella progettazione di uno studio clinico è indispensabile" spiega Valsecchi "perché, a seconda dei quesiti che la ricerca si pone, è necessario definire quale tipo di studio sia più efficiente, quali variabili misurare e con quali modalità, quali e quanti soggetti includere e quali metodi di analisi si debbano applicare per rispondere in maniera adeguata alle domande poste".
La partecipazione del biostatistico sin dalle fasi più precoci di uno studio clinico - quelle del disegno dello stesso - è una prassi oggi sempre più diffusa, ma non è sempre stato così. Fino a non molti anni fa la statistica veniva interpellata solo dopo la conclusione della sperimentazione, con effetti spesso assai negativi. Capitava infatti non di rado che una certa quantità di dati - più o meno cospicua - fosse poco utile agli scopi dello studio o addirittura fuorviante. "Oggi" commenta Valsecchi "è maturata una diversa consapevolezza, sia perché non è eticamente accettabile sottoporre i pazienti a terapie, esami e trattamenti non necessari o il cui utilizzo non sia razionale, sia perché tutta la sperimentazione clinica risponde a una logica di efficienza, di utilizzo motivato di tutti i dati che si sceglie di raccogliere sul paziente".
Per diventare maghi dei numeri non c'è solo la statistica. In Italia, gli atenei dove è presente storicamente una Facoltà di statistica sono Bologna, Padova, Roma la Sapienza e Messina, cui si è aggiunta 14 anni fa Milano-Bicocca. La prima università che istituì nel 1964 quella che allora si chiamava Cattedra di biometria è stata l'Università degli Studi di Milano, grazie al pioneristico lavoro di Giulio Maccacaro, uno dei padri della statistica medica e dell'epidemiologia italiana, fondatore di Medicina Democratica. Ancora oggi queste istituzioni sfornano specialisti con un'ottima preparazione. Sempre a Milano, l'Università Bicocca ha istituito il primo corso di laurea magistrale (cioè da seguire dopo il primo triennio) in biostatistica e statistica sperimentale, coordinato da Giorgio Vittadini. In generale, oggi, tutti i corsi di laurea in materie sanitarie, nonché biologiche e biotecnologiche, prevedono almeno un esame in statistica medica: l'idea è quella di fornire a chi lavorerà nel campo il bagaglio culturale necessario per comprendere la validità di uno studio e i concetti fondamentali per poter entrare nel mondo della ricerca e farla attivamente anche interagendo con il biostatistico. Per chi invece, dopo un corso di laurea per esempio in statistica, biostatistica o anche medicina e biologia, pensa che la statistica medica sia la sua strada, vi sono varie possibilità. La stessa Maria Grazia Valsecchi coordina uno dei pochi dottorati esistenti in Italia dedicati alla biostatistica ed epidemiologia (altri sono presenti all'Università degli Studi di Milano e a Pavia). Infine, una figura molto richiesta è quella del medico specializzato in statistica sanitaria, perché è il solo ad avere una doppia competenza, preziosissima nelle ricerche epidemiologiche e cliniche. Anche in questo caso, l'Università di Milano, insieme a Milano-Bicocca e altre università del Nord Italia, offre una Scuola di specializzazione in statistica sanitaria e biometria per medici, analogamente a quanto fatto a Roma dalla Sapienza con altre università consorziate del Centro-Sud.
Oltreché alla progettazione dello studio, il biostatistico apporta un contributo fondamentale anche peravviare la sperimentazione e controllarne il progredire: è ancora lui, infatti, che definisce le modalità e il flusso delle informazioni, ossia il modo in cui i dati devono essere raccolti, validati e archiviati per essere poi analizzati. "Da quando esistono i grandi database digitali, e soprattutto nel caso di studi multicentrici, cioè condotti simultaneamente in più istituti, è fondamentale che tutti i dati vengano raccolti con le stesse modalità , controllati nella loro qualità e completezza e archiviati in modo sicuro, così da essere accessibili solo a coloro che sono formalmente responsabili di valutarli". Inoltre, il controllo dell'andamento dello studio prevede la supervisione dello statistico nella stesura di rapporti periodici che consentano ai ricercatori clinici di verificare se e come lo studio progredisce.
Il ruolo tradizionale del biostatistico è valutare i dati emersi da uno studio e in effetti tale funzione resta insostituibile, perché solo da una corretta elaborazione statistica può venir fuori un risultato utile. Ma l'intervento non è circoscritto alla fase finale. "La valutazione dei dati viene fatta anche durante lo svolgimento della sperimentazione" spiega ancora Valsecchi "in quelle che vengono definite analisi ad interim, cioè intermedie. Se, per esempio, in uno studio che confronta una nuova terapia con quella di uso comune, si verifica che la nuova funziona nettamente meglio, lo studio non prosegue perché ciò precluderebbe a un gruppo di malati la nuova cura più efficace. Allo stesso modo, se emerge che un nuovo trattamento non funziona come atteso o è associato a una tossicità elevata, lo studio è soggetto a una revisione e talvolta interrotto prematuramente. Va sottolineato che le analisi intermedie sono sottoposte spesso a specialisti non coinvolti nel trial, per avere il massimo di obiettività possibile nell'interpretazione dei dati e nell'eventuale chiusura precoce". Lo statistico medico è coinvolto anche nella stesura dell'articolo finale. Affinché la comunità scientifica possa giudicare adeguatamente quanto emerso, è indispensabile che i numeri siano riportati in maniera chiara e ben documentata: un compito che solo il biostatistico può svolgere al meglio.
Fin qui abbiamo descritto il ruolo indispensabile del biostatistico nella ricerca clinica, soprattutto in oncologia. Ma anche la ricerca di base si avvale sempre più spesso delle sue competenze. "Pensiamo, per esempio, a che cosa accade nella ricerca nel campo della genomica" spiega Valsecchi. "Oggi, grazie alle nuove tecnologie, siamo in grado di ottenere una mole sempre più sostanziosa di informazioni sui geni di ogni tipo di tumore e di ogni paziente e sulla loro funzione. Per esplorare molti dati e individuare, tra tutti, quelli più utili per comprendere un fenomeno complesso, è necessaria una solida elaborazione statistica. La ricerca in questo campo ha anche lo scopo di individuare i bersagli per potenziali terapie mirate, efficaci su alcuni sottotipi specifici di tumore. In questo caso, verificare statisticamente le informazioni è imprescindibile, poiché la rarità di ciascun sottotipo rende ancora più indispensabile la raccolta e l'elaborazione corretta di tutti i dati disponibili, anche in centri diversi.
C'è un professore, all'università di Cambridge, in Gran Bretagna, che ama rivelare alle persone gli inganni della statistica, in particolare in ambito medico e della salute. Si chiama David Spiegelhalter, e si è autosoprannominato Doctor Risk. Per chi fosse curioso di scoprire tutte le trappole dei numeri può trovarle può trovarle sul suo sito.
Vai al sito.
Per chi avesse voglia di approfondire la biostatistica senza prendere una laurea, esiste ora un'occasione prestigiosa: i corsi online, totalmente gratuiti, gestiti dalle maggiori università americane (e non solo). Sono due le piattaforme di maggior successo: Coursera(http://www.coursera.org/), nel quale si trovano per esempio i corsi di Standford e UCLA, ed edX(www.edx.org) consorzio che raggruppa, tra le altre, Harvard e MIT. In ambedue sono disponibili corsi di statistica, biostatistica, statistica medica. Il livello di partenza richiesto è molto variabile. I corsi durano da quattro a 12 settimane e richiedono un impegno di quattro-otto ore settimanali per seguire le lezioni (quasi tutte in inglese), fare i compiti e gli esami. Tutti i corsi sono gestiti a distanza direttamente dal docente, col quale si può dialogare, e sono disponibili anche forum di discussione tra studenti, per superare gli eventuali scogli.
Agnese Codignola