ASCO Voices: il lato più umano dell’oncologia

Ultimo aggiornamento: 17 luglio 2023

ASCO Voices: il lato più umano dell’oncologia

Al congresso annuale della Società americana di oncologia clinica (ASCO), c’è stato spazio anche per le storie personali di medici e pazienti

Niente diapositive, niente numeri o dati su efficacia ed effetti collaterali. Solo una persona sul palco, pronta a mettersi a nudo, per così dire, e a raccontare la propria esperienza. È questo il formato di ASCO Voices, una nuova sessione dell’edizione 2023 del congresso annuale della Società americana di oncologia clinica (ASCO), uno dei più grandi appuntamenti mondiali del settore.

Le esperienze personali raccontate nel centro congressi di Chicago hanno fatto riflettere su come l’oncologia moderna non sia fatta solo di farmaci e trattamenti, ma anche di uno sguardo nuovo rivolto ai pazienti e dello sforzo di rivedere i presupposti dell’alleanza tra loro e i medici.

Pazienti e medici sono partner nella cura

C’era una volta il medico che prescriveva la terapia a un paziente, senza che questi avesse alcuna voce in capitolo. La situazione oggi è completamente cambiata, come dimostra il tema scelto per il congresso: “Partnering with patients: the cornerstone of cancer care and research” ovvero, “Creare un’alleanza con i pazienti: il fondamento della cura e della ricerca oncologica”.

“Una cura del cancro migliore e più equa dipende dalla creazione di relazioni più profonde e significative tra noi medici oncologici e le persone di cui ci prendiamo cura” ha dichiarato Eric P. Winer, presidente di ASCO nel biennio 2022-2023.

Uno degli obiettivi principali di questo approccio è senza dubbio fare arrivare le migliori cure disponibili a tutti coloro che ne hanno bisogno, senza differenze di etnia, genere, stato economico e culturale o luogo di residenza.

Lo ha spiegato Rajasree Chowdry, oncologa del LSU Health Sciences Center a New Orleans e prima “voce” della sessione ASCO: “Rompiamo le barriere che impediscono di fornire cure oncologiche davvero eque. Tutti gli incredibili progressi in oncologia non hanno significato se non riusciamo ad aiutare chi ne ha più bisogno”. Ha così raccontato la storia di un suo paziente che abitava lontano dai grandi centri oncologici ed era impossibilitato per diverse ragioni a partecipare a una sperimentazione clinica che avrebbe potuto fare la differenza per la cura del suo tumore.

Sul modo per facilitare l’accesso dei pazienti agli studi clinici, che sono per molti una importante opportunità di cura, ha parlato anche Shaalan Beg, oncologo dell’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas. Egli ha esordito raccontando la vicenda di Allison. Dopo una diagnosi di tumore del pancreas metastatico, una serie di fortunate coincidenze ha permesso a questa paziente di entrare in una sperimentazione clinica su un nuovo farmaco a bersaglio molecolare. Quattro anni dopo, il suo caso viene presentato a un congresso come emblema dell’efficacia delle terapie a bersaglio molecolare per un tumore, come il suo, ancora difficile da curare. Ma resta una domanda: cosa sarebbe successo se le coincidenze non fossero state così favorevoli? “L’arruolamento in uno studio clinico non può essere questione di fortuna o di luogo di residenza” ha detto l’esperto.

Lezioni di vita quotidiana

Le diverse storie raccontate avevano tutte un elemento comune: come l’esperienza quotidiana con i pazienti possa insegnare molto anche ai medici.

Anthony D’Amico, radioterapista al Dana-Farber Cancer Institute e Brigham Women’s Hospital di Boston, ha raccontato la storia di Jack, un paziente che – usando inconsapevolmente l’arma della sincerità e della verità – ha cambiato letteralmente l’approccio alla malattia e alla vita di un’altra paziente, Jill, incontrata in sala d’attesa. “Niente succede per caso, dobbiamo sempre dire la verità e le cose così come sono, e vedremo anche accadere dei miracoli” ha affermato l’esperto.

Quarta voce della sessione è stata quella di Samantha Siegel, un’oncologa del New Jersey, dalla vita molto attiva. Correva maratone e quando è diventata mamma ha voluto lavorare anche durante l’allattamento. Dopo aver assistito in prima persona il marito in una serie di vicende mediche finite male, Siegel si è trovata catapultata dall’altra parte della barricata, dopo una diagnosi di linfoma di Hodgkin al II stadio. Anche se fortunatamente non era uno dei tumori più difficili da curare, la malattia ha comunque cambiato la vita di Samantha non solo a livello pratico. Soprattutto ha modificato il suo punto di vista sulla vita stessa. Ora la Samantha Siegel studia medicina integrativa con l’intento di creare un programma complessivo di cura, dedicato a chi ha affrontato il lungo viaggio della malattia. “Il processo di guarigione e di ritorno alla salute continua anche dopo che il risultato di un esame ci ha dato il permesso di ricominciare la nostra vita” ha dichiarato. “Spostiamo l’attenzione dalla mortalità alla vitalità” ha aggiunto.

Ha chiuso la sessione Michael Serzan, oncologo al Dana-Farber Cancer Institute, raccontando la propria storia personale di giovane medico che, all’inizio della carriera, si è trovato a un passo dall’essere schiacciato dal peso fisico ed emotivo del proprio lavoro. Serzan era arrivato al limite, quando un collega che lui stimava molto gli chiese di far parte di una squadra di ciclisti per un’iniziativa all’interno del centro oncologico. Quell’esperienza ha cambiato il destino dell’oncologo: della squadra facevano parte anche due pazienti che, condividendo le loro storie, gli hanno dato nuova speranza ed energia. “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai con altri” questo il motto che l’esperto ha fatto proprio e che ha voluto riproporre anche all’ASCO. “Dobbiamo essere vicini a chi curiamo e dobbiamo integrare i nostri obiettivi con quelli dei nostri pazienti” ha concluso.

  • Agenzia Zoe

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