Alimentazione vegana, vegetariana, flexitariana: quanto aiutano a prevenire i tumori?

Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024

Alimentazione vegana, vegetariana, flexitariana: quanto aiutano a prevenire i tumori?

Una nuova revisione degli studi sul tema conferma un possibile effetto protettivo di una dieta a base vegetale per la salute, ma dipende da come la calibriamo e da altri fattori.

Negli ultimissimi anni l’alimentazione vegana, che esclude ogni alimento di origine animale, e quella flexitariana, in cui si riducono al minimo le componenti di origine animale, sono diventate di moda. Numerose sono le figure più o meno certificate ed esperte, tra nutrizionisti, medici e dietisti, ma anche naturopati e non solo, che si prodigano su riviste e social media per diffondere il “verbo”. Secondo numerose di queste teorie, una dieta completamente o quasi completamente vegetale farebbe “meglio” alla salute rispetto a una dieta onnivora (anche se tra le diete onnivore si annoverano stili alimentari molto diversi gli uni dagli altri). Le evidenze scientifiche mostrano che l’ipotesi è probabilmente corretta per quanto riguarda lo stato di salute cardiovascolare, l’eccesso ponderale e il rischio di cancro, solo però a condizione che la dieta a base vegetale sia ben bilanciata.

A maggio 2024 sulla rivista PLOS One è stata pubblicata una nuova ampia revisione della letteratura scientifica, in cui gli autori hanno valutato l’impatto delle diete prive di sostanze di origine animale e sui fattori di rischio associati allo sviluppo di malattie cardiometaboliche e cancro e sulla relativa mortalità. Nel complesso, le diete vegetariane e vegane sono risultate significativamente associate a un migliore profilo lipidico, a un maggiore controllo della glicemia, a un indice di massa corporea più favorevole, a minore infiammazione e a un minore rischio di cardiopatia ischemica e cancro. La dieta vegetariana è anche risultata associata a una minore mortalità per malattie cardiovascolari. Al tempo stesso non è stata segnalata alcuna differenza sul rischio di sviluppare diabete gestazionale e ipertensione nelle donne in gravidanza che seguivano diete vegetariane. Occorre però considerare anche i limiti di questi studi.

I limiti degli studi che paragonano regimi alimentari esclusivamente a base di vegetali ad altri

Gli stessi autori della revisione hanno però indicato chiaramente alcune debolezze insormontabili della loro analisi. Tra queste vi sono l’elevata eterogeneità delle diverse popolazioni studiate negli studi presi in considerazione, insieme alle dimensioni non sempre significative dei campioni, ai fattori demografici, alle origini geografiche, ai modelli alimentari e ad altri fattori confondenti legati agli stili di vita. Questa precisazione, oltre a essere molto onesta, è cruciale perché ci avverte di prendere questi risultati come perfettibili e non perfetti. Le diete a base vegetale sembrano particolarmente utili a ridurre i fattori di rischio cardiometabolico, un dato confermato dalla maggior parte delle ricerche scientifiche affidabili sul tema negli ultimi anni. Si dovrebbe però esercitare una certa cautela prima di suggerire, in generale, l’adozione di regimi alimentari che escludono le fonti di origine animale. Occorre infatti esaminare sempre le caratteristiche specifiche di ogni persona.

Prima di trarre conclusioni, sono molti gli aspetti da tenere a mente

Anzitutto, non sempre le offerte di diete vegane “salutari” che si trovano online (non consigliate in modo personalizzato da specialisti competenti) sono bilanciate, per cui possono di fatto risultare ben poco salutari. In secondo luogo, a fare la differenza è la quantità (e la qualità) dei prodotti di origine animale consumati in una dieta onnivora, che quindi può essere comunque sana.

Peraltro, la definizione di “diete a base di vegetali” è vaga. In un articolo pubblicato dalla rivista Nature nel 2022, gli autori avevano esaminato l’uso delle espressioni “vegetale”, “vegetariano” e “vegano” in vent’anni di letteratura scientifica. Avevano così evidenziato definizioni e usi di questi termini non coerenti fra loro. Anche queste ambiguità rendono difficile paragonare i risultati dei diversi studi sul tema. Non da ultimo, va tenuto a mente il fatto che i ricercatori stanno comprendendo sempre di più il ruolo salutare del microbiota, ossia dei microbi ospiti di ogni organismo. “Essendo il microbiota un fattore fortemente individuale, ogni dieta dovrebbe essere personalizzata in base anche all’analisi del microbiota di ciascuna persona, dato che solo così potrà fare davvero bene a una specifica persona. Occorre un’analisi precisa, e non una generalista (e quindi poco utile) come le tante che sono disponibili in Italia” racconta Maria Rescigno, Professoressa ordinaria di patologia generale e Pro Rettrice alla ricerca presso Humanitas University, nonché una delle principali studiose del microbiota.

Perché una dieta a base vegetale potrebbe essere migliore per la salute rispetto a un’alimentazione molto ricca di derivati animali?

I dati che possediamo sono statistici ed epidemiologici, cioè mostrano delle associazioni tra abitudini e sviluppo o meno di malattie nelle popolazioni. Per esempio, si osserva che all’interno del gruppo di persone che segue un certo regime alimentare sono più elevate l’incidenza e la prevalenza di diagnosi di un certo tipo di cancro, o di malattie cardiovascolari. Si può scendere più nel dettaglio e correlare l’alimentazione con specifici valori come la glicemia, il colesterolo e via dicendo, che sono fattori di rischio per diverse malattie croniche. Ma un’associazione di per sé non sempre basta a dimostrare un rapporto di causa ed effetto tra un’abitudine e una malattia.

Anche laddove un rapporto di causa ed effetto è fortemente probabile, per gli scienziati non è sempre facile capire perché, a parità di dieta, alcune persone sviluppino per esempio ipercolesterolemia o diabete e altre no.

In molti laboratori nel mondo ci sono gruppi di ricercatori che stanno studiando i meccanismi che regolano, per esempio, l’infiammazione, il ruolo della dieta e di altri fattori, ma al momento non ci sono risposte certe.

Cosa sappiamo?

Innanzitutto, possiamo dire che probabilmente l’apporto di grassi saturi tende a favorire l’infiammazione, che a sua volta è un determinante per l’insorgenza di alcune malattie come il cancro. Ne abbiamo parlato sul sito di AIRC: i risultati di diversi studi epidemiologici hanno per esempio mostrato una correlazione tra un elevato consumo di grassi e un maggiore rischio di sviluppare un tumore del colon-retto. A contribuire a tale effetto sarebbe l’aumento dell’infiammazione determinato da una dieta ricca di grassi. Inoltre, questi ultimi hanno un impatto sulla composizione del microbiota intestinale, il cui assetto è sempre più spesso considerato fondamentale per mantenere un buono stato di salute generale, e non soltanto contro il rischio oncologico. Ricerche condotte nei topi hanno peraltro evidenziato che un aumento dei depositi di grasso viscerale è associato alla sintesi di estrogeni e alla produzione di molecole che stimolano l’infiammazione dell’organismo, come le citochine. Sappiamo anche che un consumo eccessivo di acidi grassi trans è associato a un aumentato rischio di sviluppare tumori del cavo orale, della faringe, dell’esofago, del seno e dell’ovaio.

Al contrario, la presenza dell’acido oleico e di altre sostanze con proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti e antiossidanti può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare il tumore del colon-retto, come si rileva nelle persone che consumano regolarmente olio extravergine di oliva, secondo i risultati di una metanalisi pubblicata nel 2022 sulla rivista Plos One.

Allo stesso tempo, però, nessuna ricerca ha finora dimostrato che riducendo soltanto l’apporto dei grassi si possa prevenire del tutto l’insorgenza dei tumori.

In sintesi, sono sempre di più i dati a sostegno dei benefici di una dieta a basso contenuto di derivati animali per la salute. Non esistono però alimenti miracolosi. Soprattutto bisogna considerare le condizioni specifiche di ciascuna persona. E prima di stravolgere completamente la propria dieta è bene procedere per gradi, chiedendo consiglio a un medico nutrizionista competente.

  • Cristina Da Rold

    Cristina Da Rold (Belluno, 1988) è data-journalist dal 2012. Si occupa di sanità con approccio data-driven, principalmente su Infodata – Il Sole 24 Ore Le Scienze. Scrive prevalentemente di disuguaglianze sociali, epidemiologia e nuove tecnologie in medicina. Consulente e formatrice nell’ambito della comunicazione sanitaria digitale, dal 2015 è consulente per la comunicazione/social media presso l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal 2021 anche presso la Fondazione Pezcoller per la ricerca sul cancro di Trento. Nel 2015 ha pubblicato il libro “Sotto controllo. La salute ai tempi dell’e-health”(Il Pensiero Scientifico Editore). È docente presso il Master in comunicazione della scienza e della salute dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presso il Master in comunicazione della scienza dell’Università di Parma.