Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Dalla moglie economista Ghia ha imparato che si possono ottenere grandi risultati con poche risorse. Una strategia che, grazie a un progetto di ricerca finanziato dai Programmi 5 per mille di AIRC, ha cercato di applicare anche alla leucemia linfatica cronica.
Quando arrivò a Basilea per fare il dottorato nel tempio europeo - forse mondiale - della ricerca immunologica, che riuniva nella piccola città svizzera un numero spropositato di premi Nobel, la sua prima reazione fu di profonda frustrazione: "Avevo seguito la raccomandazione del mio mentore, Federico Caligaris-Cappio, e con lui me la presi molto: io volevo conoscere l'oncologia e curare il cancro, e invece mi ritrovavo a studiare meccanismi biologici di base, verificando su cellule umane i risultati ottenuti con la sperimentazione animale. Stavo imparando cose di cui, all'epoca, nessuno vedeva il legame con le malattie o con il cancro".
Per Paolo Ghia la scelta dell'oncologia era stata, in un certo senso, un'evoluzione del desiderio adolescenziale di diventare cardiochirurgo infantile, figura affascinante capace di restituire la salute ai malati con un singolo intervento radicale: durante gli studi universitari - in cui aveva seguito l'esempio del padre Viviano, diabetologo all'ospedale di Asti - gli era già apparso chiaro che per curare certe malattie esistono anche strumenti meno drastici e più efficaci del bisturi, ma non avrebbe mai immaginato che le competenze immunologiche, all'apparenza astratte, che stava approfondendo a Basilea sarebbero finite anni dopo al centro di una rivoluzione.
È una rivoluzione che ha in un certo senso capovolto l'approccio a un tipo assai particolare di tumore del sangue, la leucemia linfatica cronica, di cui oggi Ghia è uno dei massimi esperti a livello internazionale: "All'epoca ero piuttosto perplesso, ma oggi sono davvero grato per quel suggerimento per molti versi preveggente, perché a quelle conoscenze attingo giornalmente per valutare le condizioni dei miei pazienti e scegliere la terapia migliore per ciascuno di loro" racconta nel suo studio al primo piano del Dipartimento di biotecnologie (DIBIT) dell'Ospedale San Raffaele di Milano.
La passione per la ricerca era nata da giovane: dopo la maturità classica al liceo Alfieri di Asti e la laurea in medicina all'Università di Torino aveva avuto l'opportunità di fare una fantastica esperienza di laboratorio: "In quello scantinato malsano dell'Ospedale Molinette hanno lavorato tanti grandi ricercatori clinici, tra cui il mio 'padre spirituale' Caligaris-Cappio, sotto la guida di quello che io chiamo il mio 'nonno spirituale', Felice Gavosto" ricorda Ghia con un sorriso. Ora il laboratorio da cui ha diretto il progetto finanziato con il 5 per mille AIRC sul ruolo del microambiente nello sviluppo del tumore è di nuovo al piano seminterrato, ma l'ambiente è accogliente, e le apparecchiature all'avanguardia.
Il progetto di cui Ghia sta tracciando gli ultimi risultati si è concentrato su due tumori del sangue piuttosto diffusi, la leucemia linfatica cronica e il mieloma multiplo, e ha coinvolto complessivamente 97 ricercatori: "Ma oggi il mio laboratorio è sconfinato, in un certo senso infinito, grazie alle possibilità di collaborazione offerte dalle nuove tecnologie: oltre la metà delle ricerche sono state fatte insieme a due gruppi di colleghi in Grecia e in Svezia" spiega. "Skype e WhatsApp ci permettono di tenere i cosiddetti 'lab meeting' con colleghi che lavorano a migliaia di chilometri di distanza e di avere un confronto continuo che si concretizza anche con lo scambio di studenti e giovani ricercatori".
Il concetto di distanza, nella sua vita e in quella della sua famiglia, ha contorni sfumati, cangianti: i genitori Emma e Viviano erano separati in gioventù dal fatto di vivere sulle sponde opposte del Tanaro, vicino ad Asti, ma la loro unione si era consolidata aprendosi al mondo, e dopo che la mamma aveva trascorso un anno di studio in California: "La mamma ha voluto che mia sorella Piera e io studiassimo le lingue e facessimo esperienze nel mondo" racconta Ghia. Ora la sorella, grande esperta di raggi cosmici, è direttore di ricerca del CNRS a Parigi: "Anche per il suo esempio io sono cresciuto nella convinzione che le donne hanno una marcia in più".
Quanto a lui, è l'incontro fortuito con Eliana a tracciare la rotta per la tappa successiva: "L'avevo conosciuta a una festa a Torino e mi ero offerto di riaccompagnarla a casa, a Como, sulla via per Basilea. Lei doveva tornare a Boston, dove stava facendo il dottorato in economia dello sviluppo ad Harvard, ma siamo rimasti in contatto. Alla fine del mio dottorato io avevo previsto di fare un giro di seminari negli Stati Uniti per scegliere dove poter applicare i miei studi alla ricerca sul cancro, e pensai bene di aggiungere Boston alla lista. Fui selezionato dal prestigioso Dana-Farber Cancer Institute di Harvard, ma quando arrivai lei era andata a passare l'estate in India, da Madre Teresa di Calcutta, e per qualche settimana feci lunghe chiacchierate telefoniche da una cabina, consumando tessere ricaricabili. A un certo punto fu una signora indiana che assisteva spesso alle nostre chiacchierate a dirle quello che noi ancora non ci eravamo detti: ma questo è il tuo fidanzato!".
Nei successivi tre anni, tra una ricerca e l'altra, si sono sposati e hanno messo su la loro prima casa a Cambridge, sede dell'Università di Harvard.
Eliana ora insegna all'Università Bocconi di Milano, dove è stata anche prorettrice alla ricerca: "È lei quella in gamba della famiglia" dice lui, con un'ammirazione che si fonde con la passione per i suoi studi di microeconomia e il comune interesse per i Paesi in via di sviluppo, che l'estate scorsa hanno portato la famiglia - con i figli Arianna di 17 anni e Gabriele di 14 - a trascorrere tre settimane in una comunità rurale nella foresta vergine del Congo, dopo una serie di viaggi estivi in gran parte in automobile, alternando mete vicine e lontane, tra cui Stati Uniti e Australia ("senza mai prenotare in anticipo la stanza in cui dormire").
Tra un viaggio estivo e l'altro, la famiglia al completo è tornata sul luogo del delitto, a Boston, dove lei ha trascorso un anno sabbatico al MIT. In quell'anno lui ha fatto spesso avanti e indietro con l'Italia, diventando il passeggero di Alitalia con più miglia percorse in un anno di tutta la Lombardia ("Senza contare che volo anche con altre compagnie" chiosa ridendo), anche grazie ai numerosi viaggi di lavoro per divulgare i risultati delle ricerche, che lo portano in tutto il mondo, dal Giappone all'Argentina, passando per il Medio Oriente.
Prima dell'arrivo dei figli, avevano anche fatto un'esperienza di lavoro a Korogocho, la baraccopoli alla periferia di Nairobi, in Kenya, sviluppatasi attorno alle discariche di rifiuti: "Persino in quello scenario apocalittico, la vita va avanti con dignità, e ci sono microimprese condotte con tenacia, a dimostrazione del fatto che l'essere umano ha la capacità di adattarsi e non si accontenta della sola sopravvivenza: noi indossavamo abiti trasandati, mentre loro erano sempre curati ed elegantissimi" ricorda. "Dico sempre a mia moglie che se rinasco voglio fare l'economista".
In un certo senso, la sua fascinazione per questa disciplina riecheggia quella per l'immunologia: lo studio di un sistema, il sistema immunitario, che si adatta alla realtà circostante in continuo cambiamento. Anche le sue ricerche sulla leucemia linfatica cronica gli forniscono una visione della malattia per certi versi controcorrente: "Ai miei studenti spiego che ogni tanto mi sento un po' sociologo quando parlo di cancro. Il cancro non è un criminale solitario, non agisce da solo ma con la complicità dell'ambiente che lo circonda, che gli permette di crescere e svilupparsi". È il famoso "microambiente", che in alcune delle forme tumorali studiate da Ghia ha un ruolo importantissimo e che adesso è diventato un bersaglio delle terapie più innovative anche nella leucemia linfatica cronica.
Oggi in famiglia ama ascoltare moglie e figli che eseguono duetti e trio per pianoforte, violino e violoncello, un altro dei motivi per cui è grato a Eliana: "Lei suona il pianoforte, e ha introdotto nella mia vita quotidiana la musica, incoraggiando i figli". Insieme a lei sta portando avanti quello che definisce "l'esperimento più difficile della mia vita": "In laboratorio se l'esperimento non funziona puoi ripartire da zero e rifarlo in tanti modi diversi finché non riesce: con i figli non puoi fare lo stesso".
Il tempo libero è spesso assorbito dal giardinaggio: "Mentre mi dedico alle piante della terrazza mi accade un fenomeno strano: spesso continuo a pensare al lavoro, ma le cose spiacevoli spariscono, e rimangono quelle piacevoli. Mio padre ha sempre avuto il dono di clonare gli oleandri, molto rari nel clima dell'Astigiano, e io ogni tanto da ragazzo lo aiutavo svogliatamente, perché non capivo questa passione che condivideva con la mamma. Poi la passione mi ha contagiato, ma ancora oggi la ricetta per clonare gli oleandri non mi riesce mai".
Il 90 per cento del mio lavoro di medico consiste nel tranquillizzare i malati e nel togliere loro terapie prescritte in maniera un po' impaziente da specialisti cresciuti con in mente altri tipi di leucemie, quelle più aggressive. Io rassicuro i miei pazienti spiegando loro che la leucemia linfatica cronica ha in comune con le altre il nome ma ha caratteristiche profondamente diverse". Paolo Ghia rappresenta la quintessenza del medico-ricercatore, che dedica molto tempo al dialogo ("L'altro giorno ho passato tre ore con un paziente che vedevo per la prima volta") e solo grazie al distacco che gli offre il laboratorio riesce a non farsi paralizzare dal senso di impotenza che di fronte a certi pazienti diventa divorante. Oggi nella sua veste di presidente della Iniziativa europea per la ricerca sulla leucemia linfatica cronica (ERIC) sta lavorando alle nuove linee-guida che aiuteranno gli specialisti di tutto il mondo a selezionare il momento migliore per avviare le terapie più adatte a ciascun sottogruppo di malati, in modo da garantire che la convivenza pacifica con la malattia cronica sia più lunga possibile, e che le armi terapeutiche più forti restino a disposizione quando il paziente ne ha veramente bisogno per dare i frutti migliori: un po' come farebbe un economista alle prese con un investimento di lungo termine.
Fabio Turone