Ultimo aggiornamento: 10 maggio 2019
Hanno già contribuito notevolmente al progresso dell'oncologia e anche oggi, nell'era delle nanotecnologie e della medicina molecolare, gli epidemiologi permettono alla ricerca contro il cancro di fare passi avanti, svelando le cause della malattia.
Il termine epidemiologia significa, letteralmente, "discorso che riguarda la popolazione" (dal grecoepi=relativo a, demos=popolazione elogos=discorso, studio). In pratica, l'epidemiologia rappresenta la scienza che studia la distribuzione e le cause delle malattie. Non si tratta certo di un concetto recente: l'idea che l'ambiente e alcuni comportamenti siano in grado di influenzare nel bene e nel male la nostra salute risale, infatti, addirittura a Ippocrate, il padre della medicina, che visse in Grecia attorno al 400 a.C.
La nascita della moderna epidemiologia risale però alla metà del secolo scorso e da allora questa scienza fatta di osservazione, medicina, matematica e statistica è riuscita a identificare le cause alla base di moltissime malattie. "In un certo senso possiamo dire che tutto quello che sappiamo sulle cause del cancro deriva dagli studi epidemiologici" afferma Carlo La Vecchia, direttore del Dipartimento di epidemiologia dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e docente di epidemiologia all'Università degli studi di Milano. "Solo per fare un esempio, lo statunitense Winder fu tra i primi, già a metà del secolo scorso, a puntare il dito contro il fumo di sigaretta che oggi è riconosciuto come la principale causa del tumore al polmone".
L'epidemiologia come oggi la conosciamo si è strutturata verso il 1950 e ancora oggi Stati Uniti e Regno Unito restano i leader in questo campo. "Inizialmente si dedicavano alla professione soprattutto medici e matematici" spiega La Vecchia, che ricorda come verso la fine degli anni setttanta l'Italia investì molto su questa disciplina "ma oggi i medici che scelgono questa professione sono davvero molto pochi e i nuovi epidemiologi hanno una formazione di base in biostatistica o di area biologica".
Come spiegano gli esperti dell'Associazione italiana di epidemiologia (AIE), questo cambio della guardia può avere aspetti sia negativi sia positivi. Da un lato, infatti, l'assenza di una formazione medica potrebbe relegare l'epidemiologia al ruolo di semplice strumento al servizio delle altre discipline che si occupano di ricerca. D'altra parte però bisogna riconoscere che le competenze tipiche delle scienze che costituiscono la formazione di base dell'epidemiologo moderno rappresentano una grande opportunità di arricchimento. E ulteriori opportunità per lo scienziato sono le enormi quantità di dati raccolti e messi a disposizione da diverse associazioni ed enti di ricerca internazionali. Consultare questi dati e dare il via a collaborazioni su scala europea o mondiale permette di dare un respiro più ampio alle ricerche e di avere lo sguardo sempre attento anche a ciò che accade fuori dall'Italia.
In un'era nella quale la ricerca oncologica cerca sempre più spesso soluzioni a livello genetico e molecolare ci si potrebbe chiedere quale sia il ruolo dell'epidemiologo. Ha ancora senso andare a cercare le cause macroscopiche delle malattie come le interazioni con l'ambiente, gli stili di vita che possono influenzare la comparsa del tumore eccetera? "La risposta è senza dubbio affermativa" sostiene con decisione Carlo La Vecchia. Gli studi epidemiologici permettono in effetti di capire quali sono le distribuzioni e le cause delle malattie e consentono di definire strategie di intervento ad hoc molto efficaci per ridurre il peso che queste patologie hanno sulla salute pubblica. "E poi non sempre la soluzione molecolare è la migliore" afferma l'esperto. "Una volta stabilito che la sigaretta è causa del tumore del polmone, l'ideale è dare il via a interventi che aiutino la gente a dire addio al fumo" precisa riprendendo l'esempio già citato in precedenza.
"Non avrebbe molto senso cercare subito la soluzione a livello molecolare anche perché le sostanze dannose in una sigaretta sono numerosissime e il lavoro per i ricercatori sarebbe davvero enorme". Certo è che gli studi molecolari possono poi completare quelli epidemiologici andando a cercare i meccanismi più fini che regolano il legame tra una malattia e la sua causa. È il compito di quella che a volte viene definita epidemiologia genetica, genomica e molecolare (insegnata in master e realizzata in laboratori di ricerca), una disciplina nella quale le metodologie classiche dell'epidemiologia si sposano con le ultime conoscenze della biologia e della medicina molecolare.
Al centro dell'attenzione dell'epidemiologo c'è sempre la popolazione. Da qui prendono il via gli studi che permettono ai ricercatori di scoprire i fattori di rischio e le cause delle malattie. "Semplificando molto potremmo dividere questa disciplina in epidemiologia descrittiva - quella che si occupa di descrivere la distribuzione della patologia, cioè dove si presenta e quando - ed epidemiologia analitica, che invece si occupa delle cause" spiega La Vecchia. "C'è poi l'epidemiologia clinica che si concentra sulle popolazioni di pazienti piuttosto che su quella generale". Fatta questa distinzione è importante però sottolineare che la statistica è uno strumento fondamentale per raggiungere qualunque conclusione in questa disciplina e interpretare in modo corretto ciò che si osserva sul campo. Condurre uno studio epidemiologico non è certo semplice. Dal momento che non si studiano sistemi controllati come le cellule in laboratorio, è infatti necessario tenere conto di tutti i fattori che possono influenzare i risultati per poter scegliere bene le persone da valutare (che devono essere davvero molte) e il tempo della durata dello studio (spesso decine di anni).
E si ottengono infine enormi quantità di dati che devono essere condivisi con addetti ai lavori e persone comuni. "Non è semplice parlare di questi argomenti a persone che non sono del settore" spiega Stefania Salmaso, direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell'Istituto superiore di sanità (ISS). "L'epidemiologia lavora su popolazioni o gruppi di pazienti e i risultati sono spesso espressi in termini probabilistici. Il rischio è che al singolo cittadino passi un'informazione distorta o non completa e per questo motivo deve sempre essere mediata dal medico o dall'operatore sanitario".
Attualmente non esiste in Italia una vera e propria laurea triennale o magistrale in epidemiologia, ma in numerosi corsi di laurea (medicina, statistica, discipline biologiche) sono inseriti corsi o cicli di lezioni che con l'epidemiologia hanno a che fare in varia misura. Fondamentali per la formazione dell'epidemiologo sono comunque i master e i dottorati, attivati in tutti i principali atenei italiani e anche in alcune sedi minori. Sui siti internet dell'Associazione italiana di epidemiologia (AIE), della Società italiana di statistica medica ed epidemiologia clinica (SISMEC) e del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) si possono trovare informazioni su alcuni dei principali master, sui corsi e gli approfondimenti e su alcune iniziative di formazione internazionali. L'epidemiologia può offrire anche buone opportunità ai medici, che tendono a disertare questa specialità a favore di altre più cliniche. L'handicap? Chi ha studiato medicina ha una formazione in matematica e statistica più debole di quella di biologi o statistici, divario che va colmato studiando.
Come lavorano gli epidemiologi moderni? In realtà possono essere inseriti in gruppi di ricerca, per esempio per seguire l'elaborazione dei dati, in un contesto nel quale il loro ruolo non è però centrale. Oppure possono essere i protagonisti dello studio, come è accaduto con la grande ricerca epidemiologica europea EPIC (finanziata anche da AIRC) che ha permesso di tracciare il profilo della salute e degli stili di vita degli abitanti del Vecchio Continente. Utilizzano anche strumenti molto sofisticati, come siti internet interattivi per seguire l'evoluzione di un'epidemia infettiva, e quindi vi sono alcuni epidemiologi che hanno una formazione di base in fisica o informatica.
In genere al termine epicentro si associano immagini negative, legate magari a un terremoto, ma per molti operatori sanitari il termine indica un'enorme fonte di conoscenza. EPICENTRO è infatti "il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica", un sito internet gestito dagli esperti del CNESPS. "Il sito nasce con lo scopo di comunicare con i medici e con tutti gli operatori sanitari, ma può essere consultato da tutti, essendo presente in rete con accesso libero" spiega Stefania Salmaso, responsabile scientifico del portale. All'interno del sito si trovano informazioni aggiornate su diversi argomenti fondamentali per la salute - dai tumori, all'abuso di alcol e droghe, dalle malattie infettive all'obesità - e sono descritti alcuni dei principali progetti epidemiologici in corso nel nostro Paese.
Il sito dell'associazione italiana di epidemiologia ha alcune sezioni dedicate alla formazione professionale.
Vai al sito.
Epidemiologia e Prevenzione è una delle riviste più importanti dell'epidemiologia italiana e contiene molti articoli interessanti anche per il lettore comune.
Vai al sito.
Epicentro è il portale di Epidemiologia per la sanità pubblica ed è curato dall'Istituto superiore di sanità. È una miniera di informazioni sicure e validate su molti possibili rischi ambientali e legati agli stili di vita.
Vai al sito.
L'Associazione italiana registri tumore (AIRTUM) raggruppa sul suo sito tutte le informazioni epidemiologiche importanti sulle malattie oncologiche: incidenza, fattori di rischio e sopravvivenza, divise (quando i dati sono disponibili) per Regione.
Vai al sito.
Cristina Ferrario