Chemioterapia

La chemioterapia consiste nella somministrazione di una o più sostanze capaci di aggredire le cellule che si moltiplicano più rapidamente, quindi in particolare quelle cancerose, durante il processo di replicazione.

Ultimo aggiornamento: 25 maggio 2020

Tempo di lettura: 23 minuti

Nel linguaggio comune il termine chemioterapia è utilizzato soprattutto per indicare le più comuni cure farmacologiche utilizzate contro il cancro (chemioterapia antineoplastica). Tuttavia, preso alla lettera, il termine include qualunque trattamento terapeutico, di malattie anche molto diverse tra loro, a base di sostanze chimiche. Da questo punto di vista, anche composti come gli antivirali, che inibiscono alcuni virus, e gli antibiotici, che eliminano i batteri, si possono includere in questa vasta categoria.

La parola all'esperto

L'oncologo Francesco Perrone parla della chemioterapia.

Come agisce la chemioterapia

Le sostanze chemioterapiche utilizzate in oncologia impediscono la moltiplicazione cellulare interferendo con i meccanismi legati a questo processo, e così facendo eliminano le cellule cancerose inducendone la morte (azione citotossica). Le cellule tumorali si riproducono molto più rapidamente di quelle normali, per cui l'effetto della chemioterapia si fa sentire soprattutto sui tumori che crescono velocemente, perché è in grado di bloccarne o rallentarne lo sviluppo fino a ridurne il volume; ma ha conseguenze anche su alcuni tipi di cellule sane soggette a rapida replicazione (come le cellule dei bulbi piliferi, del sangue e quelle che rivestono le mucose dell'apparato digerente). Si spiegano così i più comuni effetti collaterali di questi trattamenti (perdita di capelli, anemia e calo delle difese immunitarie, vomito, diarrea e infiammazione o infezione della bocca) che, a volte, preoccupano i pazienti più della malattia stessa. È bene precisare che i farmaci chemioterapici sono cambiati nel tempo e oggi sono più efficaci e meno tossici rispetto al passato. Gli effetti collaterali variano in base al tipo, alla dose, alla modalità di somministrazione e, inoltre, possono essere contrastati, come nel caso di nausea e vomito, da trattamenti complementari (terapie di supporto o ancillari). È importante sottolineare che, a fronte di questi disturbi, talvolta rilevanti, la chemioterapia ha il merito di aver ribaltato la prognosi di chi è colpito da alcune forme di cancro, per esempio le leucemie infantili, il linfoma di Hodgkin o il tumore del testicolo, che oggi in un'altissima percentuale di casi giungono a completa guarigione. La chemioterapia dunque combatte il cancro in modo efficace e nella cura della maggior parte delle neoplasie è ancora insostituibile.

A che scopo si fa la chemioterapia?

La scelta di sottoporre un paziente a chemioterapia può avere obiettivi differenti:

  • eliminare definitivamente la malattia, nel caso di tumori molto sensibili a questi trattamenti;
  • ridurre il volume della massa tumorale prima di un'operazione chirurgica o prima della radioterapia (chemioterapia neoadiuvante) così da rendere l'intervento più efficace e meno invasivo e poter limitare l'irradiazione a zone più ristrette;
  • prevenire un'eventuale ricadutadopo un intervento chirurgico o la radioterapia, eliminando cellule tumorali che possono essersi staccate dal tumore e diffuse in altre parti del corpo, pur non avendo ancora dato luogo a metastasi rilevabili con gli strumenti diagnostici attualmente a disposizione (chemioterapia adiuvante o precauzionale);
  • prolungare la sopravvivenza o ritardare la progressione della malattia quando questa non può essere eliminata del tutto, per esempio perché già diffusa nell'organismo;
  • alleviare i sintomi provocati dalla massa tumorale quando questa non si può asportare chirurgicamente, in modo da limitare gli effetti legati a un'eventuale ostruzione di canali (per esempio un bronco o l'intestino) e compressione degli organi vicini (per esempio all'interno della scatola cranica);
  • preparare l'organismo a un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali. In questo caso si utilizzano dosi molto alte di farmaci.

Quando è indicata la chemioterapia?

I medici valutano l'opportunità di sottoporre un paziente a chemioterapia in base a diversi fattori:

  • il tipo di tumore, più o meno sensibile a queste cure;
  • la sede in cui il tumore si è presentato la prima volta: per esempio, per le metastasi localizzate nel polmone provenienti da un tumore della mammella, si utilizzano gli schemi di trattamento efficaci contro il tumore della mammella;
  • l'aspetto delle cellule tumorali osservate al microscopio, cioè il grado di severità del cancro;
  • la diffusione della malattia all'interno dell'organismo a partire dal punto in cui si è sviluppata, cioè lo stadio di evoluzione del cancro;
  • le condizioni generali del paziente.

 

Tenendo conto di questi criteri e seguendo le indicazioni di protocolli definiti a livello internazionale dagli oncologi sulla base di evidenze scientifiche, i medici stabiliscono il tipo di chemioterapia da somministrare, il numero di cicli necessari e se la cura sia da associare a un intervento chirurgico, a cicli di radioterapia (in questo caso si parla di chemioradioterapia), a terapie ormonali o possa essere integrata con le più recenti terapie mirate o con varie combinazioni di questi trattamenti. In questo modo si punta a stabilire la migliore strategia terapeutica per il singolo paziente.

Quando non è indicata la chemioterapia?

Una diagnosi di cancro non implica necessariamente la chemioterapia, che, in quanto trattamento sistemico, cioè diffuso a tutto il corpo, comporta effetti collaterali da soppesare in relazione ai benefici attesi.

Pertanto i medici possono decidere di non sottoporre il paziente a questo tipo di cura:

  • se il tumore, per le sue caratteristiche, risponde poco o nulla a questo genere di trattamento;
  • se il tumore è ancora piccolo, non si è diffuso ai linfonodi né nel sangue e può essere rimosso completamente con un intervento chirurgico;
  • in altri casi che i curanti valuteranno di volta in volta.

Schema e ciclo di trattamento

La chemioterapia utilizza una o più sostanze in combinazioni diverse a seconda del tipo di tumore. L'associazione di sostanze diverse consente di aggredire le cellule tumorali colpendo contemporaneamente diversi meccanismi essenziali per la loro replicazione.

Esistono linee guida nazionali e internazionali che definiscono i diversi schemi (o protocolli) di chemioterapia da utilizzare per le diverse forme di tumore: per ogni malato i medici scelgono lo schema più adatto per ottenere il miglior risultato possibile con il minor carico di effetti collaterali.

Gli schemi di chemioterapia sono chiamati con acronimi formati dalle iniziali dei medicinali utilizzati: per esempio CMF (ciclofosfamide, metotrexato e fluorouracile) o FEC (fluorouracile, epirubicina e ciclofosfamide), usati abitualmente per la cura del tumore al seno, o FOLFOX (acido folico, fluorouracile e oxaliplatino) e CAPOX (capecitabina e oxaliplatino), per la cura dei tumori dell’intestino. Esistono quasi un centinaio di sostanze che possono essere variamente combinate per combattere meglio le diverse forme di tumore, e nuove molecole sono continuamente scoperte, sintetizzate o estratte e messe a punto nei laboratori di tutto il mondo.

Inoltre, molti dei più recenti farmaci a bersaglio molecolare vengono somministrati in associazione con la chemioterapia: per esempio gli anticorpi monoclonali trastuzumab e pertuzumab nel trattamento dei tumori della mammella che esprimono il recettore per HER2; il cetuximab e il bevacizumab nella terapia del cancro del colon; il rituximab nella cura dei linfomi.

La chemioterapia viene spesso somministrata in cicli e non in maniera continua, perché, anche in un tumore a rapida crescita, non tutte le cellule sono contemporaneamente in fase di replicazione. Ve ne sono sempre alcune "a riposo" o, come si dice, "in fase quiescente", che così sfuggono all'azione dei farmaci capaci di ucciderle solo mentre si dividono. La ripetizione del trattamento in cicli successivi fa invece sì che le cellule tumorali vengano eliminate via via che entrano nella fase di replicazione.

Il ciclo di trattamento comprende sia il periodo in cui si riceve la cura sia il tempo che intercorre prima di quello successivo. Un ciclo di 3 settimane, per esempio, può prevedere la somministrazione dei farmaci solo al primo giorno, e 20 giorni senza trattamenti. L'intervallo tra un ciclo e l'altro consente di attendere che una nuova popolazione di cellule tumorali entri in fase di replicazione e, nel contempo, permette all'organismo di riprendersi dagli effetti collaterali della cura, soprattutto quelli che colpiscono le difese immunitarie.

Di norma la chemioterapia viene somministrata nell’arco di tre-sei mesi e in genere include da tre-quattro a sei-otto cicli di trattamento, di durate e intervalli variabili. Il programma inoltre può cambiare in relazione al tipo di malattia, al singolo paziente e alla reazione individuale alle cure.

Gli esami del sangue, da cui può emergere un livello troppo basso di globuli bianchi (leucopenia) o di piastrine, oppure il sospetto che il fegato o i reni stiano soffrendo per le cure, possono per esempio indurre i medici ad allungare gli intervalli tra un trattamento e l'altro o ad abbassare le dosi dei farmaci.

Altre volte gli accertamenti eseguiti nel corso del trattamento mostrano una scarsa risposta della massa tumorale che non si riduce di volume nonostante la terapia. Questo può spingere i medici a utilizzare un'altra combinazione di farmaci che possa rivelarsi più efficace.
Infine, nella programmazione dei cicli di trattamento, è talvolta possibile tenere conto delle esigenze personali del paziente: parlandone con il medico con il dovuto anticipo si può cercare di impostare i cicli in modo che non condizionino la partecipazione a eventi importanti, familiari o lavorativi.

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Prima della chemioterapia

Prima di sottoporre un paziente a chemioterapia, viene eseguita una visita accurata e si misurano peso e altezza per calcolare l'esatta dose di farmaci necessari. I medici prescrivono anche una serie di esami del sangue e altri accertamenti diagnostici. Queste indagini servono a stimare il numero di globuli rossi, bianchi e piastrine, perché il trattamento li potrebbe ridurre, e a verificare la funzionalità di altri organi (polmoni, cuore, fegato, rene) che talvolta possono essere danneggiati dai diversi tipi di chemioterapia. La scelta degli esami da effettuare in ogni singolo caso, quindi, dipende anche dalle sostanze che dovranno essere somministrate.

L'esame del sangue viene ripetuto prima di ogni seduta di chemioterapia e, se i risultati sono alterati, i medici possono decidere, per la sicurezza del paziente, di rimandare il trattamento (di solito di una settimana, ricontrollando poi ancora una volta gli esami del sangue).

Come viene somministrata la chemioterapia?

I farmaci che compongono lo schema di trattamento possono essere somministrati in vario modo.

Per via orale tramite compresse o capsule

Alcuni farmaci chemioterapici, da soli o in associazione a terapie endovenose, possono essere assunti per bocca sotto forma di capsule o compresse. In questo caso spesso sono affidati al paziente che li può ingerire a casa propria. È importante avere alcune accortezze:

  • farsi spiegare bene e per iscritto: quante compresse prendere, quando prenderle, per quanto tempo, a che ora in relazione ai pasti;
  • chiedere se le medicine devono essere conservate in frigorifero o a temperatura ambiente. In ogni caso devono essere tenute fuori dalla portata di bambini e animali domestici;
  • toccare il meno possibile i medicinali e lavarsi bene le mani dopo averlo fatto per evitare irritazioni della pelle;
  • se si dimentica un giorno di ingerire la pastiglia, non prenderne mai una doppia dose il giorno successivo, ma consultare il medico;
  • se non si riesce ad assumere la medicina o questa provoca disturbi, contattare il proprio medico;
  • le sostanze attive contenute nei medicinali sono eliminate in parte attraverso le urine e le feci, perciò far scorrere bene l'acqua dopo essere stati in bagno.

Per via cutanea

In alcuni specifici casi di lesioni superficiali della cute sia pretumorali che tumorali, la chemioterapia può essere somministrata in crema, per uso topico.

Per via endovenosa

Tramite:

  • siringa, quando la sostanza può essere somministrata in tempi brevi (non più di alcuni minuti);
  • flebo, quando la sostanza deve essere somministrata in un tempo variabile tra 30 minuti e alcune ore. I due principali svantaggi di questa modalità sono: 1) la difficoltà di mantenere costante la velocità di infusione, cui si può ovviare usando una pompa per infusione che spinge in circolo i farmaci senza rallentamenti o accelerazioni; 2) il rischio che le sostanze possano uscire dalla vena danneggiando i tessuti circostanti, per cui occorre una attenta sorveglianza da parte del personale;
  • pompa per infusione, quando la sostanza deve essere somministrata goccia a goccia per diversi giorni;
  • infusione continua per settimane o mesi: in questi casi il paziente porta la pompa sempre con sé.

Tutte queste modalità di somministrazione per via endovenosa richiedono un accesso venoso, cioè una via d'ingresso al circolo sanguigno che sia mantenuta aperta per tutto il tempo necessario alle cure. Data l'esigenza di iniettare ripetutamente in vena sostanze irritanti che facilmente possono provocare flebiti, sono stati messi a punto vari dispositivi per raggiungere il circolo sanguigno senza dover cercare ogni volta una vena del braccio, come si fa per iniezioni intravenose occasionali.

L'accesso può avvenire tramite:

CVP (catetere venoso periferico) o ago cannula in una vena della mano o del braccio

È un tubicino molto sottile, inserito tramite un ago, che mantiene aperta la vena, se necessario per alcuni giorni, per poter iniettare farmaci e prelevare sangue.

CVC (cateteri venosi centrali)

Sono dispositivi che, tramite tubicini di materiale biocompatibile (silicone o poliuretano) detti cateteri, raggiungono le grosse vene più vicine al cuore. In questo modo permettono l'infusione intermittente o continua di farmaci e terapie nutrizionali, garantendo nel contempo l'accesso permanente al sistema venoso per molto tempo, anche per mesi.

Possono essere:

  • Esterni, quindi inseriti in anestesia locale in un ambiente sterile, senza la necessità di un intervento in sala operatoria. Questi dispositivi possono essere introdotti a livello della vena giugulare del collo (per trattamenti di breve durata) oppure, passando in una sorta di tunnel sotto la cute del torace, penetrano la vena succlavia all'altezza della clavicola, e da qui sono spinti ancora oltre, fino alla vena cava superiore. In alternativa possono essere immessi in una vena a livello del braccio, come una comune ago cannula. In questo caso, però, il tubicino flessibile è poi spinto, come nel caso precedente, fino alla vena cava superiore (PICC, Peripherally Inserted Central Catheter, catetere centrale inserito perifericamente);
  • Impiantati tramite un piccolo intervento chirurgico. In particolare, il port-a-cath è un piccolo serbatoio sottocutaneo che, tramite un tubicino, sfocia in una vena profonda. Pungendo la pelle in corrispondenza del punto in cui è situato è possibile raggiungere sempre il circolo venoso. Questo dispositivo presenta vantaggi e svantaggi rispetto alle altre linee centrali esterne: è invisibile e richiede minore manutenzione, ma comporta la puntura della pelle, che invece viene evitata quando i piccoli cateteri sboccano esternamente, come nelle altre soluzioni.

In casi particolari e complessivamente poco frequenti, i medicinali per la chemioterapia possono anche essere iniettati per altre vie:

Per via intramuscolare, a livello della coscia o dei glutei; determina un rilascio più lento dei farmaci rispetto alla via endovenosa ma è utilizzata molto di rado.

Per via sottocutanea, a livello dell'addome, della coscia o del braccio; al momento viene praticata solo per alcuni farmaci utilizzati nel trattamento di neoplasie ematologiche e per un farmaco (trastuzumab) usato nella terapia dei tumori mammari e gastrici.

Per via arteriosa, attraverso una cannula inserita nell'arteria principale che irrora il tumore. Il metodo, usato soprattutto per i tumori del fegato immettendo la cannula nell'arteria epatica, consente di concentrare maggiori dosi di medicinale dove serve, risparmiando il resto dell'organismo. È una tecnica invasiva, consigliata raramente e in pochi centri.

Per via intratecale, cioè nel fluido cerebrospinale attraverso la colonna vertebrale, quando, effettuando l'esame del liquido con una puntura lombare, si riscontra la presenza di cellule tumorali a questo livello. È utilizzata solo in alcuni casi di leucemia e tumori cerebrali.

Per via intracavitaria, cioè in una cavità naturale dell'organismo (per esempio all'interno della vescica, nel torace o nell'addome):

  • nel caso della vescica, si dice che la somministrazione è per via intravescicale. Dopo l'asportazione del tumore i medici, in relazione al grado della malattia, possono decidere di somministrare settimanalmente dei farmaci antineoplastici inserendoli in vescica attraverso un sottile tubicino flessibile (catetere). Il trattamento può essere deciso anche per una recidiva che segue all'intervento e alla prima chemioterapia;
  • nel caso del torace, si dice che la somministrazione è per via intrapleurica, cioè avviene nell'intercapedine compresa tra i due strati della pleura, la sottile membrana che riveste da un lato la cavità toracica e dall'altro i polmoni;
  • nel caso dell'addome, si dice che la somministrazione è per via intraperitoneale, cioè avviene nell'intercapedine compresa tra i due strati del peritoneo, la sottile membrana che riveste da un lato la parete addominale e dall'altro i visceri addominali. È un metodo usato di rado, soprattutto per i mesoteliomi peritoneali e per i tumori dell'ovaio diffusi al peritoneo.

Dove si effettua la chemioterapia?

A seconda del tipo di malattia da cui si è affetti, dei farmaci utilizzati e delle diverse condizioni cliniche, la somministrazione della chemioterapia può avvenire in diversi luoghi.

In appositi ambulatori

In modalità di day-hospital, per cui ci si reca in clinica in giorni prestabiliti e si resta per il tempo necessario a eseguire gli esami preliminari e a ricevere l'infusione, per poi rientrare a casa in giornata. È questa la modalità più comune.

Le sostanze usate per la chemioterapia possono essere irritanti per la pelle e pericolose al di fuori del loro uso terapeutico. È per questo che il personale indossa guanti, mascherina, grembiuli di plastica e occhiali protettivi. Per la stessa ragione il materiale che è venuto a contatto con i farmaci deve essere smaltito in maniera differenziata e con particolari cautele.

A domicilio

Se la terapia deve essere presa per bocca, si può farlo a casa. Qualche volta i medici possono ritenere opportuno effettuare la prima somministrazione in ospedale per verificare che non ci siano reazioni indesiderate, altrimenti ci si reca in ambulatorio solo per regolari controlli ed esami del sangue. Ci si può sottoporre al trattamento a domicilio anche quando avviene tramite un'infusione continua di farmaci, mediante una pompa per la chemioterapia collegata alla linea centrale o alla PICC. Ha le dimensioni di una bottiglietta d'acqua e può essere tenuta sempre con sé, in un'apposita borsa o attaccata a una cintura che verrà consegnata in ospedale. Non richiede batteria ma periodicamente deve essere sostituita.

Durante un ricovero in ospedale

A volte può essere necessaria una permanenza in ospedale di una o più notti, soprattutto nei casi in cui:

  • i farmaci devono essere somministrati molto lentamente e in maniera controllata;
  • c'è la possibilità di reazioni indesiderate;
  • occorre somministrare molti fluidi tramite flebo prima e dopo il trattamento oppure alte dosi di medicinali (in questo caso la permanenza può durare anche settimane).

Gli effetti collaterali della chemioterapia

Gli effetti collaterali della chemioterapia sono spesso la maggior causa di preoccupazione per chi si ammala di cancro. Tuttavia questi sono molto variabili da trattamento a trattamento e da individuo a individuo. Rispetto ad alcuni anni fa, inoltre, il loro impatto sul benessere e la qualità della vita del paziente è stato molto ridotto grazie ai progressi della ricerca:

  • si è dimostrato che in alcuni casi è possibile ottenere un risultato ugualmente efficiente con dosi di farmaci inferiori a quelle usate in passato;
  • talvolta si può raggiungere lo scopo aggiungendo al "cocktail" di medicinali (le associazioni di diversi chemioterapici) altre sostanze più tollerate, in modo da poter ridurre la dose di quelle più tossiche;
  • sono stati messi a punto vari trattamenti, farmacologici e non, per tenere più sotto controllo gli effetti collaterali indesiderati.

Prima di iniziare la terapia si può chiedere al proprio medico quali sostanze verranno somministrate e quali effetti collaterali ci si può attendere, ricordando comunque che:

  • la maggior parte di questi effetti indesiderati è di breve durata;
  • spesso cominciano ad attenuarsi e svanire con la fine del trattamento;
  • esistono farmaci e metodi per alleviare alcune delle conseguenze.
  • La probabilità di effetti collaterali a lungo termine è relativamente contenuta.

Inoltre, sono molti gli studi in corso per lo sviluppo di test predittivi in grado di prevedere quali pazienti potranno trarre benefici dalla chemioterapia, risparmiando così inutili effetti collaterali a chi non ne avrebbe vantaggio.

Stanchezza

Il senso di affaticamento che si può provare quando si è affetti da cancro, sia prima sia durante le cure, è particolarmente intenso e prolungato e ha un nome specifico, fatigue, un termine inglese usato anche in Italia. Ci si sente deboli e senza forze e questa sensazione può peggiorare con l'avanzare delle terapie. Questo fenomeno può dipendere da vari fattori:

  • l'azione dei farmaci;
  • l’accumulo dei farmaci che devono essere metabolizzati e smaltiti da organi come fegato e reni;
  • l'impegno dell'organismo nella lotta contro la malattia;
  • la mancanza di sonno;
  • la difficoltà a mangiare adeguatamente;
  • la possibilità che sia subentrata un'anemia;
  • il basso livello di globuli bianchi dovuto al trattamento.

Si può avvertire la stanchezza in maniera più marcata nei giorni in cui ci si sottopone alla chemioterapia e in quelli immediatamente successivi. Soprattutto in queste fasi è bene, quindi, chiedere aiuto a parenti e amici, per esempio per le incombenze domestiche e la cura dei figli, e prevedere eventuali riduzioni dell’orario e/o assenze dal lavoro, o considerare una modalità di smart working.

In generale, comunque, bisogna cercare di organizzarsi per assecondare l'organismo che chiede riposo, senza pretendere da se stessi sforzi eccessivi.

Disturbi digestivi

Le cellule che rivestono le mucose dell'apparato digerente, poiché sono soggette a un continuo ricambio, sono tra quelle che risentono di più dell'azione dei farmaci usati per la chemioterapia. È comune quindi che durante il trattamento si verifichino alcuni di questi disturbi.

Nausea e vomito

Non tutti i medicinali usati in chemioterapia provocano nausea e vomito. Anche per quelli che di solito causano questi disturbi, è impossibile prevedere se lo faranno e in che entità. I disturbi possono manifestarsi a partire da alcuni minuti fino a diverse ore dopo la somministrazione del farmaco, e durare per ore, più raramente per qualche giorno. Se la sostanza ha determinato questi sintomi la prima volta, è probabile che lo farà anche nelle somministrazioni successive. I medici possono tenerli sotto controllo con farmaci detti antiemetici, che di solito vengono iniettati in vena insieme ai chemioterapici e poi possono essere assunti per via orale o intramuscolare a casa. Vanno presi regolarmente anche se ci si sente abbastanza bene, perché questi prodotti sono più efficaci nel prevenire i disturbi piuttosto che nel curarli quando si sono già manifestati.

Possono essere utili anche alcune strategie alimentari, come per esempio frazionare i pasti in più spuntini durante il giorno, scegliendo cibi secchi ed evitando quelli piccanti o con odore e sapore troppo forti (maggiori informazioni sono disponibili qui).

Se nonostante ciò, i disturbi fossero particolarmente difficili da sopportare, è bene informare il medico, che potrà cercare altre soluzioni.

Inoltre, è bene avvisare il personale di cura se il vomito:

  • è particolarmente violento o prosegue per più di uno o due giorni;
  • impedisce di bere;
  • compare senza ragione apparente (per esempio a distanza di tempo dall'ultima seduta di chemioterapia).

Dolore, infiammazione e ulcere in bocca

Questi disturbi possono comparire dopo cinque-dieci giorni dall'inizio della chemioterapia e risolversi gradualmente entro tre-quattro settimane dal termine del trattamento. Il medico potrà consigliare dei risciacqui, per evitare che le ulcere si infettino, e degli analgesici per tenere a bada il dolore, in modo che non impedisca di mangiare e bere.

Sapore cattivo o alterazione del gusto

Alcuni medicinali usati in chemioterapia modificano il gusto dei cibi che può risultare più salato, amaro o metallico. Il fenomeno regredisce alla fine del trattamento ma prima che passi a volte sono necessarie alcune settimane.

Perdita di appetito, diarrea o stipsi

Non c’è da preoccuparsi se non si riesce a mangiare il giorno del trattamento o quello successivo, purché poi torni l'appetito tra una seduta e l'altra. È importante invece bere molto, per evitare la disidratazione, soprattutto se le cure causano diarrea. Se compare stipsi, si può cercare di rimediare anche con una dieta ricca di fibre.

Tutti questi effetti collaterali si combattono con i medicinali prescritti o somministrati direttamente dal medico insieme alla chemioterapia, ma anche con un'alimentazione adatta.

Infezioni, anemia, sanguinamenti

I farmaci usati in chemioterapia ostacolano il rinnovamento delle cellule del sangue, che quindi possono ridursi a livelli pericolosi.

Il calo dei globuli bianchi può favorire infezioni. È opportuno avvisare subito il medico in caso di:

  • febbre alta;
  • sensazione di freddo e brividi;
  • tosse;
  • mal di gola;
  • mal di testa;
  • dolore muscolare.

Il calo dei globuli rossi può portare ad anemia, per la quale ci si può sentire particolarmente stanchi o può mancare il fiato, mentre la diminuzione delle piastrine può facilitare i sanguinamenti dalle mucose o la formazione di lividi (ecchimosi).

Se questi effetti della chemioterapia si fanno particolarmente impegnativi, i medici possono provvedere con appositi farmaci o con trasfusioni di sangue.

Caduta dei capelli, disturbi alla pelle e alle unghie

La caduta dei capelli, dei peli, di ciglia e sopracciglia è considerata un segno caratteristico della chemioterapia e anche per questo è una delle conseguenze più temute dai pazienti: non solo perché incide in maniera significativa sulla propria immagine, ma anche perché rende evidente a chiunque il proprio stato di malattia. In realtà, non tutti i farmaci usati per la cura dei tumori provocano questo effetto indesiderato, né tutti lo fanno con la stessa intensità; alcuni rendono solo i capelli più fini e radi. Inoltre è bene ricordare che il fenomeno è reversibile e che i capelli ricominciano a crescere dopo poche settimane dalla fine del trattamento. In genere la capigliatura recupera l'aspetto precedente alla terapia entro quattro-sei mesi dal termine delle cure, anche se è possibile che ricrescendo i capelli acquistino un colore diverso o risultino più ricci.

Nel frattempo, se non ci si sente a proprio agio, è possibile ricorrere a foulard, cappelli o parrucche, che però possono risultare fastidiose, soprattutto d'estate. In ogni caso conviene chiedere informazioni al personale infermieristico: molti centri prevedono consulenze specifiche su questi aspetti, compreso il trucco con i cosmetici adatti a mascherare gli effetti più visibili delle cure.

In alcuni casi è possibile cercare di prevenire la caduta dei capelli indossando durante le sedute una particolare cuffia ghiacciata: riducendo l'apporto di sangue al cuoio capelluto si cerca di diminuire anche la quantità di farmaco che raggiunge i bulbi piliferi. Il metodo comunque non è utilizzabile in tutti i casi, per cui è necessario discuterne in anticipo con il proprio medico.

Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono rendere la pelle secca e sensibile o provocare reazioni cutanee, per cui è bene utilizzare sempre una crema protettiva quando ci si espone al sole. Anche le unghie ne possono risentire, diventando secche, scheggiate o striate.

Alterazioni nervose

Talvolta la chemioterapia può provocare una neuropatia periferica, che si manifesta con alterazioni della sensibilità, formicolii e la sensazione di essere punti da aghi, soprattutto alle mani e ai piedi. In genere regredisce al termine delle cure, ma solo dopo diversi mesi.

Le cure possono inoltre compromettere in varia misura l'udito. Anche questo fenomeno può essere transitorio, ma, se vi accorgete di sentire male, avvisate il medico, che potrà talvolta adeguare il dosaggio dei farmaci.

Danni ad altri organi

Dei trattamenti chemioterapici contro il cancro possono talvolta risentire, in maniera transitoria o permanente, alcuni organi (cuore, fegato, reni e polmoni). Sarà cura dei medici valutare fin dall'inizio le cure più adatte al singolo paziente, in relazione ad altri eventuali problemi di salute preesistenti, oppure cambiare terapia nel caso si manifestasse sofferenza a livello di queste importanti parti dell'organismo.

Alcuni tipi di chemioterapia possono anche favorire la formazione di trombi, vale a dire coaguli di sangue all'interno di una vena o un'arteria. Nel caso in cui una gamba si gonfiasse oppure il paziente sentisse mancare il respiro, è importante avvisare subito il proprio medico.

Infine, possono manifestarsi, in forma transitoria, problemi di tipo cognitivo (il cosiddetto “chemo brain” o effetti della chemio sul cervello), come alterazioni della memoria e difficoltà a concentrarsi.

Conseguenze sulla sessualità

La stanchezza provocata dalla malattia e dalle cure e la preoccupazione per la propria salute possono togliere interesse per la vita sessuale. È importante tuttavia mantenere aperto il dialogo con il partner anche su questo tema delicato, ed eventualmente chiedere aiuto a personale esperto.

Oltre agli aspetti psicologici ci possono essere anche difficoltà di tipo fisico: le mucose femminili, danneggiate dalla chemioterapia, possono rendere doloroso il rapporto. In questo caso ci si può aiutare con un gel lubrificante.

Molti farmaci usati in chemioterapia potrebbero provocare malformazioni in un eventuale feto, per questo per le coppie in età fertile può essere importante avere a disposizione dei metodi contraccettivi sicuri. Peraltro, sebbene i farmaci in genere non passino nello sperma e nel liquido vaginale, l'uso del preservativo può evitare di trasmettere al partner anche piccole quantità di sostanze farmacologicamente attive.

Preservare la fertilità

La chemioterapia, così come altri tipi di trattamento contro i tumori, può compromettere temporaneamente o in modo permanente la fertilità. Oggi, soprattutto in funzione della sempre maggiore quota di bambini, ragazzi, giovani donne e giovani uomini che guariscono dal cancro, e in particolare dalle leucemie, si presta molta attenzione a questo aspetto: a tutela della fertilità dei pazienti oncologici, nel 2016 l’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), la Società italiana di endocrinologia (SIE) e la Società italiana di ginecologia e ostetricia (SIGO) hanno presentato le raccomandazioni sull’oncofertilità, e successivamente la conferenza Stato-Regioni, di concerto con il ministero della Salute, ha approvato le linee guida per creare un servizio di oncofertilità a livello regionale. In tal senso, alcune Regioni si sono già attivate.

Le principali tecniche di preservazione della fertilità sono, nei maschi, la crioconservazione del seme o quella del tessuto testicolare, nelle femmine, la crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico e l’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere le ovaie. Il materiale biologico può essere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. Tra gli analoghi LH-RH c’è la triptorelina, la cui efficacia nel salvaguardare dal rischio di menopausa precoce associato alla chemioterapia è stata dimostrata da uno studio guidato da Lucia Del Mastro del Policlinico San Martino IRCCS per l’oncologia di Genova, con il sostegno di AIRC. I risultati sono stati pubblicati nel 2015 sulla rivista JAMA: conclusi i trattamenti, le ovaie ricominciano a funzionare e il ciclo riprende. Preservare la fertilità e la funzione ovarica è importante non solo per dare alla donna la possibilità un domani di avere dei figli, ma anche per tutelarne la salute in senso lato, evitando una menopausa precoce e dunque conseguenze psico-fisiche negative nel breve e lungo periodo.

È importante che la/il paziente si rivolga a un centro oncologico con gruppi formati da diversi specialisti in grado di offrire a poche ore dalla diagnosi una consulenza sulla strategia di protezione della fertilità più appropriata.

Qualora il tumore venisse scoperto durante una gravidanza, è possibile sottoporsi a terapie specifiche, compresa la chemioterapia. I trattamenti vengono personalizzati tenendo conto del tipo di neoplasia, della sua diffusione, dell’aggressività e del momento della gestazione in cui è stata scoperta.

Sono innumerevoli i racconti di persone che, guarite dal cancro, si sono formate una propria famiglia.

Che differenza c'è tra remissione e guarigione?

Quando il cancro risponde al trattamento ma una parte delle cellule tumorali sopravvive, si parla di remissione parziale.

La remissione si dice invece completa quando non ci sono più tracce di tumore o leucemia rilevabili con i mezzi diagnostici a disposizione, dagli esami del sangue alle indagini per immagini. Ancora non si può parlare di guarigione, condizione a cui si giunge se la remissione totale si mantiene per diversi anni, ma questa probabilità aumenta quanto più ci si allontana nel tempo dal momento della diagnosi.

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  • Michela Vuga

    Giornalista professionista, da oltre 20 anni si dedica alla divulgazione medico-scientifica. È stata coordinatore scientifico del mensile OK Salute e benessere e coordinatore editoriale del sito www.ok-salute.it (2014-2017) e ha ideato e condotto programmi radiofonici: Essere&Benessere per Radio 24 – Il Sole 24 ore (1999-2004), GR Salute, GR Scienza e OK salute e benessere per l’agenzia giornalistica AGR e per il circuito radio CNR (2005-2017); si è occupata anche della produzione di giornali radio, videonews, speciali radiofonici e televisivi. Modera eventi e congressi scientifici e dal 2018 collabora con Fondazione AIRC nella stesura di articoli, come conduttrice di dirette social e autrice del podcast Fondamentale dedicato alla ricerca contro il cancro.