Harald zur Hausen: il virologo che ha svelato il ruolo del Papillomavirus nel cancro del collo dell’utero

Ultimo aggiornamento: 1 ottobre 2023

Tempo di lettura: 17 minuti

Oggi gran parte dei tumori della cervice può essere prevenuta grazie ai vaccini contro il Papillomavirus umano (HPV). Dietro questa svolta c’è il lavoro di Harald zur Hausen, medico e virologo tedesco che ha dimostrato il legame causale tra alcuni tipi di HPV e il cancro del collo dell’utero, aprendo la strada a una delle più efficaci strategie di prevenzione oncologica della storia.

La storia della medicina è punteggiata da scoperte che, a distanza di anni, appaiono quasi ovvie. Il ruolo dei batteri nelle infezioni, l’importanza delle vaccinazioni, l’efficacia degli antibiotici. La scoperta che il Papillomavirus umano (HPV) è responsabile della quasi totalità dei tumori del collo dell’utero (o cervice) rientra in questa categoria: oggi sembra naturale associare questo tumore all’infezione, e prevenirlo con un vaccino. Eppure l’idea è relativamente recente, maturata grazie alla determinazione di uno scienziato che per anni ha inseguito un’intuizione controcorrente. Parliamo di Harald zur Hausen (1936-2023), medico e virologo tedesco.

I suoi studi, premiati con il Nobel per la fisiologia o la medicina nel 2008, hanno chiarito il ruolo oncogeno di specifici tipi di HPV e hanno reso possibile lo sviluppo di vaccini oggi diffusi in tutto il mondo. Ciò ha posto le basi per eliminare, in un futuro non troppo lontano, una neoplasia che per secoli è stata tra le più letali per le donne. È solo la seconda volta nella storia della medicina che un vaccino permette di prevenire un cancro, dopo quello contro il virus dell’epatite B (HBV), in uso dagli anni Novanta. L’infezione con l’HBV può causare l’epatite virale e promuovere numerose conseguenze, tra cui il cancro al fegato.

Per capire la portata dei risultati ottenuti con queste vaccinazioni è però necessario fare un passo indietro. Anche zur Hausen, come ogni scienziato, è salito sulle spalle dei giganti: la sua intuizione è arrivata dopo secoli di osservazioni cliniche, tentativi, errori e progressi che hanno cambiato la medicina.

Dalle origini della medicina alla nascita dell’oncologia moderna

Il cancro del collo dell’utero è noto da millenni. Già nei testi di Ippocrate compaiono descrizioni di masse e ulcere che i patologi odierni potrebbero riconoscere come tumori cervicali. Nel tempo tali resoconti sono divenuti via via più accurati, grazie anche all’invenzione di strumenti specifici come lo speculum, che permette di mantenere aperto il canale vaginale mentre si svolge un esame visivo. Per quanto riguarda però le cause e le terapie, per molti secoli non ci sono stati progressi, come del resto per gli altri tipi di tumore. La malattia non lasciava scampo.

 

Solo nel corso dell’Ottocento, con l’evoluzione delle procedure di autopsia e di anatomia patologica, è stato possibile conoscere meglio questa patologia. Fu proprio in questo periodo che il medico e scienziato tedesco Rudolf Virchow elaborò la teoria per cui il cancro origina dalla moltiplicazione di cellule anomale, sviluppate a loro volta da cellule sane. Nasceva così la moderna oncologia.

Per il cancro alla cervice si era cominciato a praticare la rimozione chirurgica dell’utero, detta isterectomia, e a sottoporre poi le pazienti alla radioterapia. All’inizio gli interventi erano molto pericolosi, soprattutto per il rischio di infezioni non controllabili con gli antibiotici che sarebbero stati sviluppati a metà del Novecento e avrebbero reso queste operazioni più affidabili e sicure. Mancava però un metodo per anticipare la diagnosi. Nel 1941 Georgios Papanicolau avrebbe risolto questo problema con il suo Pap test, il primo esame poi usato come screening per identificare precocemente il cancro della cervice. Nel dopoguerra arrivò anche la chemioterapia, aggiungendo opportunità di cura, anche se si continuava a non capire da dove originasse questo tipo di tumore.

La relazione tra tumori e infezioni

Già nel 1842 il medico Domenico Rigoni-Stern aveva notato, nella sua statistica clinica, che il cancro alla cervice colpiva molto di più le donne sposate e le prostitute rispetto alle suore o alle donne nubili. Era un primo indizio che la malattia aveva una componente trasmissibile sessualmente. Non fu tuttavia possibile identificare quale delle numerose malattie a trasmissione sessuale potesse esserne all’origine, anche perché all’epoca non si sapeva ancora che le infezioni erano causate da virus e batteri. La teoria dei germi, secondo cui le malattie infettive erano causate da microrganismi, fu infatti elaborata verso la fine di quel secolo, grazie alle scoperte di Louis Pasteur e Robert Koch, rispettivamente in Francia e Germania. Con gli studi di questi due padri fondatori della microbiologia iniziava una stagione di scoperte che permisero di distinguere tra loro non solo i batteri, ma anche i virus, grazie anche al contributo del microbiologo olandese Martinus Beijerinck.

I Papillomavirus furono inizialmente identificati in una specie di conigli diffusa in America, negli anni Trenta. I cacciatori avevano catturato strani animali con corna sulla testa e sul collo, e li fecero analizzare. Le corna erano verruche cheratinizzate, cioè papillomi. In un esperimento gli scienziati li tritarono, li filtrarono per eliminare ogni traccia di cellule, e le iniettarono in conigli sani: anche loro cominciarono a sviluppare le stesse verruche. Notarono anche che questi tumori benigni potevano progredire verso il cancro. Così si arrivò a isolare il primo dei Papillomavirus. Dopo altre scoperte analoghe negli animali, negli anni Cinquanta furono identificati anche i primi Papillomavirus umani.

Solo negli anni Sessanta fu possibile dimostrare che i virus oncogeni sono in grado di indurre nelle cellule mutazioni cancerogene, una scoperta che sarebbe stata impossibile prima che fossero stati chiariti la struttura del DNA e la logica del codice genetico. Alla scoperta del ruolo oncogeno di questi virus negli animali seguì poco dopo la conferma che virus simili erano in grado di infettare anche gli esseri umani e provocare tumori. Tra questi agenti virali c’era il virus Epstein-Barr, noto per causare la mononucleosi infettiva e predisporre allo sviluppo del linfoma di Burkitt.

A questo punto mancava solo qualcuno che riuscisse a capire il collegamento tra il Papillomavirus e il cancro alla cervice.

Tanti tipi di Papillomavirus

Dopo aver lavorato sul virus Epstein-Barr e sul linfoma di Burkitt, negli anni Settanta Harald zur Hausen decise di dedicarsi allo studio del cancro alla cervice, determinato a comprenderne l’origine. All’inizio sospettava, come i suoi colleghi, del virus Herpes simplex di tipo 2, ma non riusciva a trovare tracce del suo DNA nei campioni delle biopsie di pazienti con questo tipo di tumore. Lesse poi che i condilomi, ovvero le verruche genitali, sono tumori benigni che possono, anche se raramente, evolvere in carcinoma a cellule squamose. Proprio in queste verruche, che possono apparire anche in altre parti del corpo, era stato trovato il Papillomavirus umano. A zur Hausen venne così il dubbio che potesse essere questa infezione a causare sia i condilomi, sia il tumore al collo dell’utero. Se così fosse stato, il DNA dell’HPV si sarebbe dovuto trovare all’interno delle cellule sia delle verruche sia del tumore del collo dell’utero. Così, zur Hausen decise di indagare, anche se per il resto della comunità scientifica il virus dell’Herpes di tipo 2 rimaneva il sospettato numero uno.

Si rivelò però più facile a dirsi che a farsi. Lo scienziato e i suoi collaboratori scoprirono presto che esiste una moltitudine di ceppi di HPV, la maggior parte relativamente innocua. Per esempio, le verruche dei piedi, dei genitali e la papillomatosi laringea sono dovuti a ceppi distinti di Papillomavirus. Questo complicava l’identificazione dell’ipotetico virus responsabile dei tumori al collo dell’utero.

Ci vollero anni, ma grazie allo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare i ricercatori cominciarono a sequenziare il genoma dei diversi tipi di HPV estratti dalle verruche. Usarono poi parti di queste sequenze di DNA come sonde per cercare tracce del genoma dell’HPV nelle biopsie tumorali. Finalmente nel 1983 riuscirono a isolare HPV-16 e l’anno dopo HPV-18: il 70% dei tumori al collo dell’utero conteneva DNA di questi due virus. Si scoprì anche che i geni di HPV-18 erano presenti nelle cellule HeLa, la linea di cellule in coltura ottenuta dal tumore della cervice della paziente americana Henrietta Lacks e utilizzata ancora oggi nei laboratori di tutto il mondo (ne abbiamo parlato qui).

Nel 1985 zur Hausen e i suoi collaboratori identificarono i due geni virali responsabili delle mutazioni tumorali nelle cellule. Individuarono anche altri ceppi di virus che, assieme a HPV-16 e 18, sono responsabili della quasi totalità dei casi di cancro alla cervice. Le prove che il cancro della cervice è causato da specifici tipi di HPV erano ormai talmente convincenti che la comunità scientifica accettò le evidenze. Oggi sappiamo che questi virus sono anche all’origine di altri tipi di tumore: al pene, alla vagina, all’ano e all’orofaringe.

I vaccini contro il Papillomavirus

Negli anni Novanta, a queste scoperte seguirono, da parte di altri scienziati, le ricerche per lo sviluppo di un vaccino per la prevenzione del tumore alla cervice. Alcuni ricercatori stavano sviluppando vaccini ricombinanti, in grado di stimolare una robusta risposta immunitaria senza contenere materiale virale infettivo. I primi vaccini anti-HPV, mirati inizialmente ai tipi ad alto rischio HPV-16 e HPV-18, sono stati approvati nel 2006 negli Stati Uniti e nel 2007 nell’Unione europea. Poco dopo diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno avviato un programma vaccinale. Da allora i vaccini si sono evoluti fino ad arrivare alla versione nonavalente, che protegge contro 9 ceppi di HPV, di cui 7 ad alto rischio oncogeno e 2 responsabili dei condilomi.

L’impatto è stato enorme: nei Paesi con programmi vaccinali con adesione ampia da parte della popolazione si osserva una marcata diminuzione delle infezioni da HPV, con una drastica riduzione delle lesioni precancerose e dei casi di cancro cervicale tra le persone vaccinate.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è realistico puntare all’eliminazione del cancro della cervice a livello globale nell’arco di pochi decenni. L’obiettivo sarà considerato raggiunto quando l’incidenza della malattia scenderà, in ogni Paese, sotto i 4 casi ogni 100.000 donne. La strategia definita per il 2030 prevede di vaccinare il 90% delle ragazze, garantire lo screening al 70% delle donne entro i 35 anni e nuovamente entro i 45 anni, e assicurare che il 90% delle donne con una diagnosi di tumore della cervice riceva un trattamento tempestivo e adeguato.

Una controversia su un Nobel meritato

Nel 2008, a 2 anni dall’entrata in commercio del primo vaccino, zur Hausen ricevette una telefonata da Stoccolma: gli era stato assegnato il Nobel per la fisiologia o la medicina. Allo stesso tempo, però, scoppiò una polemica. Alla consegna dei premi, alcuni media svedesi accusarono la casa farmaceutica Astrazeneca di aver “comprato” il riconoscimento a zur Hausen, per guadagnare di più attraverso le royalties sul vaccino. Dal 2007 l’azienda possedeva infatti un brevetto, necessario a produrre il vaccino, dalla cui cessione a 2 altre case farmaceutiche avrebbe tratto profitto. C’erano inoltre dei sospetti sui legami in apparenza troppo stretti fra l’azienda e l’organizzazione che assegna i premi Nobel. Astrazeneca aveva infatti da poco cominciato a collaborare col sito internet della Fondazione Nobel. Inoltre, 2 dei 50 membri del comitato per l’assegnazione del premio per la fisiologia o la medicina avevano legami con l’azienda: uno nel 2006 aveva ricevuto 1.400 dollari per condurre ricerche nel suo laboratorio, mentre all’altro nel 2007 erano stati riconosciuti 30.000 dollari come membro del comitato scientifico di Astrazeneca. In Svezia fu così avviata un’indagine.

Nel mondo della scienza i conflitti di interesse non sono una novità, ma in questo caso la polemica si rivelò essere infondata. Infatti, le persone e gli enti che a diverso titolo contribuivano a gestire il sito internet della Fondazione Nobel, o a sostenerne i costi, non avevano alcun ruolo nella scelta dei premiati. La collaborazione era, peraltro, cominciata dopo l’annuncio dell’assegnazione dei riconoscimenti, avvenuto a ottobre 2008. Inoltre, i legami dei 2 membri del comitato con Astrazeneca erano stati dichiarati, come impongono le regole e le prassi per la gestione dei conflitti di interesse, reali o apparenti, nel mondo della ricerca scientifica.

Nessuno era invece a conoscenza del brevetto di proprietà della casa farmaceutica. In questi casi però le royalties sarebbero state la proverbiale goccia nel mare: entrate irrilevanti rispetto ai ricavi totali dell’azienda, che si attesta sulle decine di miliardi di dollari.

Bisogna inoltre considerare che la decisione di premiare zur Hausen fu presa da un’assemblea di 50 membri, sui quali è inverosimile pensare che abbiano potuto esercitare un’ipotetica influenza decisiva i 2 membri legati all’azienda e oggetto di accuse. Ogni ombra è stata rimossa dalla reputazione di zur Hausen e delle persone coinvolte in questa vicenda.

Nonostante l’infondatezza, questa vicenda insegna come la trasparenza non sia mai troppa, sottolineando ancora una volta quanto è necessario discutere e dichiarare tutte le eventuali relazioni, anche solo apparenti o indirette, tra premiati e sponsor della Fondazione Nobel.

Superata anche questa controversia, rimane un fatto: il contributo di Harald zur Hausen ha cambiato per sempre la storia di questa malattia.

L’eredità di Harald zur Hausen

La storia di Harald zur Hausen ci ricorda che alcune scoperte nascono da intuizioni coltivate con ostinazione e metodo anche quando il consenso scientifico sembra andare in un’altra direzione. Dimostrando il ruolo causale delle infezioni da specifici tipi di Papillomavirus nello sviluppo del cancro del collo dell’utero, zur Hausen ha aperto la strada alla prevenzione primaria di questa malattia e innescato una grande rivoluzione nella sanità pubblica. Oggi milioni di persone in tutto il mondo sono protette grazie ai vaccini resi possibili dal suo lavoro, e il cancro della cervice è considerato un tipo di tumore eliminabile.

  • Stefano Dalla Casa

    Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.